Sono passati poco più di 20 anni da quando molte star del mondo dello spettacolo, da Bono fino a Jovanotti, si sono impegnate in una campagna globale per la cancellazione del debito.

Il Covid-19 rischia di innescare una nuova crisi del debito, specie per i paesi più poveri.

Sebbene i numeri dei contagi e dei morti non siano ovunque elevati come in Occidente, le ripercussioni economiche del calo della domanda globale e delle politiche di lockdown sono drammatiche.

Gli ultimi dati pubblicati dal Fondo monetario indicano che il tasso di crescita del Pil nei paesi a passo reddito nel 2020 sarà del -1.2 per cento, una flessione di oltre 6 punti percentuali rispetto alle previsioni di solo un anno fa.

Di conseguenza, il numero di persone che vive in condizioni di estrema povertà nel mondo aumenterà, per la prima volta da oltre 20 anni, di oltre 100 milioni secondo le stime della Banca mondiale, vanificando oltre tre anni di risultati in termini di lotta alla povertà.

Gli effetti, inoltre, potrebbero essere duraturi. L’Oms e l’Unicef, per esempio, hanno sottolineato che in molti paesi le difficoltà di bilancio dovute alla pandemia stanno imponendo la sospensione dei programmi di vaccinazione.

La zavorra del debito

Già prima della pandemia, il debito pubblico dei paesi poveri era passato dal 27 per cento al 43 per cento del Pil in 10 anni.

Un alto debito, unito a una limitata capacità di aumentare le entrate e alla necessità di preservare la spesa sociale e in infrastrutture per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, lasciano poco spazio ai governi per politiche di sostegno.

In questo scenario, l’arrivo della pandemia ha messo le finanze pubbliche di molti paesi in condizioni critiche.

Lo stimolo fiscale nei paesi poveri è stato, in media, pari all’1,6 per cento del Pil, ben al di sotto delle risorse mobilizzate nei paesi più ricchi e di quanto necessario per far fronte all’emergenza sanitaria.

Le proposte per affrontare quella che si prefigura come una nuova crisi del debito non sono mancate e lo scorso Aprile il Gruppo dei 20 ha promosso la sospensione dei pagamenti per il rimborso del debito pubblico dovuti entro il 2020.

Non si tratta di una vera riduzione del debito—il totale del debito non cambia—ma di una moratoria temporanea che consente, in un momento di massima necessità, di liberare liquidità per oltre 10 miliardi di dollari, circa un quinto dell’incremento del deficit di bilancio post Covid-19. Ma non tutti i paesi hanno aderito. Difficile spiegarlo, dato che sembrerebbe quello che gli economisti chiamano un pasto gratis.

La preoccupazione è che aderire all’iniziativa possa segnalare ai mercati una situazione di vulnerabilità, e quindi generare un aumento dei tassi di interesse che compensi l’aumento del rischio paese. C’è la paura, insomma, che un risparmio oggi possa tradursi in maggior costi nel futuro.

Alcune agenzie di rating, in effetti, hanno prospettato il rischio di un downgrade di alcuni paesi che hanno aderito all’iniziativa.

I rischi nascosti

La sospensione dei pagamenti, senza intervenire direttamente sull’ammontare del debito, può rendere il profilo del debito più rischioso. E’ quanto ha dichiarato al Financial Times il Ministro delle Finanze del Kenya, un paese che dovrà usare oltre un quinto delle entrate per rimborsare il debito nel 2024 e per il quale ulteriori pagamenti mettono a rischio la sostenibilità delle finanze pubbliche.

Ciononostante, sembra che la reazione dei mercati alla moratoria sia stata positiva.

Un’analisi recente mostra che, nel periodo successivo all’annuncio della sospensione dei pagamenti, gli spread sui titoli del debito  pubblico (una misura del rischio di insolvenza) sono diminuiti di più nei paesi che possono beneficiare della moratoria rispetto a quelli che non vi possono accedere.

La maggior liquidità che la sospensione dei pagamenti genera sembra quindi avere effetti positivi.

Da un lato, questi risultati sono incoraggianti, poichè indicano che i principali paesi donatori sono stati capaci, in tempi brevi, di fornire risorse aggiuntive ai paesi colpiti dalla crisi, senza innescare una reazione negativa sui mercati finanziari. Rimangono, tuttavia, alcune questioni da affrontare.

La Cina e i privati defilati

Non tutti i creditori hanno aderito all’iniziativa, limitandone perciò la portata. Non solo alcuni paesi non hanno partecipato o lo ha fatto solo parzialmente, come la Cina, ma anche il settore privato non ha aderito.

Non si tratta di un fattore trascurabile dato che per molti paesi, tra cui Etiopia, Pakistan e Angola, la Cina e il settore privato sono i maggiori creditori.

Da questo punto di vista, è fondamentale che le istituzioni internazionali facilitino il coordinamento tra i creditori per massimizzarne la partecipazione. Altrimenti il rischio è che i risparmi derivanti dalla moratoria vengano utilizzati per rimborsare i creditori che non sono parte dell’iniziativa, vanificando l’obiettivo originario dell’iniziativa.

Solo un cerotto

In secondo luogo, è ormai chiaro che la crisi non si esaurirà in pochi mesi. Questa settimana ai meeting annuali del Fmi e della Banca mondiale si discute l’estensione della moratoria sul debito al 2021.

E’ un passo nella giusta direzione, ma che rischia di non essere sufficiente.

Senza un intervento coordinato, si rischia di procedere con interventi parziali che forniscono respiro nell’immediato, ma non risolvono i problemi strutturali.

Come ha recentemente scritto il primo ministro Etiope Abiy Ahmed sul New York Times, molti paesi si trovano quotidianamente a dover scegliere tra usare le poche risorse disponibile per rimborsare i creditori o salvare vite umane.

Diventa allora fondamentale distinguere paesi che sono in crisi di liquidità da quelli che possono diventare insolventi.

I primi sono in grado di generare risorse future per rimborsare il debito ma fronteggiano una temporanea scarsità di liquidità e, quindi, devono essere sostenuti da maggiori aiuti e da un’estensione della moratoria.

Per i secondi, per i quali la crisi ha effetti duratori sull’economia tali che il debito non sia più sostenibile, è necessario adottare presto misure per ristrutturare il debito prima di arrivare al default, per limitare i costi economici e sociali della crisi che ne seguirebbe.

In passato si è spesso proceduto per gradi e ci sono voluti anni per arrivare alla riduzione del debito. L’auspicio è che si impari dall’esperienza e si trovi una soluzione prima che sia troppo tardi e non resti che affidarsi a qualche pop-star.

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