Giovedì sera erano in tre, venerdì pomeriggio son diventati quattro e presto minacciano di cadere a grappoli, perché così funzionano le cose negli spogliatoi del calcio. Uno conosce un sarto e si trascina dietro la massa, un altro scopre un barbiere e i capelli si tagliano solo là, uno festeggia un gol col pollice in bocca e il pollice in bocca se lo mettono tutti.

Per motivi suoi e di qualche amico, Fabrizio Corona minaccia di trasformare la serie A in una bambolina voodoo su cui piantare spilli a puntate, vent’anni dopo la stagione dei foto-ricatti, mentre di questa nuova storia si sta occupando una pm che in procura a Torino segue in genere faccende di mafia.

La parola scommesse rende tutto più riconoscibile e drammatico. Quarantatré anni fa, poliziotti e finanzieri fecero irruzione al termine delle partite in sei stadi arrestando tredici persone, con l’accusa di aver venduto partite. La consideriamo la domenica in cui il calcio italiano perse l’innocenza. Da allora ha perso pezzi di etica, un poco alla volta.

Un peccato che ritorna

La scommessa è un peccato capitale che periodicamente torna, stavolta sotto le forme della contemporaneità. I telefonini, l’online, la noia. Non ci sono dentro i mammut che prima di appendere le scarpe a qualche tipo di muro combinano pareggi e trafficano sconfitte. I calciatori impolverati hanno stavolta un’età media di 22 anni e mezzo, giocano tutti in una nazionale e guadagnano fino a 7 milioni a stagione.

Nicolò Fagioli, Nicolò Zaniolo, Sandro Tonali e Nicola Zalewski avranno modo con gli avvocati di far luce sulle rispettive posizioni e le varie ipotesi investigative. Chiariranno se e come hanno partecipato a gioco d’azzardo - solo a poker e blackjack, fa sapere Zaniolo – se hanno adoperato piattaforme illegali, se hanno scommesso sul calcio o su partite della propria squadra, se sono giunti a indebitarsi o sono caduti in qualche brutto giro.

Undici anni fa, Domenico Criscito venne raggiunto sempre a Coverciano dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla frode e alla truffa sportiva, fu escluso dagli Europei, alla fine è stato assolto.

La pubblicità al betting

È l’ipocrisia del calcio che proprio non si può assolvere. Prima, durante e dopo le partite, in tv siamo invasi da spazi nei quali ci danno le quote. I cartelloni negli stadi fanno pubblicità a marchi che richiamano agenzie di scommesse.

Nel luglio 2018 il primo governo Conte vietò con l’articolo 9 del cosiddetto Decreto Dignità «qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro», su qualunque mezzo di comunicazione e durante le manifestazioni sportive. Non solo le istituzioni del calcio, i presidenti dei club, gli editoriali della stampa sportiva hanno chiesto più volte il superamento della norma, per non perdere una fonte di finanziamento.

Di fatto, la legge viene aggirata. Secondo l’Agcom, dare le quote è informazione, sebbene rimandi in modo sfacciato al servizio che gli operatori vendono. Allo stesso modo, sono nati siti di news sportive o di guida tv che hanno nel nome un’appartenenza al prodotto vietato. Con quelli, i club sono liberi di stringere rapporti commerciali.

Nelle squadre

Il Milan dove giocava Tonali ha un accordo con Snaifun («l’app che premia la cultura e la passione sportiva con news, quiz e pronostici»). L’ad Furlani lo ha chiamato un legame solido e speciale. La Juventus di Fagioli ha per partner Eurobet Live, come Lazio e Monza. La Roma dov’è cresciuto Zaniolo si accompagna a Starcasinòsport, come Napoli, Sassuolo, Palermo, l’intera serie B. Settore di competenza dichiarato: infotainment. Qualunque cosa significhi.

Il Bologna fa pubblicità a Unibet TV, il Cagliari e il Verona a Bwin Tv. Urbano Cairo ieri si è detto preoccupato per tanta ludopatia tra i giovani. «Dobbiamo fare di tutto perché la formazione di un calciatore non sia solo tecnica: si deve essere uomini con dei principi», ma pure il Torino ha fra suoi i partner Starcasinòsport e la Gazzetta è entrata con il proprio marchio nel settore dei bookmaker, scommesse online. L’Inter ha messo un anno fa LeoVegas nel tunnel dello stadio, al campo di Appiano, sul kit d’allenamento. I giovani ragazzi ai quali rimproveriamo allora il vizio del betting, il nome dei bookmaker ce l’hanno scritto sulle tute e a bordocampo.

Uno strano divieto

È uno strano divieto. Come chiedere ad Adamo e Eva di non mangiare la mela, ma di far pubblicità a un consorzio della Val di Non. I giocatori non possono scommettere, eppure vivono fra i marchi di chi ammicca e invita a farlo. Al calcio italiano non deve sembrare allora questa grossa macchia, almeno quando i poliziotti sono lontani.

La debolezza ammessa da Buffon non gli ha impedito di avere oggi un ruolo in federazione, nello staff della nazionale che viene detta sotto shock. È questo il mondo che istruirà un processo e giudicherà quattro, dieci, chissà quanti ventenni. Con l’accusa di aver fatto qualcosa che il calcio italiano ci chiede di fare durante ogni partita.

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