Stavolta la regola è: «Patti chiari, amicizia lunga». All’esordio della nuova serie di decreti sulle nuove regole anticontagio che stabiliranno, di volta in volta, solo «lockdown mirati» il ministro della Salute Roberto Speranza chiarisce subito che stavolta le regioni «potranno imporre norme più restrittive, non il contrario». Niente riaperture a macchia di leopardo, stavolta il tentativo del governo è convincere i presidenti a rispettare la cornice nazionale e di evitare lo spettacolo di un’Italia diseguale, che cammina a venti velocità diverse, come durante la prima ondata di Covid-19.

Le misure

In effetti lunedì il clima sembrava quello dell’ascolto reciproco, almeno subito prima di accendere gli schermi della cabina di regia fra governo, regioni, Anci, l’associazione nazionale dei comuni, e l’Unione delle province (Upi) sulle misure anti Covid.

«Oggi c’è più collaborazione», spiegavano con sollievo dal ministero degli Affari regionali. Anche perché fra gli argomenti sul tavolo c’era l’ok all’utilizzo di test rapidi per rafforzare i controlli sui territori, quindi non più solo i test molecolari e gli antigenici già autorizzati.

I test rapidi sono quelli che servono per dare risposte in tempo reale soprattutto nelle scuole, un fronte particolarmente delicato in queste ore. Dalle regioni infatti arriva la proposta di prevedere la didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori per evitare gli assembramenti sui mezzi pubblici.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente dell’Anci Antonio De Caro, che ha chiesto di incentivare lo smart working e differenziare gli orari delle scuole per ridurre le presenze dei pendolari sui mezzi di trasporto.

Il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini ha proposto di mantenere il numero di mille persone per le manifestazioni all’aperto (negli stadi, per esempio) e 200 al chiuso attraverso la regola del 10 per cento della capienza, suggerimento accolto, pare, dall’esecutivo.

I presidenti di Toscana, Liguria e Abruzzo tifano contro lo stop al calcetto per proteggere gli sport minori: anche qui via libera dal governo, ma soltanto per quanto riguarda le società dilettantistiche che abbiano adottato protocolli per limitare i contagi.

Alla fine sembrano essere nel documento di sintesi lo stop alle gite scolastiche, e le chiusure dei locali anticipate a mezzanotte, con divieto, dopo le 21, di consumare bevande davanti a ristoranti e pub. Risolto, seppur fra malumori, il nodo delle feste in casa, per cui il premier Giuseppe Conte avrebbe valutato un tetto massimo di sei ospiti: mentre Speranza infatti vedeva all’orizzonte un aumento dei controlli e un invito a segnalare le situazioni fuori norma, quest’ipotesi è stata smentita nel corso della giornata da palazzo Chigi.

Il passaggio resta delicato, tanto che lunedì Conte ha voluto partecipare alla riunione. Ma stavolta c’è un tema di fondo su cui governo e regioni sono d’accordo: nessun lockdown generale. «Abbiamo lavorato proprio per prevenirlo. Se questa curva dovesse continuare a risalire prevedo qualche lockdown circoscritto ma non siamo più nella situazione di chiusure su tutto il territorio o su grandi aree», ha detto Conte.

Nuova intesa

Rispetto alla scorsa primavera, i presidenti di regione ora sono meno sul piede di guerra. Ma è vero che anche per il governo è cambiato qualcosa.

Dopo l’ultima tornata di amministrative il fronte della destra si è allargato, quello delle regioni allineate con il governo giallorosso si è ridotto a cinque: Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Puglia e Campania.

Fra le regioni amiche, se Bonaccini ha il piglio del pontiere, più di prima, il presidente campano Vincenzo De Luca invece si trova in una situazione molto complicata. Le sue posizioni da «sceriffo» che in campagna elettorale funzionavano come spot elettorali, alla prova dei contagi si sono rivelate poco efficaci.

E anzi hanno aperto un pesante contenzioso con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris che lo accusa di tenerlo all’oscuro dei dati sull’andamento del virus. In queste ore in cui il contagio procede, la Lombardia si trova a essere di nuovo la regione con il maggior numero di positivi (a ieri oltre 13mila) e con il maggior incremento giornaliero.

Il suo presidente Attilio Fontana, il più pugnace nella prima ondata, adesso però è assediato anche dalle indagini giudiziarie. E contro Roma abbaia ma non morde. «Contrasteremo ogni ipotesi di un altro lockdown, il nostro paese in questo momento non può permettersene un altro», dice. Sapendo che l’ipotesi non è all’orizzonte. E così anche Giovanni Toti, appena rieletto in Liguria: «La nostra economia non può permettersi un altro stop».

Il presidente del Veneto Luca Zaia punta a ricevere l’ok per i test rapidi e per quelli dell’autodiagnosi. Massimiliano Fedriga, del Friuli Venezia Giulia, ha preso male il primo Dpcm ma cerca di contenersi: «Stiamo cercando di convincere il governo a correggere un’impostazione che riteniamo sbagliata, ma senza andare allo scontro istituzionale, anche perché penso che questa sia la fase della collaborazione».

Insomma, è il momento della tregua. Vedremo se reggerà via via che i contagi crescono. Non ne è convinto fino in fondo Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera: «Per superare questa seconda ondata deve essere ulteriormente rafforzata la collaborazione istituzionale tra stato e regioni. Nessuna fuga in avanti».

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