Appare quando meno te lo aspetti il quartiere Q4 di Latina. La Pontina - la strada che dalla capitale scende verso il litorale sud, le spiagge borghesi di Sabaudia, il magnifico Circeo - lo taglia in due ad una settantina di chilometri da Roma. I palazzi, le vele, la Scampia dell’agro pontino. Può cambiare il nome, ma l’apparenza è la stessa delle migliaia di periferie figlie di incubi urbanistici. Torri che svettano sulla città, blocchi di cemento, balconi, vite rinchiuse. Se abbassi lo sguardo le strade sono un vuoto pneumatico di speranza e di dignità. Il commercio diffuso di stupefacenti dove trovi di tutto determina il resto: controllo capillare di ogni angolo, vedette, gang, agguati, piccole e grandi guerre di territorio.

Il Trap del Q4

Una donna giovane, borsa nera e lucida sul tavolo, conta migliaia di euro. Taglio. Scale di palazzi popolari, ragazzi che si incontrano, si baciano, si passano rotoli di banconote. Taglio. Altri nove ragazzi, passamontagna, le tre dita che imitano il revolver, sguardo in camera. «Levo le catene, passo nel quartiere» ritma la voce giovanissima.

«Rispetto la strada, faccio una rapina a mano armata», mentre si sente, sulla musica, il click di un carrello di una pistola automatica. Inizia così il video trap girato a Latina nei giorni scorsi, tra le vie del Q4, postato per qualche ora su YouTube. I protagonisti sono l’ultima generazione di un clan sinti, i Travali, il gruppo criminale padrone indiscusso di quelle strade, gestori in monopolio dello spaccio, secondo le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma.

Interpretano la parte con assoluta naturalezza e quel quel video potrebbe essere sovrapposto al fotogramma sui clip dei cartelli brasiliani del Primeiro comando da Capital, la feroce organizzazione partner della ‘ndrangheta in America Latina.

«Ho un amico, di sicuro non è pentito», rappano poco dopo. E poi i loro eroi, Papù, ovvero Antonio Di Silvio, uno dei capi dell’omonima famiglia morto nel 2016; provarono all’epoca a riproporre il funerale show dei Casamonica romani, ma il coraggioso questore Giuseppe De Matteis vietò la manifestazione pubblica. Richiamano Angelo, detto Palletta, e Salvatore, detto zio Buda, Travali appena colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare per narcotraffico e associazione mafiosa. Per la procura di Roma i due fratelli non sono personaggi minori, ma insieme al boss Costantino Di Silvio, detto “Cha cha”, e all'omonima famiglia, anche loro sinti, sono a capo di un'associazione a delinquere, armata e dedita allo spaccio di stupefacenti. Un clan che si occupa di usura, estorsione, detenzione di armi e spaccio di stupefacenti. Legati ai Casamonica con i quali condividono molte analogie e con i quali si ritrovano per vertici e incontri familiari, sono stati colpiti da diverse indagini giudiziarie negli ultimi dieci anni.

Dal 2017, grazie al pentimento di Agostino Riccardo e Renato Pugliese, figlio del boss “Cha cha”, sono entrati nell’agenda della distrettuale antimafia romana: «Associazione che ha operato col metodo tipico delle consorterie mafiose, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall'essere clan egemone di indiscussa fama criminale (…) a opera di soggetti di elevatissimo spessore criminale», scrivono i magistrati antimafia della capitale. Vent'anni anni di potere incontrastato, scalzando la camorra dalla città di Latina: piazze di spaccio gestite in modo militare, con un ritmo di 100 chili di erba venduti in 10 giorni ed un fiume di cocaina.

A Terracina, sul litorale, gestiscono il crimine grazie a rapporti di alcuni sodali con il clan Licciardi, legati alla più potente organizzazione criminale campana: l'alleanza di Secondigliano. «Vui sit a famiglia mia (voi siete la famiglia mia, ndr)», dice un membro dell’organizzazione a Giuseppe Travali. 

La brutalità del clan

«Quel cranio te lo spappoliamo», «ti faccio vedere figlio di puttana», sono le parole riferite di Salvatore Travali, il zio Bula del clip Trap, a un sottoposto, e quando non bastano le minacce verbali, si passa alle armi. Dieci colpi, calibro 22, contro un'auto, 5 colpi calibro 6,65 contro la vetrata di un locale, per costringere due persone a spacciare droga per loro conto.

Sono così i fratelli Travali, figli di Giuseppe, detto Peppone lo zingaro. Impongono il terrore come raccontato da una delle vittime che non ha avuto neanche la forza di sottoscrivere il verbale. Una vittima, in carcere per altre ragioni, che ha provato anche a togliersi la vita per uscire dalla morsa del clan dopo che, perfino, in carcere era stato avvicinato da uomini legati alla famiglia criminale per ritirare la collaborazione. Scene e azioni che sembrano ambientate in terra di sud negli anni ottanta. 

Il potere dei Di Silvio-Travali è enorme, costruito con la violenza per assoggettare un territorio ai voleri della cosca, ma anche attraverso il rapporto con la politica, l'imprenditori e la corruzione di funzionari dello stato. E il calcio, attraverso le curve.

Emerge anche questo dall'ultima inchiesta, condotta dalla squadra mobile di Latina, che ha portato in carcere i Travali e che ha mosso i fedelissimi a fare un video celebrativo. Tra gli indagati c'è anche Carlo Ninnolino, assistente capo della polizia di stato, che per la rivelazione di notizie riservate sulle indagini a carico di Angelo Travali riceveva in cambio migliaia di euro ( fino a 10 mila euro).

Poi c'è tutto il compendio dei reati tipici della casata criminale: i prestiti a strozzo, l'acquisizione di società, di auto di lusso sottratte con la forza intimidatrice, l'acquisto di un arredamento completo per la casa a spese delle vittime così come scooter, pranzi mai pagati, occhiali da sole, latticini, patatine, benzina.

Non c'è da meravigliarsi, sono famiglie che incrociano il tratto della criminalità con la perenne pulsione ad accaparrarsi illecitamente ogni bene in altrui possesso. In grado di sottrarre patatine esattamente come di «concorrere a cagionare la morte di Adrian Nicolas Giuroiu, fornendo (i due Travali, ndr) le armi agli autori materiali dell'omicidio nonché supporto logistifica nelle fasi relative al sequestro di persona». 

Tutto questo in un territorio, quello di Latina, dove da anni imperversa questa organizzazione criminale. Nella galassia di estorsioni c'è anche quella consumata ai danni di un avvocato di Latina, di un lavoratore che aveva lo stipendio ridotto perché era direttamente il proprietario dell'azienda a girare i soldi alla banda.

Il clan Di Silvio e i Travali avevano perfino imposto il pagamento di una estorsione a chi aveva osato farsi autografare la maglia dai giocatori del Latina, nel 2015, quando la squadra militava in serie B. Era roba loro la squadra, la fama e la città. 

© Riproduzione riservata