Su Domani arriva il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra.

In seguito, in numerosi articoli apparsi sul "Giornale di Sicilia", Mario Francese continuò ad evidenziare la estrema pericolosità criminale dei più potenti esponenti mafiosi corleonesi, senza lasciarsi condizionare, nella sua autonoma ed approfondita valutazione dei fatti, dalle pronunzie assolutorie emesse nei loro confronti.

Di particolare interesse è il seguente articolo, apparso sul "Giornale di Sicilia" del 14 gennaio 1970, in cui Mario Francese descriveva la situazione di irreperibilità di Luciano Liggio e di Salvatore Riina, parlava di quest’ultimo come di un soggetto “tra i più sanguinari di Corleone”, e come un “individuo che, ritornato all'ombra, preoccupa e preoccuperà non solo gli inquirenti”, poneva in risalto le polemiche che avevano accompagnato la sentenza di assoluzione adottata dalla Corte di Assise di Bari, e concludeva esplicitando che “nel corleonese, dopo la parentesi dagli anni dal 1963 al 1969, il timore delle vendette e delle sparatorie in piazza è ritornato di moda”:

Lo ricercano le questure di tutta Italia.

Luciano Liggio scomparso?

Ha lasciato a metà novembre la clinica romana in cui era ricoverato

Luciano Liggio è scomparso. Questa la notizia arrivata ieri da Roma a Palermo. Uscito dalla clinica romana di via villa Messina alla chetichella, anziché presentarsi al commissariato di P.S. di Corleone, come da precisa ingiunzione notificatagli quando si era fatto ricoverare all'ospedale di Bitonto, ha preferito far perdere le sue tracce.

Assolto dai giudici della Corte di Assise di Bari da una spaventosa catena di delitti, con una sentenza che ha suscitato, e continua a suscitare, un vespaio di polemiche, l'ex primula rossa non ha voluto forse correre il rischio, una volta ritornato a casa, di venire nuovamente arrestato per un preventivato ordine di custodia precauzionale del Presidente del Tribunale a cui, certamente, Liggio sarebbe stato proposto per misure di prevenzione. Ha preferito così, gli abiti della «primula», quelle che tutte le questure d'Italia cercarono, sempre invano, di catturare durante i primi diciannove anni della sua latitanza.

Dove si trova oggi Liggio? Nessuno lo sa e le questure di tutta Italia e i carabinieri hanno incominciato l'affannosa ricerca che condussero fino al maggio 1964, fino a quando cioè Liggio venne sorpreso e catturato a Corleone nella casa delle sorelle Sorisi, a due passi dal commissariato e a tre dall'abitazione del suo vecchio padre.

Dimesso guarito o allontanatosi volontariamente (questo ancora è un punto che non siamo riusciti a chiarire per il gran riserbo che circonda il nuovo clamoroso caso), Luciano Liggio avrebbe dovuto riprendere il viaggio verso il Sud, interrotto alla fine dello scorso giugno quando, fiutato il pericolo di un nuovo arresto, preferì farsi accompagnare dal suo primo luogotenente Totò Riina (scomparso anche lui da qualche mese, dopo essere stato arrestato e sottoposto a quattro anni di soggiorno obbligato) nell'ospedale di Bitonto, dove accusò un riacutizzarsi del suo presunto vecchio male il morbo di Pott.

Da Bitonto, dopo qualche mese, l'ex primula corleonese riuscì a farsi trasferire in una clinica romana di via Villa Messina, dove ha pazientato per il tempo necessario a che nessuno pensasse più a lui. Poi, verso la fine dello scorso novembre, ha lasciato improvvisamente la casa di cura ed ha fatto perdere le sue tracce.

E' stato per primo il commissario di P.S. di Corleone a venire informato della partenza da Roma di Liggio. Ci si attendeva l'arrivo, ma l'attesa è risultata vana per quasi cinquanta giorni. E' stato così giocoforza per la polizia muoversi a mettere in moto le proprie sezioni investigative e di polizia, ma, finora, con esito negativo. Di Liggio proprio nessuna traccia.

L'ex re di Corleone avrebbe dovuto essere interrogato, in questi giorni, dal consigliere istruttore Cesare Terranova che, a quanto ci risulta, aveva emesso nei confronti di Liggio regolare mandato di comparizione. Com'è noto il magistrato istruttore ha in corso l'indagine giudiziaria per l'omicidio Sottile, avvenuto nel 1961. Forse il mandato di comparizione si riferirebbe a questo delitto: allora Liggio era latitante e non è escluso che il magistrato intendesse richiedergli chiarimenti anche a proposito della foiba, contenente ossa umane, scoperta proprio dal dottor Terranova nella parte più alta della famigerata Rocca Busambra.

Da Roma abbiamo appreso che i carabinieri si sono regolarmente recati in clinica per la notifica del mandato, ma hanno avuto la sorpresa di sentirsi rispondere che Liggio da tempo non era più ospite di quella casa di cura. E' in tal senso, sarebbe stata inviata comunicazione al dottor Terranova. Una notizia che attende, comunque, precisa conferma.

Dunque, l'ex re di Corleone non ha ritenuto neanche di attendere che la Corte di Assise di Bari deponesse la sentenza che lo aveva rimesso in libertà insieme a quasi tutti i suoi compagni di cordata. Forse la polemica che ha seguito la decisione lo avrà indotto a precorrere i tempi e a darsi alla macchia prima dell'inizio del procedimento di secondo grado.

E' noto che Antimafia e Consiglio Superiore della Magistratura, nelle settimane scorse, dopo la notizia dell'avvenuto deposito della sentenza di Bari, si sono affrettati a richiederne copia. In particolare ha suscitato commenti, anche in seno a vari consessi giudiziari della penisola, la «giustificazione» data dai giudici baresi alla loro decisione. Una giustificazione che ha indotto quel collegio giudicante a polemizzare financo con le decisioni, al tempo adottate (rinvio a giudizio) dal consigliere Cesare Terranova.

Liggio dunque, nuovamente alla macchia. E idem con Totò Riina, individuo che il giudice Terranova aveva definito tra i più sanguinari di Corleone. Individuo che, ritornato all'ombra, preoccupa e preoccuperà non solo gli inquirenti. Nel corleonese, dopo la parentesi dagli anni dal 1963 al 1969, il timore delle vendette e delle sparatorie in piazza è ritornato di moda.

Il giallo finisce in Commissione Antimafia

Sulla fuga di Luciano Liggio, Mario Francese scrisse anche il seguente articolo, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 18 gennaio 1970, in cui erano contenuti diversi riferimenti relativi a Salvatore Riina:

Come un giallo la scomparsa della "primula" di Corleone

Liggio fuggì quando seppe che lo avrebbero arrestato

Colpito da ordine di custodia precauzionale ha bruciato sul tempo gli agenti della Questura romana - Poco prima era guarito dalla malattia curatagli in una clinica dove era stato sottoposto ad un difficile intervento chirurgico - Il capo della polizia, Vicari, sarebbe già stato convocato dall'Antimafia

Luciano Liggio si eclissò quando apprese di essere stato proposto di ufficio, dalla Procura della Repubblica di Palermo per misure di prevenzione e di essere stato colpito da ordine di custodia precauzionale in quanto ritenuto «elemento socialmente pericoloso». Non ritenne di consultarsi, così come aveva fatto in altre circostanze, con i suoi difensori di fiducia di Bari, colse tutti di sorpresa e, persino, gli agenti della questura di Roma, incaricati della esecuzione del provvedimento.

Pare che l'ex re di Corleone sia riuscito ad espatriare, ma su questa «fuga» di Liggio in America nessuno ci potrebbe giurare giacché anche, in passato, quando era ricercato da tutte le questure d'Italia, la «primula» corleonese e i suoi più fedeli gregari fecero del tutto per farsi ritenere fuggiti negli Stati Uniti o nell'America del Sud.

Un Liggio rimesso a nuovo, quello fuggito dalla clinica romana di Bracci: un mese prima aveva subito un difficilissimo intervento chirurgico, pressoché nuovo nella sua specie: un'operazione di chirurgia plastica alla vescica che lo aveva guarito dal malanno della prostata che l'aveva afflitto negli ultimi periodi di carcerazione.

Ma vale forse la pena di ricordare tutti i movimenti di Liggio, fino alla sua «fuga». Uscito, dopo l'assoluzione, dal carcere di Bari, accompagnato dall'avv. Mitolo, uno dei suoi difensori, si era diretto a Bitonto dove elesse il suo nuovo domicilio assieme al suo fedele gregario Totò Riina. Qui, la questura di Bari gli notificò un foglio di via obbligatorio per Corleone, avendolo definito elemento socialmente pericoloso e, quindi, indesiderabile. Liggio si consultò con gli avvocati Gironda e Mitolo e, appreso, che ove non si fosse presentato a Corleone sarebbe stato denunciato per contravvenzione al foglio di via, noleggiò un auto e, sempre assieme a Riina e in compagnia dell'avv. Mitolo, prese la via del Sud. A Taranto, l'ex re corleonese accusò dei disturbi: preferì interrompere il viaggio per farsi ricoverare all'ospedale di «Sant'Annunziata». Per Corleone proseguirono Riina e l'avv. Mitolo. E proprio al suo arrivo in casa, Riina ebbe la sorpresa di vedersi arrestare in esecuzione di ordine di custodia precauzionale: un arresto improvviso, che non gli consentì di partecipare al banchetto che gli amici gli avevano approntato per festeggiare il suo rientro a Corleone. Inviato per quattro anni al soggiorno obbligato nell'Emilia, Riina fece perdere le sue tracce non appena scarcerato per raggiungere la residenza coatta. Luciano Liggio, tenuto al corrente delle nuove peripezie di Riina, cercò di allontanarsi dal Sud che gli scottava. A Taranto, del resto, era stato raggiunto da un altro foglio di via di quella questura e da un'ingiunzione del questore di Palermo, che gli faceva obbligo di presentarsi a Corleone. Informate le autorità di polizia di essere impossibilitato all'ottemperare all'ingiunzione per le sue condizioni di salute, Liggio si trasferì a Roma nella clinica di via Villa Massima. Giunto nella capitale, comunicò la sua presenza a quella questura e nello stesso tempo fece presente che non era in grado di ritornare a Corleone per due precisi motivi: nel paese natale non avrebbe potuto curarsi mancando il locale ospedale dei Bianchi delle necessarie attrezzature; in secondo luogo, nel suo circondario, non sarebbe rimasto tranquillo. L'esito dell'operazione di chirurgia plastica, positivo, fu riportato da tutti i giornali. La Procura della Repubblica, prevedendo imminente le dimissioni dalla clinica, propose Liggio per misure di prevenzione.

E' certo che né la magistratura palermitana né la questura di Palermo né il commissariato o i carabinieri di Corleone avevano il compito della esecuzione dell'ordine di custodia precauzionale emesso dal presidente del Tribunale di Palermo verso la metà dello scorso novembre. Ci richiamiamo al caso di Michele Cavataio; copia della proposta per il soggiorno obbligato del boss dell'Acquasanta era stata inviata per competenza alla questura di Roma che il 24 novembre successivo, cioè a tre mesi di distanza, comunicò che a Roma Cavataio era irreperibile.

Del caso Liggio tornerà ad occuparsi in questa prossima settimana la commissione Antimafia, che avrebbe già convocato il capo della polizia Vicari. Non risulta di contro, che sia stato convocato alcun magistrato di Palermo. Intanto, a richiesta della polizia romana, l'ufficio dell'Interpol del Venezuela ha comunicato di non aver ricevuto nessuna recente comunicazione dall'estero indicante che un esponente della mafia italiana, cioè Luciano Liggio, risiederebbe nel Venezuela. Tale precisazione è stata fatta in seguito alle ultime notizie che davano Liggio espatriato clandestinamente nel Venezuela.

In seguito Mario Francese rese noto che il 10 dicembre 1970, pochi giorni dopo essere fuggito dalla clinica Romana di Bracci, Luciano Liggio si era recato presso lo studio romano del notaio Salvatore Albano, dove aveva stilato una procura speciale con cui conferiva alla propria sorella poteri di estrema ampiezza. Sull’argomento, il giornalista pubblicò un articolo dal titolo “E’ la sorella Maria Antonietta ad amministrare i beni di Liggio”, pubblicato sul "Giornale di Sicilia" del 10 marzo 1974.

La sentenza in questione è quella della Corte di Assise di Palermo, presidente Leonardo Guarnotta, contro Salvatore Riina +9

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