«Ripetete con noi: il problema non è la gonna!», twittano infuriate le femministe francesi. Da quando una gonna può essere considerata un problema? I fatti. Élizabeth è una studentessa di ventidue anni e il 18 settembre, nel primo pomeriggio, sta rientrando a casa. In piena Strasburgo, viene assaltata da tre uomini, coetanei: il primo fa agli altri, «guardate questa puttanella con la gonna». La ragazza con fermezza dice: «Come, scusa?». «Fottiti, troia, adesso abbassa gli occhi e stai zitta», si sente rispondere. In due la afferrano per le braccia, un terzo le sferra un pugno in faccia. Élizabeth ha raccontato questa storia tre giorni dopo, con il volto ancora livido, all’emittente locale France Bleu Alsace. Ha denunciato pure che nessuno sia intervenuto, «come se non avessero visto nulla». Eppure ad assistere alla scena c’erano una quindicina di persone. Il quotidiano “20minutes” diffonde la notizia così, su twitter: «Ragazzina aggredita in piena Strasburgo perché indossava una gonna». E a quel punto il gruppo di femministe Nous toutes (tutte noi) protesta: il problema sarebbe il vestito? Quella ragazza è stata aggredita «perché degli uomini l’hanno assalita», non certo perché ha scelto di indossare una gonna. Che tra l’altro Élizabeth dichiara di avere «tutta l’intenzione di continuare a mettere».

“Non è colpa nostra se gli cade l’occhio”: con questo slogan, e indossando fieramente la minigonna, le ragazze del liceo Socrate di Roma hanno protestato proprio una settimana fa per scardinare il falso nesso tra il modo in cui una donna decide di esprimersi, di vestirsi, e le molestie. La rivolta delle gonne è stata una risposta a una frase della vicepreside, che aveva consigliato alle allieve di non indossare gonne corte, altrimenti «a qualche prof potrebbe cadere l’occhio». C’è un fil rouge che collega queste studentesse alla Francia di Élizabeth. Anche nei licei francesi infatti le ragazzine stanno praticando la protesta delle gonne. Per la precisione, è pure la protesta degli ombelichi scoperti, delle magliette scollate… L’importante è far capire forte e chiaro che le donne sono libere di vestirsi come vogliono e che se avviene una molestia la responsabilità è di chi la pratica, non certo della vittima o di come sceglie di esprimere la sua fisicità. La manifestazione delle liceali francesi, cominciata il 14 settembre e diventata ormai un movimento, #lundi14septembre, si origina perché in una serie di licei viene vietato l’ingresso ad alcune ragazze per il loro abbigliamento, o viene detto loro di vestirsi diversamente. Un caso esemplare è il liceo Branly a Boulogne: un sorvegliante dice a un’allieva che «il modo in cui è vestita è una istigazione allo stupro». La direzione non commenta, ma commentano - furiose - le compagne di scuola, come Laura, 16 anni, che dice: «Le donne si sono battute per essere libere, abbiamo il diritto di vestirci come ci pare. Non spetta alle ragazze coprirsi e nascondersi, spetta ai ragazzi comportarsi in modo educato e civile».

In quel liceo le ragazzine piazzano cartelli: “Il vestito non giustifica la violenza”, “Educate i vostri figli”. In tutta la Francia, le ragazze uniscono le forze, e tra cartelli, hashtag, minigonne e top, fanno sentire la loro voce.Nel frattempo l’indignazione monta, anche perché la scuola non è l’unico luogo pubblico in cui alle donne viene detto come vestirsi. L’8 settembre, all’ingresso del museo d’Orsay di Parigi, una agente dice a una ragazza che «non può certo entrare con quei seni in vista, si copra», e alla fine «mi sono ritrovata gli occhi delle guardie fissi sui miei seni», racconta la protagonista. In una lettera pubblica si chiede «se quelle guardie si sono rese conto di avermi mancato di rispetto e trattato come un oggetto sessuale». «È giusto che per come mi vesto, o perché ho un seno abbondante, un pubblico ufficiale mi impedisca di esercitare il mio diritto alla cultura e alla conoscenza?», in un museo dove campeggiano magnificenti nudi e libere vagine, come quella dipinta da Courbet ne L’origine del mondo. A fine agosto, due poliziotti a Sainte-Marie-la-Mer avevano chiesto alle bagnanti in topless di coprirsi, nonostante nessuna legge impedisca il seno libero in spiaggia. Il ministro dell’Interno Gérald Darmanin era dovuto intervenire per rassicurare l’opinione pubblica: «La libertà è un bene prezioso, quel rimprovero è infondato». Meno accorto è stato il ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, che alle studentesse in protesta ha fatto notare: «I presidi devono far rispettare le tenute normali». Abbigliamenti normali? In risposta, le ragazzine vanno a scuola ancora più scoperte.

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