«Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio». È con una citazione tratta dai Promessi sposi, che papa Francesco, rivolgendosi al presidente Sergio Mattarella ricevuto la mattina del 29 maggio in Vaticano, ha voluto evocare quello spirito di servizio di cui si è fatto interprete il capo dello stato rinunciando al «meritato riposo» per tornare al Quirinale, in occasione del secondo mandato, «in nome del servizio richiestole dallo stato».

E di certo in questi giorni di anniversari e ricorrenze, fra i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni e i 100 anni dalla nascita di don Lorenzo Milani, il cattolico democratico Mattarella e il papa italoargentino Bergoglio (che ha visitato la tomba di don Milani, a Barbiana, nel 2017), hanno trovato più di un punto d’intesa, rafforzando quel legame storico fra Santa sede e Quirinale che caratterizza in modo sempre più pronunciato i rapporti fra le due sponde del Tevere.

Manzoni, del resto, era stato ricordato sia dal papa al Regina caeli di domenica scorsa, che dal presidente della Repubblica il 22 maggio.  

Cattolicesimo sociale

D’altro canto, in Vaticano, guardano con una certa dose di fatalismo alle convulse vicende politiche nazionali, al succedersi di governi e maggioranze, alla strumentalità o all’indifferenza con la quale la politica si occupa dei temi che toccano da vicino le sensibilità cattoliche (plurali anch’esse, per di più).

Senza contare una certa coincidenza biografica che avvicina quasi “naturalmente” il papa e il presidente: Mattarella sta per compiere 82 anni, il pontefice ne ha 86, il presidente è stato eletto la prima volta nel 2015, il papa nel 2013; dunque, percorsi simili.

Anche sotto il profilo spirituale, visto che Paolo VI è un solido punto di riferimento per entrambi – come ha confermato Mattarella nel suo breve intervento in Vaticano – e, non a caso, proprio a papa Montini era intitolato il premio consegnato da Francesco al presidente della Repubblica.

Se il legame personale fra i due leader è forte, esso si fonda però sul riconoscimento comune del tessuto costituzionale come base della vita collettiva del paese.

In tal senso, vanno anche letti i ripetuti appelli del presidente dei vescovi italiani, il cardinale Matteo Zuppi, a non provocare strappi nella Carta con scelte di parte non condivise.

La Costituzione, insomma, non solo attraverso il Concordato regola le relazioni fra stato e chiesa, ma garantisce, in nome di un solidarismo promosso pure dal cattolicesimo sociale, l’unità del paese e i principi di uguaglianza fra tutti i cittadini, categorie che, si osserva con qualche preoccupazione da parte vaticana, sembrano correre più di un rischio, almeno a giudicare dal dibattito politico in corso.

Lotta alla mafia e don Milani

Nel suo discorso per la consegna del premio Paolo VI, Francesco ha richiamato il principio di responsabilità cui sono chiamati in particolare coloro che si occupano della cosa pubblica, a partire dalla lotta per la legalità e contro la mafia.

«Sempre a proposito di responsabilità – ha detto Francesco – penso a quella componente essenziale del vivere comune che è l’impegno per la legalità. Essa richiede lotta ed esempio, determinazione e memoria, memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la giustizia; penso a suo fratello Piersanti, signor presidente, e alle vittime della strage mafiosa di Capaci, di cui pochi giorni fa si è commemorato il trentennale».

Quindi ha aggiunto: «San Paolo VI notava che nelle società democratiche non mancano istituzioni, patti e statuti, ma “manca tante volte l’osservanza libera ed onesta della legalità” e che lì “l’egoismo collettivo insorge”. Anche in quest’ambito, signor presidente, con le sue parole e il suo esempio, avvalorati da quanto ha vissuto, lei rappresenta un coerente maestro di responsabilità».

Interessante, in questa prospettiva di rimandi e citazioni fra il vescovo di Roma e il capo dello stato, quanto ha detto Mattarella il 27 maggio scorso, ricordando don Milani e la sua lezione: «Nella sua inimitabile azione di educatore – e lo possono testimoniare i suoi “ragazzi” – pensava alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale. Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale».

E poco dopo aggiungeva: «Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito». Chissà se al ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, sono fischiate le orecchie.

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