In questi giorni, dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti dal ruolo di segretario del Pd, Domani ha ospitato l'appello - lanciato sulle colonne del nostro giornale da Nadia Urbinati, Stefano Bonaga e Piero Ignazi - contro lo sfaldamento di un partito la cui dirigenza sembra ormai dirigere solo se stessa. Abbiamo chiesto ai nostri lettori cosa ne pensano.

Licia Accardo

Colgo il vostro «stimolo» per produrci in una militanza proattiva. Dopo tante amare sconfitte (15 anni, 8 segretari), in cui si annunciavano «cambiamenti», congressi, confronti radicali, siamo all'ennesima «annunciazione», in cui ripongo (per disperazione) ancora speranza. La pandemia ha posto in evidenza i limiti e le contraddizioni del nostro «sistema dei sistemi». Diventa quindi una necessità rimodulare il «sistema paese» a una normalità pandemica e post-pandemica. Le critiche mosse da Nicola Zingaretti hanno prodotto una deflagrazione interna ed esterna, una discesa in campo di Enrico Letta con una nuova dirompente proposta (speriamo). Abbiamo la necessità, in primo luogo di darci delle risposte. Chi siamo, chi vogliamo rappresentare e con quale visione, paese e metodo? È indispensabile per darci un'identità chiara, netta, coerente e percepibile. Bisogna avere il coraggio di abiurare la pratica del «vincere comunque sia e con chiunque sia», che ci ha snaturati, imbarbariti, legittimando scorribande di trasformisti. Mediare? No, non è più possibile. Bisogna rompere gli schemi senza indugi e aprirsi al confronto e creare, veramente, un raccordo con le parti sociali, le sezioni, i luoghi di lavoro. Bisogna recuperare «il senso di appartenenza, comunità e fiducia», ma c'è l'urgenza di una coraggiosa tempesta che rischiari l'aria.

Paolo Bernardini

Dal mio piccolo osservatorio di elettore disilluso del Partito democratico mi domandavo se le cause della perdita di autorevolezza e credibilità del Pd non risiedano nel suo stesso dna costitutivo. Un modello teorico che rimane difficile da spiegare se non come «fusione fredda» tra cattolici ed ex comunisti, che di fatto ha scavalcato, secondo il mio modesto modo di vedere la cultura politica europea, l'unico modello a cui ispirarsi e da cui trarre legittimità culturale. Quello della socialdemocrazia europea, a cui Matteo Renzi, al netto di tutte le stravaganze, ha tentato di ancorarlo. Mi chiedevo, inoltre, come si concilia lo stare nel partito delle singole correnti, al di fuori di un modello culturale più ampio quello delle rappresentanti. Non credete sia necessario un congresso che ridefinisca le coordinate politiche e culturali a cui riferirsi, al di là dell’abusata prassi di partecipare a tutti i governi di colore e forma com’è successo negli ultimi dieci anni?

Michele Mazza

Comprendo la reattività appassionata e l’indignazione che ha portato a proporre un appello che miri a salvaguardare il Partito democratico come identità e strumento di una presenza della sinistra nel paese. Ma trovo il testo contraddittorio e, per certi versi, anche pericoloso. Infatti, si accredita un valore all’atto di Zingaretti che non mi pare di vedere. Dopo qualche ora dalle dimissioni, lo stesso ex segretario e i suoi collaboratori si sono messi a trattare con Enrico Letta garanzie per la propria corrente. Si intravede già l’epilogo: l’eventuale segreteria Letta che sarà uguale a quella dei suoi predecessori negli ultimi dieci anni. Una segreteria priva di forza politica e basata solo sulle relazione interne al suo staff. Se non si pone in discussione l’idea di partito, non si porranno le condizioni per ridare peso e slancio alla sinistra. Dal 1989 attendiamo ancora di capire perché sia caduta l’Urss e perché conseguentemente il Partito comunista italiano si sia sciolto. Aprire questa discussione significa dare un seguito alla tesi che pose un secolo e mezzo fa uno dei «Dante», causa della sinistra nel mondo, Karl Marx: «Il mulino a braccia vi darà la società col signore feudale e il mulino a vapore la società col capitalista industriale». Quale e società e quindi quale partito ci darà il mulino digitale? 

F. SARRA

Ho quasi 71 anni e nel 1976 mi sono iscritto al Partito comunista italiano e poi al Partito democratico. Ho contribuito a far nascere una sezione del Pci ai tempi di Luigi Petroselli, il quale venne a inaugurarla, e della quale sono stato segretario. Successivamente ho fatto il capogruppo in circoscrizione.

Dalla svolta della Bolognina ho smesso di lavorare attivamente per il partito. In compenso, ho dovuto assistere a una moltitudine di scissioni, ripensamenti, tradimenti, che sono continuati anche dopo la nascita del Pd. Ma i valori che mi avevano portato all'impegno politico sono sempre rimasti la bussola del mio pensiero politico. Anche ora, nonostante la situazione, c'è mancanza di chiarezza e di coraggio.

Il «popolo della sinistra» c'è, è numeroso, solo che non vuole essere confuso, immolato, scambiato con tutta una serie di fenomeni e situazioni che non fanno parte del nostro modo di pensare. Che c'entrano il renzismo, i renziani, le primarie, gli ex democristiani, gli accordi con il Movimento 5 stelle, le correnti, una vita di accordi dietro le quinte fino a vivere da democristiani, con chi è di sinistra?

Noi vorremmo un segretario eletto da un congresso su un programma politico discusso nelle sedi del Pd, degli iscritti che collaborino per diffondere le tesi politiche del partito tra la gente e che raccolgano le idee e i problemi delle persone. Vorremmo una classe dirigente che venisse nei circoli a sentire quello che i militanti hanno da dire perché siamo informati. Vorremmo che chi rappresenta il Pd nelle istituzioni lo faccia perché sa quello di cui la gente ha bisogno.

Il potere di controllo sui dirigenti deve essere dei circoli. Io non conosco i consiglieri comunali del mio comune, i consiglieri regionali della mia regione, i parlamentari del mio territorio. Non conosco nemmeno i dirigenti del circolo della mia zona che chissà dove saranno rintanati. Capisco che i tempi sono cambiati, che i social hanno cambiato le abitudini dei cittadini, ma non possiamo rassegnarci al silenzio, alla non conoscenza dei problemi, alla non competenza. Ecco perché il distacco con la gente non si recupera: se i dirigenti non si muovono e non ci vengono ad ascoltare, non sapranno mai quali sono i nostri veri problemi e saranno sempre sorpresi dalla realtà invece di lavorare per trovare soluzioni. Il populismo nella sinistra è un ossimoro.

Andrea Galli

In merito ai valori della sinistra, bisognerebbe costruire da zero un partito su base regionale, che abbia come target primario la “prateria” degli astenuti, e secondario quello del popolo del Pd.
Il nucleo fondante potrebbe venire dalle università e dalle professioni e istituzioni. Niente politici. L'obiettivo deve essere quello di creare un partito "confederato" dei delegati delle regioni con un 30 per cento di consensi. Il tempo massimo necessario per farlo è di 30/40 giorni. Io cd. Social aiuteràanno, ma serve un organo di stampa prescelto. Spese minime e molto volontariato. E poi anche leader con ambizioni e vocazioni nascoste sono benvenuti!
La struttura organizzativa seguirà parallelamente allo sviluppo dell'iniziativa.

Antonio Simondo, Magenta

Gentilissimi, ho letto il vostro appello, apparso oggi su Domani e lo condivido in pieno. Qualche minuto fa ho postato su facebook questo mio piccolo, modesto appello:

«Conoscete la mia storia, uscito dal Pd per i motivi che sapete e rientratovi, accolto fraternamente, per ragioni anch'esse a voi note. Non l’ho mandata a dire al tempo, mi sono comportato secondo coscienza, tutto qui.

Questa premessa per dire alla comunità, di cui sono ritornato a far parte, che mi addolora immensamente il fatto che un giovane, certamente non di destra, anzi, possa dichiarare a un giornale che «questo PD è tossico»! È un dolore forte, credetemi, e penso che occorra rispondergli subito, nei fatti e con azioni concrete, che non è così, che si sbaglia, che il Pd è, siamo, il nervo centrale di un corpo sano e democratico, anticorpo vivo e attivo per sconfiggere ogni tentativo di portare al potere la destra sfascista che ben conosciamo.

Spero che i prossimi giorni, decisivi per la sopravvivenza del Pd, vengano utilizzati al meglio per rispondere a quel giovane e farlo ricredere, magari ci chiederà scusa, ammettendo che sì, si era sbagliato.»

Resto a disposizione per dare una mano, per evitare la dissoluzione del Pd, che tanti sognano, e che penso sarebbe una sciagura per la democrazia nel nostro paese. Ha ragione Cuperlo, va detto chiaramente: questo Pd ha fallito, ma se vogliamo salvare il progetto - e occorre chiederlo, siamo d’accordo sul salvare il progetto? Penso che siamo in tanti a esserlo - bisogna agire subito, mettersi all’opera per ricostruire dalle macerie, partendo dal basso, dai territori, chiamando tutte e tutti a rimboccarsi le maniche, a lavorare a mani nude. Quell’immagine, potente, di un papa che celebra messa in mezzo alle macerie di una chiesa distrutta deve spronarci a tentare quel che ora sembra impossibile, ma non lo è.

Chiara Fabbri

Accolgo con piacere l'appello a salvare il più grande partito di sinistra in Italia dalla pochezza di una triste manciata di figure che, purtroppo, occupano il partito. Tranne che nel triste periodo renziano ho sempre votato per tutte le successive incarnazioni dell'odierno Pd

Non ci vuole un nuovo contenitore, ci vogliono contenuti. E soprattutto non ci vuole un uomo solo al comando, ma ci vogliono tante persone che portano idee, se le idee sono buone e se le persone che le portano sono credibili. I voti arriveranno, se in quelle idee si crede.

Il Pd deve essere il partito dei miei figli che non devono andare all'estero perché disperati, ma per scelta se lo vorranno. Deve guardare alle periferie per prosciugare il mare di disperazione che alimenta il razzismo. Deve guardare al sud, perché un paese che investe solo su un terzo della sua popolazione vale un terzo di quello che potrebbe valere. Deve sostenere l'industria che investe in ricerca e sviluppo e combattere quella che sfrutta e fugge dalla partecipazione alla giusta quota di oneri fiscali.
Il Pd deve essere il partito che non ha paura di essere popolare, perché nella nostra costituzione la sovranità è del popolo. 

Buttate fuori i mercanti dal tempio, tornate nelle periferie, nelle fabbriche; parlate con le persone e offrite soluzioni ambiziose, sognate di nuovo, i voti seguiranno.

Avete tutto il mio sostegno, ma non aspettate a fare pulizia: il tempo della cortesia è finito da un pezzo.

Massimiliano Marena

Ritengo che il Partito democratico debba ripartire dalla sua collocazione europea nell’ambito della famiglia socialdemocratica, laburista e progressista, e rinforzare anche in Italia l’immagine e l’identità di un partito di sinistra di governo. Detto questo, il Pd, secondo me, dovrà anche porsi il problema di quali regole e riforme elettorali e parlamentari vuole proporre all’Italia per dare finalmente una stabilità al nostro sistema politico.

Quindi, dovrà scegliere tra un modello proporzionale con il cancellierato alla tedesca oppure un modello più presidenziale alla francese con il doppio turno. In questa fase di ricostruzione del paese si deve giustamente pensare alle problematiche economiche e sociali che attanagliano la popolazione italiana, ma non si può pensare il futuro dell’Italia senza immaginare un disegno costituzionale complessivo, che duri almeno 50 anni, dell'intero sistema politico. Queste questioni non vanno denigrate come sovrastrutture inutili o ingegnerie costituzionali lontane dai problemi della gente, anzi a mio parere sono la precondizione per poter legiferare rapidamente e con efficacia sui grandi temi del futuro. 

In conclusione, credo che il Pd dovrà assolutamente, nei prossimi mesi e settimane, elaborare dei programmi duraturi per il futuro del paese, che riguardino: la fondamentale questione energetica, il riassetto e la messa in sicurezza del territorio italiano, il piano nazionale delle infrastrutture, le politiche industriali per il lavoro che comportino anche la riconversione ecologica di tutte le attività inquinanti e non più sostenibili per l'ambiente italiano; la riforma della scuola, ispirandosi a modelli europei, con una didattica rivista e più favorevole all’occupazione. C’è bisogno anche di una proposta forte del partito sui temi dei migranti, degli accessi, delle quote, di una politica di aiuti per l’Africa, dalla quale i migranti scappano per miseria e per guerre e, quindi, c’è bisogno di una politica estera capace di rispondere a tutte le problematiche dell'area geopolitica mediterranea nella quale siamo inseriti. Ecco, credo che questi siano i temi da porre al centro del presente e del futuro del Pd, al di là di chi lo guiderà, cercando comunque di unire il partito in una leadership forte e condivisa.

Max Carbone, Merano (Bz)

Partire da dove? Dall'intuizione dell'Ulivo, bella opzione, ma rivelatasi velleitaria, figlia dello sguardo in tralice tra Moro e Berlinguer. L'Ulivo, sull'onda democratica americana, poteva essere la chance per un paese, ma il paese doveva essere maturo per questa opzione, meno provinciale, meno litigioso, meno schiavo della doppia religione catto-sinistrorsa. Poi il Pd e la fusione fredda, mai del tutto digerita, come ben sappiamo. Il Pd è un partito che rappresenta il ceto medio-alto, quello che una volta chiamavamo «borghesia», essenziale come area politica per un Paese moderno. Ma il Pd deve mettere in pratica i suoi valori di riferimento, che spesso stridono con la sua nuova classe di riferimento. Cercare consensi al centro per governare porta sempre a lottare sia sul fronte destro sia su quello sinistro. Forse quell'area ha bisogno di leader veri, empatici, onesti intellettualmente e capaci di dire la verità (non si escluda nessuno). Renzi ne tracciò una via possibile, ma l'uomo resta sfuggente, non scalda e non convince, senza negargli doti di politico capace. E poi, da che posizione si può governare un popolo come quello italiano, litigioso, volitivo, poco incline a ragionare sul lungo periodo? Il posizionamento europeo è indispensabile, io ragionerei su alleanze programmatiche con altri partiti simili in Europa, magari unendo i simboli stabilmente e costituendo realmente una federazione. 

Massimo Anselmo, Francesco Ceci, Giovanni Dispoto e Roberto Giannì

Vista da sud, dove la vita democratica sta all'anno zero, la crisi del Pd aperta dalle dimissioni di Nicola Zingaretti costituisce un ulteriore segnale del progressivo deterioramento del dibattito nei partiti, mentre nel paese si avverte la necessità di un radicale rilancio della vita democratica, condizione essenziale per superare lo stato di crisi attuale messo a nudo dalla pandemia.

Indipendentemente dalle scelte elettorali, a favore o meno del Pd, non siamo indifferenti all'imbarbarimento dei partiti per il peso che essi hanno nella nostra democrazia, che non può essere tenuta in ostaggio da lotte di potere, estranee a speranze e domande che i cittadini hanno affidato ai propri rappresentanti, e questo è tanto più vero per un partito che si dichiara democratico.

Perciò, vogliamo interpretare il gesto di Zingaretti come un atto di denuncia e sfida democratica e, in questo senso, lo condividiamo.

Infatti, chi detiene il privilegio e l'onere della rappresentanza dovrebbe essere consapevole che il paese non uscirà dall'attuale gravissima crisi con manovre di palazzo né grazie ai prodigi del salvatore di turno, ma solo a partire da una democrazia dove differenti interessi e volontà si confrontano apertamente, anche lottando se necessario e, soprattutto, dando spazio e voce alle necessità e speranze di tutti coloro, i più deboli, i quali stanno pagando il prezzo più alto di questa crisi.

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