«Il web non può essere una zona franca». Il gip del tribunale di Milano, Alberto Carboni, lo scrive nell’ordinanza con cui, respingendo le richieste della procura, ordina di andare avanti con le indagini su 86 account per gli insulti a Liliana Segre, ma anche di indagare altre 9 persone e di disporre l’imputazione coatta per 7. Le contestazioni sono di diffamazione, con l’aggravante della discriminazione dell’odio razziale. 

Accusare «di nazismo una reduce dai campi di sterminio integra di per sé» la diffamazione ed è «uno sfregio alla verità oggettiva» e «la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell'olocausto», continua il gip, opponendosi, come detto, alla richiesta di archiviazione avanzata dai pubblici ministeri. 

Ad essere state archiviate, dunque, solo una decina di posizioni: tra queste quella di Chef Rubio per alcuni suoi post. Al secolo Gabriele Rubini, noto personaggio della tv, nei vari post sul tema della causa palestinese scriveva, tra le altre cose, «condanni il sionismo» e frasi con una «forma di aspra critica su temi politicamente sensibili». Chef Rubio, in base a quanto si evince dagli atti giudiziari, usava anche espressioni di «pessimo gusto», che comunque non assumono «valenza diffamatoria». 

Sempre nell’ordinanza di 75 pagine il giudice meneghino riporta una maxi tabella con tutti i 246 messaggi riportati nelle querele della senatrice a vita. Tabella in cui vengono elencati uno ad uno il nickname dell'account, la eventuale individuazione dell'autore, il contenuto della querela e poi la decisione dello stesso gip su ogni singolo messaggio postato.

Il «web – viene ribadito nel provvedimento –  non è uno spazio dove ogni insulto è consentito e dove la reputazione degli individui può essere calpestata impunemente. Va detto che lo schermo di un computer non è una barriera che assicura l'anonimato e che la tastiera non è un'arma contro la quale non ci sono difese. Va ribadito –  come già dimostrano le indagini finora svolte –  che lo Stato è presente e che è pronto ad andare fino in fondo per tutelare i diritti di chi invoca il suo intervento». 

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