Le prove sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 non sono ancora tali da poter formulare una ricostruzione chiara, ma una certezza già c’è: quell’attacco danneggia l’Europa. Il colpo è alle infrastrutture, ai margini di manovra e ai prezzi del gas degli europei.

Accertare i fatti

Questo mercoledì le autorità tedesche alle prese con i danni ai tubi hanno tratto le prime conclusioni, e pare che le infrastrutture danneggiate saranno inutilizzabili per sempre. Il progredire dell’acqua marina all’interno dei condotti peraltro potrà peggiorare ulteriormente il quadro, per gli effetti sulle tubature, mentre per almeno una settimana il gas continuerà a fuoriuscire, come ha preavvisato il governo danese. E quest’ultimo aspetto riguarda l’ecosistema nel suo complesso: le stime di Greenpeace prevedono un impatto climatico pari alle emissioni annuali di venti milioni di automobili nell’Ue, l’authority tedesca per l’ambiente parla di emissioni pari all’un per cento di quelle totali tedesche, in Danimarca si parla del trenta per cento di quelle annuali danesi. Da qualunque angolatura la si guardi, per l’ambiente è un colpo. Le immagini del gas che ribolle in mare, i “leak”, hanno fatto il giro del mondo, ma già prima che il problema diventasse così evidente, i sismologi avevano rintracciato le scosse sottomarine. Tra lunedì e martedì, da Nord Stream 1 e 2 si sono intensificate le allerte per perdite di pressione e danni, che ora, mettendo insieme le varie evidenze, portano allo scenario di attacchi mirati alle infrastrutture. Se del resto già è raro un singolo episodio di questo tipo, ben tre nel giro di meno di ventiquattr’ore sono decisamente anomali, come hanno subito notato gli esperti. Una «operazione di sabotaggio», l’hanno quindi definita i paesi coinvolti e pure la Commissione europea, che aspetta che venga acclarata l’origine delle esplosioni. Si collocano nel mar Baltico, cioè nelle acque sotto le quali passava il collegamento energetico tra Germania e Russia, e per la precisione nell’area dell’isola danese di Bornholm, non lontano dal sud della Svezia. Quelle acque sono internazionali, dunque potenzialmente chiunque può circolarvi. «Non erano acque danesi, erano internazionali, ma questo non rende la cosa meno seria, e infatti pongo il tema all’alleanza atlantica», ha detto il ministro della Difesa danese questo mercoledì. Il tipo di operazione di sabotaggio, complessa da effettuare, che richiede di agire a settanta metri di profondità marina, fa risalire a un attore statale. Su questo si moltiplicano le dichiarazioni e le inchieste avviate dai governi. In molti evocano il concetto di «guerra ibrida», e visto il contesto bellico si diffonde nella classe politica occidentale lo scenario di un attacco russo, che il Cremlino liquida come assurdo; fa sapere pure di voler chiedere una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sui danni subiti dai gasdotti.

Infrastrutture strategiche

Il colpo alle arterie del gas avviene in un frangente particolare: da una parte è in corso l’escalation putiniana coi “falsi referendum”, dall’altra l’Ue ha sdoganato un ulteriore pacchetto di sanzioni. Coi nuovi blocchi all’import russo, preconizza Ursula von der Leyen, il danno per Mosca sarà di 7 miliardi di euro. Oltre a mettere le basi legali per il tetto al prezzo del petrolio russo, l’Ue interverrà sulle tecnologie, su componenti elettronici o sostanze chimiche, e sull’ambito dei servizi.

In che modo si intreccia il caso Nord Stream con questo scenario? La Russia aveva già interrotto le forniture via Nord Stream 1, formalmente per manutenzione e di fatto per tenere sotto scacco gli europei; c’è anzi chi ipotizza che il sabotaggio possa servire a Mosca per giustificare dal punto di vista contrattualistico l’interruzione delle forniture già avviata. Lo stop a Nord Stream 1 era anche un grimaldello putiniano per puntare alla apertura di Nord Stream 2, progetto che ora è definitivamente sott’acqua. Prima dell’aggressione russa all’Ucraina, il nuovo collegamento tra Russia e Germania era stato difeso strenuamente da Berlino, nonostante l’opposizione ingombrante degli Stati Uniti, oltre che di Polonia e paesi baltici, che volevano recidere il cordone ombelicale energetico tra Mosca e l’Europa. Anche Kiev era scontenta perché Nord Stream 2 dirottava le tratte energetiche rispetto agli interessi nazionali, ma fino all’estate scorsa Angela Merkel ha scavallato il freno degli Usa. Con la guerra, il cancelliere Olaf Scholz lo ha congelato. Se già prima dei sabotaggi non arrivava gas da nessuno dei due gasdotti Nord Stream, ora il colpo alle infrastrutture recide definitivamente il cordone ombelicale che collegava Germania e Russia.

«I danni al Nord Stream restingono il margine di manovra di Putin. Se vuole riprendere le forniture di gas all’Europa, dovrà parlare con i paesi che controllano i gasdotti Brotherhood e Yamal», ha twittato martedì l’ex ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski. Il riferimento è anzitutto a due paesi, l’Ucraina e la Polonia, e fotografa un effetto di slittamento dell’asse energetico e politico. Peraltro proprio martedì 27, mentre l’Europa era alle prese col caso Nord Stream, il governo polacco inaugurava il nuovo gasdotto baltico. Sikorski, diplomatico di lungo corso che ha studiato nelle università dell’élite americana, è a capo della delegazione Usa-Ue dell’Europarlamento. Per lui, c’è da dire «grazie, Usa!», come infatti ha twittato assieme a una foto delle fughe di gas e a un video di inizio febbraio in cui Joe Biden dice che in caso di invasione «non ci sarà più un Nord Stream 2, gli metteremo fine».

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