«Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come Presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini». Il presidente del Consiglio Mario Draghi non ha lasciato dubbi nel suo primo discorso al Senato: la lotta al Covid-19 sarà la priorità del suo governo.

Una priorità che sarà portata avanti con gli stessi mezzi e, in gran parte, con le stesse persone che l’hanno condotta durante il governo precedente. Chi si aspettava un cambio “aperturista” del governo è rimasto deluso, non solo dal discorso, ma anche dalla scelta di Draghi di confermare Roberto Speranza al ministero della Salute.

Ma altrettanto delusi sono quei tecnici e scienziati, come il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi, chiedevano invece una svolta “rigorista” e un contenimento più aggressivo del virus. Nulla, nelle parole o nelle azioni di Draghi, fa pensare a un significativo cambio di rotta almeno nel breve periodo.

Draghi ha detto invece di voler cambiare passo nel piano vaccinale, annunciando l’abbandono delle famose “primule” e il coinvolgimento di esercito, protezione civile e strutture già esistenti nella somministrazione i vaccini.

Più sostanziosa e con conseguenze più ampie è la promessa di riformare la sanità territoriale: una decisione che, potenzialmente, può invertire quasi un ventennio di politiche che andavano nella direzione opposta.

Autocritica

Un altro parziale ma simbolico cambio di rotta è stato accennato da Draghi nelle prime battute del suo discorso. Il presidente del Consiglio è sembrato infatti fare un’autocritica per la recente decisione di prorogare la chiusura degli impianti sciistici a poche ore dalla prevista riapertura, un intervento avvenuto letteralmente all’ultimo momento e criticato con forza dagli operatori del settore e da numerose forze della stessa maggioranza.

«Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole», ha detto Draghi.

Draghi non si è unito, invece, ai critici del sistema sanitario e dei suoi dipendenti. Anzi, ha ricordato «l’enorme sacrificio» compiuto dagli operatori sanitari in termini di contagiati e di morti. «Sacrificio» è la parola che ha utilizzato anche per riconoscere le sofferenze di «coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari» e ringraziarli.

Come cambia il piano vaccini

Per quanto riguarda il piano vaccini, Draghi ha sostanzialmente riassunto le decisioni prese dal suo governo negli ultimi giorni: «Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private».

Si tratta in sostanza dell’abbandono ufficiale delle cosiddette “primule”, le tensostrutture proposte dal commissario straordinario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri e disegnate dall’architetto Stefano Boeri che avrebbero dovuto costituire il principale luogo di vaccinazione per la popolazione.

Non si tratta di una novità radicale. Dirigenti sanitari e tecnici avvertivano da tempo che in nessun caso la campagna vaccinale avrebbe potuto essere limitate a strutture create ad hoc, come le primule. L’utilizzo di centri congressi, cinema, teatri e altri edifici dotati di ampi spazi veniva dato per scontato sin dall’inizio della campagna.

Allo stesso è però, la decisione costituisce un’importante sconfessione di uno dei progetti simbolici del precedente governo, un segnale di rottura dopo che la decisione, ormai data per certa, di non licenziare il commissario Arcuri aveva mostrato una sostanziale continuità.

La riforma della sanità

Di maggiore portata e anche di ben più netta rottura con il passato è invece il passaggio sulla riforma della sanità che, ha detto Draghi, dovrà avere come punto centrale «rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di comunità, consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria)».

Per Draghi rafforzare la sanità territoriale si è reso necessario dopo «l'esperienza accumulata» in questi mesi di pandemia e oggi costituisce l’unico modo «per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di assistenza” e affidare agli ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative». Secondo Draghi: «La “casa come principale luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con l’assistenza domiciliare integrata».

Si tratta di una svolta di 180 gradi rispetto a quanto fatto in materia di sanità in quasi tutti gli ultimi due decenni, un periodo contraddistinto dalla riduzione (secondo alcuni di vero e proprio smantellamento) della sanità territoriale spesso per ragioni di risparmio, e dalla concentrazione nei grandi ospedali di un numero sempre maggiore di prestazioni sanitarie.

Nonostante investire nella sanità territoriale sia un obiettivo condiviso da moltissimi medici ed esperti di sistemi sanitari, sarà molto complicato passare dalle parole ai fatti. E la difficoltà del compito era rappresentata ieri anche simbolicamente. Seduto accanto a Mario Draghi, infatti, era seduto il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, principale consigliere del leader leghista Matteo Salvini e nel recente passato un fortissimo sostenitore della necessità di smobilitare la sanità territoriale e di concentrarsi invece su quella ospedaliera di eccellenza, una strategia perseguita con particolare energia proprio in Lombardia, la regione di cui Giorgetti è originario.

Giorgetti è un politico consumato e non ha mostrato particolari segni di insofferenza, ma se Draghi deciderà di proseguire su questa strada dovrà fare i conti se non con l’opposizione, almeno con il malumore di una parte della sua stessa maggioranza.

 

© Riproduzione riservata