Alla fine ci hanno salvato i maiali, sì avete capito bene, i porci, luridi, sporchi, ma utili porci. Gli antichi lo insegnavano: tieniti un porco in casa che è meglio di un figlio, perché di un porco non butti via nulla: fette, fettine, carne e macello, del porco divori fino all'ultimo brandello. Tagli di ogni genere, prodotto fresco e congelato, e guai a dimenticare che dalle setole del porco puoi ricavare spazzole, e per farsi belli, perfino pennelli. E con le ossa puoi produrre colla. Ma gli antichi avevano dimenticato un dettaglio.

Un dettaglio che ci ha salvati. Sì è vero, del porco non butti via nulla, neanche la maschera. Sì, la maschera. Perché senza quelle maschere da maiali non sarebbe mai finita la stagione della spartizione che lì, dietro quella cartapesta si celava, il tempo lungo della goliardia a perdere, il sogno mal celato di saccheggiare il nostro oro nero, quella cultura che è una bestemmia, per taluni. Per altri, una gloria in dono. Quel panorama di  storia e gloria  che proviamo ancora a conservare. Nostalgici, illusi o avveduti salvatori della patria.

Alla fine ci ha salvati Fiorito, il Batman di Anagni, ve lo ricordate o no? Ma come no. La sua casa in centro, le sue spese folli, la boria, la cantata dei briganti, le feste. E quelle maschere, nel giorno del risveglio dall'incanto di una porcilaia travestita da cambiamento. Con lui è venuta giù una Regione e abbiamo salvato una terra, perché per un Fiorito che va, un Adriano, salvo, che viene. E ci tocca anche brindare, festeggiare. Poi la sera quando torniamo a casa stanchi, ci sentiamo leggermente ridicoli. Vincere senza avanzare. Più che una vittoria il trionfo della retroguardia. In realtà in controluce vedi un fallimento, questo è un Paese dissennato che gioca in difesa. Meglio brodo finto che restar digiuni. Noi lottiamo, viviamo, per difendere quello che già è nostro, mai un avanzamento, un passetto, un salto in avanti. Salviamo quello che già c’è.

Questa è l’unica rivoluzione possibile. E pensate che Fiorito bisogna ringraziarlo perché almeno siamo riusciti a indignarci, per una mancia, ma almeno ci siamo indignati. Informazione, pubblico pagante hanno gonfiato per mesi giornali e dibattiti per gli spicci contestati a Fiorito, per la spartizione di milioni di euro tra i gruppi regionali del Lazio.

Eppure quel sistema era riuscito a superare indenne il grande salto tentato e non riuscito: saccheggiare la Villa che fu di Adriano.

Di colpo spostare 500 milioni di euro da un tavolo all'altro, costruire il grande partito dei rifiuti, con sprovveduti imprenditori, mal celati dietro società anonime svizzere, pronti a gestire la nuova grande discarica della capitale. Ad un prezzo: fulminare Adriano e le sue memorie. Le nostre memorie. L'agguato alla nostra storia ci ha trovato spenti, indifferenti, assonnati. Desti di fronte alle briciole rubacchiate ai piedi del tavolo, mentre, ciechi, abbiamo girato le spalle quando si spartivano il bottino.

A Roma, certo, nella villa di Adriano, ma è affar identico anche altrove, cambiano nomi e sigle, ma sono uguali gli intenti, con storie millenarie a rischio stenti.

Il precedente campano

L’Italia ha sperimentato in terra campana una delle più grandi operazioni di pulizia etica, cancellando diritti e democrazia; ha militarizzato il territorio, dichiarando discariche e inceneritori «sito d’interesse strategico-militare»; ha malmenato e arrestato chi protestava contro le discariche illegali, poi chiuse dalla magistratura; ha legato le mani ai magistrati che osavano indagare,  portando alle estreme conseguenze un modello di gestione dei rifiuti che fino ad allora era stato di competenza solo della camorra.

Lo Stato al suo livello più basso, fatto di scandali, fallimenti, vergogna. Le discariche sono sorte ovunque, a poche centinaia di metri da centri ospedalieri, in parchi nazionali, come a Terzigno, terra di mele annurche e vino pregiato, terra di Vesuvio e storia. E mentre i militari presidiavano la discarica, dentro lavoravano le ditte di camorra. Avevamo Napoli e la Campania per capire, ma la memoria è una battuta, un sollazzo, e a ricordarla ora cresce solo rabbia e imbarazzo. 

La villa è salva?

E Roma che fa? Guarda, osserva e copia. Perché è il paese che viaggia in direzione suicidio. I poli museali, l'incanto del tempo, l'immersione nella storia, farsi custodi e testimoni, è disperdere energia, così si preferisce altro. Tra due scelte, i centri di potere preferiscono l'economia nera e affaristica dei sacchetti da smaltire, dei rifiuti da trasportare, dei clienti e dei soldi sporchi. Tutto e subito, gambizzando il futuro sfregiano il passato. «Con la cultura non si mangia» fu  lezione di governo. 

I protagonisti politici sono stati molti. I fautori, assertori, sostenitori della discarica al confine con la Villa di Adriano.

Voi immaginate una proposta analoga in Francia? Un Presidente del Consiglio, oppure un sottosegretario, una governatrice, un prefetto commissario, che osino proporre: apriamo una discarica vicino a Versailles. Dovrebbe prendere il primo aereo per un Paese lontano lontano.

Qui sono rimasti tutti: statisti, onorevoli, prefetti ed eccellenze dello stato. Crollato il governo Berlusconi, l'esecutivo dei professori, il governo Monti, bloccherà la discarica dopo una sollevazione popolare guidata da artisti, celebrità, archeologi, giornalisti, agricoltori, associazioni ambientaliste, cittadine e cittadini. Abbiamo giocato col fuoco.

L'opzione Corcolle viene bocciata. Pecoraro si dimette. Ma non è finita. Sono arrivati i nuovi, la sindaca 'onestà, onestà', che tra una promessa e una ovvietà ha piazzato ai rifiuti Paola Muraro, per anni consulente di Ama Spa.  La prima scelta contro l'emergenza? Usare un impianto di proprietà di Cerroni, qualcuno risentito ha scherzato: “aridatece Panzironi”. Poi vestita da esperta dell'antiterrorismo ha ammonito: «Non si posson lasciare i sacchetti abbandonati», ma mica perché è una roba immonda, ma «perché» ha detto l'assessora, «lì sotto potrebbe nascondersi  una bomba».

Muraro si è dimessa, una nuova assessora è arrivata. Giurava cambiamento.

Ha lasciato anche lei tra accuse alla sindaca e non poco rodimento.

E oggi? Passeggiate per Roma, guardatevi intorno: a pensarci bene riviviamo un costante ritorno. Nella città capitale partono i camion con lo scarto alimentare, nessuno ha ampliato l'impianto di compostaggio. La differenziata al 65 per cento è rimasto un mirabile miraggio. Funziona ancora Rocca Cencia, ingoia e risputa rifiuti, a pochi passi dal magnifico Parco Archeologico di Gabii. I grillini promettevano chiusura, erano fuochi fatui: ora son tutti muti. La spazzatura non arriva ai primi piani dei palazzi perché la sindaca apre la discarica di Albano e accende una nuova linea di incenerimento. Le promesse di differenziata sono andate via col vento.

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