C’è un vincitore discreto dietro la vicenda del processo appena conclusosi in Vaticano per la compravendita dell’immobile di lusso a Londra: si tratta, neanche a dirlo, dello Ior, l’Istituto per le opere di religione, mediaticamente noto come la banca vaticana, ovvero l’istituto il cui scopo è quello di «provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili ed immobili ad esso trasferiti o affidati da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione o di carità».

Nella realtà lo Ior può contare su 5,2 miliardi di euro in patrimoni da gestire (erano 6 miliardi nel 2014) e su 12.759 clienti (nel 2021 erano 14.519 e 15.181). Ma, soprattutto, dall’agosto del 2022, il papa gli ha affidato con un “rescritto” (un provvedimento che ha forza di legge), la gestione di tutte le finanze vaticane: «La Santa Sede e le Istituzioni collegate con la Santa Sede», si affermava nel documento, «che siano titolari di attività finanziarie e liquidità, in qualunque forma esse siano detenute, presso Istituzioni finanziarie diverse dallo Ior devono informare lo Ior e trasferirle presso di esso appena possibile entro 30 giorni dal 1° settembre 2022».

Un tesoretto

E appunto qui si giocava una parte non piccola della partita processuale; infatti in gioco c’era il tesoretto della segreteria di Stato, circa 700 milioni di euro, che costituiva una sorta di fondo riservato formato attraverso l’obolo di San Pietro, escluso dai bilanci ufficiali della Santa sede perché destinato a interventi gestiti in proprio dalla segreteria di Stato per particolari emergenze.

Certo è che quando la cosa venne alla luce alla fine del 2014, grazie al lavoro di indagine interna sulle risorse della Santa sede condotto da George Pell (ex prefetto della segreteria per l’Economia), la cosa destò un certo scalpore.

È iniziata allora una battaglia sotterranea fra segreteria per l’Economia e segreteria di Stato sulla gestione di quei fondi; alla fine, è accaduto l’inevitabile: il procedimento giudiziario ha favorito la trasformazione delle finanze vaticane voluta dal papa, ovvero il loro accentramento in un unico ente, e per questo, pure, le condanne del card. Becciu e di altri erano nelle cose, perché di fatto chiudevano un cerchio.

La stessa accusa di peculato contro il cardinale di origine sarda nella vicenda Sloane Avenue si basa sia su una legge dello Stato vaticano (aggiornata nel luglio del 2013, dove appunto si definisce la natura del reato) sia su un articolo del codice di diritto canonico che definisce le modalità di amministrazione dei beni ecclesiastici.

Un bell’ibrido, insomma, con il quale, in qualche modo, si è voluto far emergere il principio di una gestione cattiva e fuori controllo di milioni di euro con danno per la Santa sede. Né può essere dimenticato che a far partire il procedimento fu proprio lo Ior (guidato oggi dal tandem Jean-Baptiste Douville de Franssu, presidente dal 2014, e Gian Franco Mammì, direttore generale dal 2015) che denunciò all’autorità giudiziaria vaticana quella che riteneva fosse un’operazione sospetta (alla banca vaticana era arrivata la richiesta di un ingente prestito da parte della segreteria di Stato per saldare il mutuo che gravava sull’immobile in Sloane Avenue, necessario per riappropriarsi dell’edificio).

Sentenze e milioni

Per quel che riguarda lo Ior, bisogna tenere conto del costante calo della clientela in corso da quando, poco più di un decennio fa, l’istituto ha progressivamente aderito alla normativa internazionale sulla trasparenza; allo stesso tempo calano anche le risorse in gestione, quindi gli investimenti sui mercati, segno che sotto il profilo manageriale ancora qualcosa non va.

E di certo gli oltre 360 milioni complessivi, fra confisca per i reati commessi e risarcimenti alle parti civili, stabiliti dalla sentenza del tribunale per il caso Sloane Avenue, costituirebbero una bella boccata d’ossigeno. Né sarebbe la prima volta che lo Ior, e quindi le finanze vaticane, si rifà ai danni di ex funzionari processati per malversazioni ai danni dell’istituto.

«Nel 2022 si è anche concluso il primo dei procedimenti legali promossi dallo Ior, sia in Vaticano sia all’estero», affermava nell’introduzione al bilancio del 2022 dello Ior il cardinale Santos Abril y Castellò, capo della commissione cardinalizia dell’Istituto, «per fare giustizia degli abusi perpetrati ai suoi danni. Anche sul piano legale l’Istituto ha ottenuto un importante successo con la confisca definitiva e il recupero di somme importanti, a conferma della volontà di perseguire fino in fondo chi, in passato, ha danneggiato l’immagine dell’Istituto».

Il porporato si riferiva al giudizio riguardante Angelo Caloia e Gabriele Liuzzo, rispettivamente ex presidente ed ex legale dell’Istituto, cui la cassazione vaticana aveva confermato la confisca di 25 milioni di euro. I due, ricordava un comunicato dello Ior, erano stati «condannati in primo grado per i reati di peculato e appropriazione indebita ai danni dell’Istituto per le Opere di Religione e condannati a risarcirgli i danni conseguenti alle proprie condotte, unitamente al figlio di Gabriele Liuzzo, avvocato Lamberto Liuzzo, a sua volta condannato per riciclaggio».

Ancora una volta di mezzo c’erano degli immobili, questa volta di proprietà dello stesso Istituto. E non è neanche finita qua, perché nel frattempo sono già stati condannati già in appello Paolo Cipriani e Massimo Tulli, rispettivamente ex direttore e vice direttore dello Ior, accusati di “mala gestio” per aver «disposto alcuni investimenti dell’Istituto tra il 2010 e il 2013, che si sono rivelati sin da subito dannosi in quanto problematici e, in diversi casi, anche illegittimi e oggetto di procedimenti penali». Per loro il risarcimento dovuto a favore dello Ior raggiunge la somma di 40 milioni di euro.

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