«Giornalisti? Mai spiati». Il fedelissimo di Meloni, Alfredo Mantovano, lo ripete dal 5 febbraio scorso, quando, con una nota, Palazzo Chigi intervenne sul caso Paragon ed escluse qualsiasi attività di spionaggio riguardante «operatori dell’informazione».

Nella nota nessuna menzione agli attivisti. In effetti la formale risposta aderiva alla disposizione normativa che regola l’attività dei servizi segreti, che, all’articolo 17 comma 5, recita: «Le condotte di cui al comma 1 non possono essere effettuate nelle sedi di partiti politici rappresentati in Parlamento o in un'assemblea o consiglio regionale, nelle sedi di organizzazioni sindacali ovvero nei confronti di giornalisti professionisti iscritti all'albo».

Da questo elenco restano fuori sia gli attivisti politici non organici a un partito sia i giornalisti pubblicisti. Ora, dopo una serie di audizioni e mezze ammissioni, sappiamo che gli attivisti sono stati spiati tramite lo spyware della società israeliana nel rispetto – ha detto Mantovano al Copasir – delle norme e dunque con le autorizzazioni necessarie.

Una verità che viene a galla dopo mesi di assoluto silenzio: il sottosegretario alla presidenza del Consiglio inizialmente aveva anche parlato di informazioni classificate e, dunque, non divulgabili. Poi, forse anche per il lavoro a ritmo serrato delle cinque procure coordinate dalla Dna che incombe sulla vicenda, il cambio di passo. Prima, come rivelato da Domani, l’Aise ha dichiarato al Copasir di aver usato Graphite, in possesso anche ad Aisi, nei confronti di soggetti legati al mondo dell’immigrazione clandestina. Infine è stato Mantovano in persona a chiarire all’organismo parlamentare che, sì, gli 007 hanno spiato Mediterranea.

L’ombra dell’Aisi

Il caso, tuttavia, non è chiuso. Resta il mistero di chi ha usato il virus spia per il direttore di Fanpage Francesco Cancellato. Le accuse finora sono state respinte dall’intelligence, ma anche da carabinieri, polizia, penitenziaria e guardia di finanza. Eppure al giornalista, proprio come all’attivista della ong Luca Casarini, è arrivato il messaggio di Meta (e la successiva chiamata degli esperti del Citizen Lab di Toronto) che lo avvertiva di essere stato spiato con Graphite. Da chi? Se per gli attivisti di Mediterranea sembra che non ci siano ormai più dubbi sulla responsabilità di Aise, per Cancellato l’ipotesi che si sta facendo avanti cade su Aisi, che, come la gemella Aise, ha in uso il medesimo spyware.

Fanpage non si è mai occupata in maniera preponderante di immigrazione, piuttosto è impegnata in inchieste più politiche: l’anno scorso ha realizzato un servizio sul neofascismo nella giovanile di Fratelli d’Italia. Qualcuno fa notare che quando Mantovano ha citato la legge che impedisce di intercettare giornalisti, quell’articolo al comma 5 non include i giornalisti pubblicisti, qual è Cancellato, ma solo i giornalisti professionisti. Ma è una distiznione più di forma che di sostanza.

E c’è un’altra ipotesi che circola, che rende la faccenda ancora più oscura. Il monitoraggio di Cancellato è avvenuto senza alcuna autorizzazione. Quindi alcuni non escludono un funzionario solerte all’interno dei servizi, che avrebbe agito in solitaria. Perché lo avrebbe fatto? Su input di chi? Quali le informazioni da raccogliere? Interrogativi che gettano ulteriori ombre specie dopo l’affaire che ha riguardato il capo di gabinetto della premier, Gaetano Caputi, spiato dalla stessa agenzia per la sicurezza interna in tre date diverse.

E dopo l’inchiesta milanese su Equalize, la centrale di spionaggio con molte entrature, come si è rilevato anche dagli interrogatori dei principali indagati Carmine Gallo e Samuele Calamucci, nelle stanze degli agenti segreti.

Intanto il lavoro delle procure va avanti – il fascicolo è ancora contro ignoti e si sta riflettendo su affidare la consulenza per l’analisi dei telefoni a un unico tecnico – mentre il Copasir è invece quasi giunto alla conclusione dei lavori. Il Comitato potrebbe valutare di realizzare un’ultima audizione coi referenti di Paragon, dopodiché relazionerà sul caso in Parlamento: bisognerà capire se sussistono incongruenze tra quanto dichiarato da Mantovano (la correttezza nell’uso di Paragon da parte dell’intelligence) e dal procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma Giuseppe Amato, destinatario ultimo delle richieste di autorizzazione preventiva.

Spionaggio e caso Almasri

Altra risposta che si attende riguarda ancora una volta l’uso, accertato, di Graphite su Mediterranea. Perché spiare gli attivisti? Sempre in base a quanto appreso da Domani, la ong stava e sta raccogliendo i nominativi di migranti torturati in Libia e deportati in Tunisia: una lista da fornire alla Corte penale internazionale e utile, per le testimonianze, nell’ambito dei suoi processi.

Tra gli spiati col software israeliano c’è anche Husam El Gomati, imprenditore e attivista libico, che da cinque anni denuncia la corruzione del suo Paese: lo scorso 31 gennaio ha scoperto di essere tra le vittime dell’attacco con Graphite. Come lui anche David Yambio, presidente e co-fondatore dell’associazione Refugees in Libya, vittima delle torture del generale libico Almasri, liberato dall’Italia il 21 gennaio nonostante il mandato d’arresto della Cpi. Esiste un legame? Tra le ipotesi quella che l’intelligence abbia proceduto a spiare gli attivisti di Mediterranea per ragioni collegate alla vicenda Almasri.

«Il governo ha fatto un uso politico dei servizi segreti chiedendo loro di svolgere attività di spionaggio con lo spyware Paragon nei confronti di chi salva i naufraghi in mare – ha detto il parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli –. È lo stesso governo che ha liberato Almasri, assassino, torturatore e stupratore». Il caso, appunto, non è affatto chiuso.

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