Sembrano lontani i tempi in cui a Milano gli operai, che usavano il tram per raggiungere il lavoro, avevano l’esigenza di conservare il pranzo per evitare che si rovesciasse addosso ai loro vicini di posto. Complice una brusca frenata, Renato Caimi nel 1949 ebbe l’idea di realizzare un contenitore ermetico dopo aver assistito alla scena di un passeggero che, perdendo l’equilibrio sul tram, rovesciò a terra un pentolino con la minestra.
Caimi, nel 1952, con la sua piccola azienda metalmeccanica della Brianza, brevettò un contenitore in alluminio con la chiusura a leva che proteggeva ermeticamente il cibo contenuto all’interno. Questo portavivande era conosciuto con il nome di “schiscetta”, usando per l’appunto un termine del dialetto lombardo schiscià, ossia schiacciare, perché il cibo veniva premuto per farlo restare all’interno del recipiente.
Oggi il termine schiscetta è un nome riconosciuto in tutta Italia e sembra resistere anche all’uso dell’espressione lunch box, che negli ultimi anni ha aumentato la sua attrattiva, riuscendo a rendere più alla moda il momento della pausa pranzo consumata in ufficio.

Uno studio condotto nel 2020 da GfK Italia ha rilevato che il 53 per cento dei lavoratori dipendenti italiani si porta il pranzo da casa almeno una volta alla settimana, mentre il 23 per cento lo fa tutti i giorni, sei italiani su dieci mangiano fuori casa. L’Italia degli anni Cinquanta con la sua classe operaia sono lontani dai modelli attuali, sicuramente complice l’avvento dei social, anche il momento della pausa pranzo, il suo consumo e la sua preparazione, diventano attimi di vita su cui realizzare contenuti digitali, che spesso, catalizzano l’attenzione di milioni di utenti.
Da Instagram a TikTok ci sono mamme, mogli, fidanzate, studenti universitari e lavoratori dipendenti che riescono a creare attorno alla pausa pranzo vere e proprie community pronte a postare e condividere le proprie schiscette.

Fenomeno Instagram

Epoca pre Covid, il 24 gennaio del 2018, una normale pausa pranzo fra colleghi e lo sfottò generale sulla bruttezza delle proprie schiscette determina la nascita – diciamo in modo inconsapevole – di una pagina Instagram: @schiscettebrutte, che ironizza proprio sull’impresentabilità di certi cibi consumati in ufficio. Una foto scattata dall’alto sui vari contenitori e la pagina prende vita animandosi di immagini senza appeal, ma molto reali.

​​​​​​L’ideatore dell’account Instagram @schiscettebrutte preferisce continuare a pubblicare restando nell’anonimato del suo operato, perché come spiega: «Il successo di questa pagina è fatto dalla propria community, che condivide la pausa pranzo come un momento di pura normalità, smettendo di essere “fighi” a tutti i costi».
A.M, queste le iniziali del nome dell’amministratore della pagina @schiscettebrutte, che conta 13,4 mila follower, oggi non condivide più la pausa pranzo con quei colleghi dove tutto era nato. «La bruttezza dei nostri cibi, alcuni davvero improponibili», continua A.M., «ci portava a ironizzare fra noi, lo so la storia è banale ma è davvero reale».
Non ha mai accettato proposte di collaborazioni e partnership con marchi noti, nonostante gli siano arrivate, perché l’intento è quello di far crescere la community, che si autoalimenta, senza la smania di dover monetizzare a tutti i costi. Il Covid ha messo in pausa i post di @schiscettebrutte che con la ripresa del lavoro in ufficio ha visto crescere il numero dei suoi seguaci, complice anche quella tendenza, nata proprio dal mondo dei social, di voler raccontare la realtà, scrollandosi l’idea dell’effimera perfezione.
La community è composta da utenti che ricoprono una fascia d’età dai 18 ai 24 anni, maggiormente studenti universitari, e la fascia dai 24 ai 35 anni per lo più dipendenti dislocati nelle grandi città: da Milano, Roma, Torino, Firenze e Bologna, che sono anche importanti sedi universitarie e dove c’è il maggior numero d’uffici. Un target appetibile che A.M. non ha intenzione di sfruttare e che preserva per salvaguardarne il semplice spirito d’ironia e d’aggregazione delle origini.

Marcella Da Rugna, milanese doc, è l’ideatrice, sempre su Instagram, della pagina @miss.schiscia, come lei si definisce: «Portatrice sana di schiscetta». Nel novembre 2018 decide di aprire questo account come forma di ribellione al pasto consumato fuori casa perché i tempi della pausa pranzo al bar erano sempre più ristretti e un buono pasto non era più sufficiente.
La schiscetta portata da casa era la soluzione più economica e sana per la sua pausa pranzo e ne ebbe la riprova appena iniziò a portarla a lavoro. I colleghi apprezzavano molto i suoi pasti e così iniziò a postarli sul suo account, sperando che a qualche utente potesse essere utile. In effetti i suoi followers ad oggi sono più di ventimila e la sua pagina resta un luogo virtuale dove rilasciare informazioni e condividere schiscette senza scopi economici.

Influencer su TikTok

Spostandoci su TikTok, la piattaforma di video sharing cinese nata nel 2016, la schiscetta prende vita attraverso molti video, dove i tiktoker mostrano come prepararla e altri la consumano in diretta. Oltreoceano la schiscetta si trasforma in lunch box e la questione diventa davvero più strutturata. In questo periodo gli utenti preparano pranzi in pieno stile Halloween, quindi i pancake assumono le forme di zucche, i wrap vengono decorati con effetti horror.

Caramelle gelatinose, muffin, macaron, e marshmallow sono solo alcuni dei cibi preferiti dalle mamme americane per addolcire il pasto dei propri figli. Se in Italia la schiscetta strizza l’occhio ai cibi sani, puntando su piatti equilibrati nel rapporto tra proteine e carboidrati in America il mix calorico risulta più sbilanciato.

Gli universitari italiani si divertono a mostrare le proprie schiscette consumate in aula tra una lezione e l’altra e all’estero l’attenzione è focalizzata più sul contenitore che sul contenuto. @lizastian con un milione di followers, direttamente dalla California, tutte le mattine mostra agli utenti i lunch box per suo marito, un mix di forme nipponiche e sushi roll con contaminazioni americane.

Giulia Ermini (@giuliaermini7 su TikTok) con naturalezza tutti i giorni dialoga con la sua community, partendo dal contenuto della propria schiscetta. «Sono partita un anno e mezzo fa perché vivendo da sola prendevo spunto dai social su cosa prepararmi per il pranzo, un giorno ho deciso di iniziare a pubblicare io le mie schiscette e da quel momento, in modo inaspettato, ho visto crescere l’interesse, non sono una chef e le cose che cucino sono cibi normali, spesso li acquisto già pronti, perché non c’è il tempo di fare tutto. Questo momento social per me è solo svago personale».

Il fenomeno social che ruota attorno alla schiscetta rende la pausa pranzo un aspetto di “appetibile” normalità che merita il racconto, attraverso stili differenti che evidenziano quanto questo momento dell’esistenza umana costituisca un fenomeno sociale che è giusto considerare e descrivere.

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