Ma che cosa fanno gli oltre 70 sindacalisti a tempo pieno dell'Alitalia, quei piloti, assistenti di volo, impiegati di terra, definiti in sindacalese i «distaccati»?  In così tanti in un'azienda che cade a pezzi dovrebbero fare fuoco e fiamme e invece se ne stanno buoni e silenziosi. A sentire i lavoratori sono così assenti e impalpabili da fare molto meno del minimo sindacale, e scusate il bisticcio di parole. Sono anni, per dirne una, che i sindacalisti interni non convocano neanche un'assemblea per sentire almeno l'aria che tira dalla viva voce dei lavoratori.

Non le convocano le assemblee neppure pro forma, per dare almeno l'impressione che vorrebbero tenere alta la bandiera di quei diritti di riunione che spettano ai lavoratori, almeno 10 ore l'anno, garantiti mezzo secolo fa dallo Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970 che costò agli stessi lavoratori e ai sindacati tanto impegno e determinazione.

Al piccolo esercito dei distaccati-defilati l'azienda paga a fine mese lo stipendio pieno fino a un massimo di 220/230 giorni l'anno, che sommati alle feste e alle ferie diventano di fatto un'annualità intera.

Dati certi non ce ne sono sul numero di questi signori, neanche si sa con esattezza quanto pesino sul bilancio dell'azienda. Su questo aspetto all'Alitalia sono blindati come se dovessero difendere il sancta sanctorum.

Salvo poi far uscire sapientemente qualche sprazzo di verità quando fa comodo, magari per fare pressione proprio sui sindacati nei momenti topici di qualche guerricciola interna. Per lo più si tratta di avvertimenti calibrati, destinati subito alla sordina appena i sindacati fiutano l'antifona.

Successe una cosa del genere, per esempio, tre anni fa quando a Fiumicino c'erano ancora gli arabi di Etihad e in un momento di nervosismo dagli uffici aziendali fecero trapelare l'indiscrezione che i distacchi erano 70 per un controvalore di 9 milioni di euro circa. Così suddivisi: 6 milioni per i piloti, 1,6 per gli assistenti di volo, 1,2 per i dipendenti di terra (impiegati, addetti ai piazzali etc...).

Da allora non è cambiato granché, le cifre grosse sono rimaste quelle. Nove milioni di euro di costi a ben vedere non sono la fine del mondo in una compagnia che perde più di 2 milioni al giorno, non fanno certo la differenza.

Gli amministratori indifferenti

Quel che stupisce è che i dirigenti Alitalia, a parte le poche fiammate intimidatorie di cui abbiamo detto più sopra, non abbiano mai mosso pubblicamente paglia di fronte a ciò che somiglia tanto a un balzello. Anzi, hanno dato l'impressione di volerlo coprire pagando tutto sommato volentieri, segno che fa loro comodo.

E' impensabile che amministratori e manager della compagnia favoriscano i distacchi in ossequio allo Statuto dei lavoratori e alle lotte sindacali di un tempo: alla guida di Alitalia non c'è mai stato nessun Che Guevara.

Amministratori, commissari e manager con i distacchi hanno comprato per poco quel che vale molto, cioè l'acquiescenza sindacale, stipulando un patto implicito di non belligeranza se non proprio di pace sindacale tombale.  I lavoratori non ci hanno guadagnato nulla, visto lo sfacelo degli ultimi 20 anni: azienda massacrata, lavoratori idem.

Quel che succede con i distacchi non ha niente a che vedere con la cogestione o la compartecipazione dei lavoratori alle sorti dell'azienda, è un'altra cosa che è meglio non qualificare per evitare guai giudiziari.

I distacchi sono minuziosamente regolati da accordi tra l'azienda e i sindacati tramite trattative faticose, spesso più impegnative di quelle riservate ai contratti veri e propri che riguardano le migliaia di lavoratori normali.

La vocale decisiva

Nel 2004, ai tempi di Giancarlo Cimoli amministratore, per i distacchi che già allora puzzavano di scandalo, concordarono un «accordo per la moralizzazione». Allora i distacchi pesavano sui bilanci dell'azienda per 5 milioni di euro, due anni più tardi erano già saliti a 6. Con l'arrivo dei Capitani coraggiosi di Silvio Berlusconi nel 2008 le trattative sindacali da cui uscì una macelleria sociale furono incredibilmente a lungo condizionate proprio dal tema dei distacchi, in particoloare quelli dei piloti. Proprio i piloti sono particolarmente affezionati ai distacchi.

E' anche grazie alle pressioni dei loro sindacati di categoria e professionali che in Alitalia sono state mantenute le Rsa (Rappresentanze sindacali aziendali) e non introdotte le Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) se non per un brevissimo periodo negli impianti della Magliana a Roma.

La differenza non è di lana caprina, di mezzo ci sono i soldi. Le Rsu sono elette da tutti i lavoratori e composte da un numero prefissato di soggetti, quindi con esse è più complicato il giochino del gonfiamento dei distacchi.

Con le Rsa è stato tutto più facile perché le Rsa sono elette solo dagli iscritti a ogni sigla sindacale firmataria del contratto di lavoro e le sigle firmatarie del contratto sono tante e poi ognuna di esse può contrattare a piacimento con l'azienda anche il numero dei permessi e di conseguenza dei distacchi.

Grazie a questi stratagemmi all'Alitalia si è arrivati al record di 70 distacchi, un record oltretutto viziato per difetto. Settanta è il numero dei cosiddetti distacchi equivalenti, cioè il numero derivante dalla quantità di permessi sindacali concessi in base d'anno dall'azienda.

Nel concreto i beneficiari sono molti di più, grazie soprattutto all'effetto moltiplicatore di piloti e assistenti. Questi ultimi non possono essere distaccati a tempo pieno perché almeno un po' devono volare ogni mese (magari nei giorni di festa per guadagnare di più) per non perdere i brevetti, che sono preziosi come l'oro. Piloti e assistenti devono quindi piegarsi al part time sindacale e sono costretti a condividere i distacchi con altri.

A conti fatti i 70 distacchi equivalgono quindi a un numero almeno doppio di persone fisiche. Ora parte la newco, la nuova Alitalia.  Non ci sono segnali che qualcuno in azienda voglia voltare pagina: i distacchi sono come i fili dell'alta tensione, vietato toccare.

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