Mi ritiro, anzi faccio un “passo di lato”. Maria Antonietta Ventura, l’imprenditrice scelta da Pd e Cinquestelle dell’era Conte, non c’è più. Esce di scena. La svolta, nel tardo pomeriggio di venerdì 2 luglio, arriva dopo una estenuante riunione di una famiglia, quella della ormai ex candidata, che è soprattutto impresa affermata nel settore degli appalti pubblici ferroviari.

La candidata ritirata è presidente del consiglio di amministrazione della “Franco Ventura costruzioni ferroviarie srl”, un colosso degli appalti pubblici, in Calabria, Puglia, Campania, con commesse anche all’estero.

L’azienda di famiglia, appunto, sulla quale però le ombre sono numerose seppure senza mai aver portato a indagini dell’antimafia. Di certo, però, esistono delle informative dei carabinieri inviate alcuni anni fa alla procura antimafia di Catanzaro in cui gli investigatori descrivono i rapporti tra la società Ventura e le aziende della famiglia Giardino, originaria della Calabria, provincia di Crotone, ma residente da anni in Veneto, nell’area del Veronese. Una famiglia, i Giardino, sospettata di connessioni con le cosche più potenti della ‘ndrangheta calabrese e dell’Emilia Romagna.

I documenti investigativi ottenuti da Domani riportano peraltro incontri diretti e intercettazioni telefoniche tra Maria Antonietta Ventura, la candidata del “passo di lato”, e i Giardino, in particolare con Domenico.

L’incontro

La galassia societaria dei Giardino riconduce al ferro, materiale necessario nella realizzazione delle ferrovie, settore dove la società dei Ventura spicca. Dai documenti ottenuti risulta un rapporto commerciale tra Ventura e Giardino.

L’11 luglio 2017 per esempio è avvenuto un incontro in Calabria tra Domenico Giardino e Maria Antonietta Ventura. Nei giorni successivi tra i due sono stati registrati «innumerevoli contatti tra Domenico Giardino e la signora Maria, ovvero la Ventura Maria Antonietta», c’è scritto nei documenti ottenuti. Contatti registrati anche con un altro Giardino, Stefano, figlio di Domenico: Maria Ventura e Stefano Giardino parlano sempre di affari, di mezzi da acquistare. Insomma, condividono business e progetti.

Per capire l’ambiente familiare da cui proviene l’interlocutore della donna scelta come candidata dall’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte e dal partito democratico è utile ricordare che la moglie di Domenico Giardino è imparentata con la famigerata cosca di ‘ndrangheta Arena di Isola Capo Rizzuto, provincia di Crotone: un clan che negli anni ha investito molti denari in settori economici vari dalle energie rinnovabili al mega centro di accoglienza per migranti di Isola, struttura poi travolta da un’inchiesta giudiziaria dell’antimafia.

C’è anche un rapporto, rivelano i documenti, con il gruppo di ‘ndrangheta Nicoscia, anche questo della zona di Isola Capo Rizzuto. Peraltro l’incontro e i contatti tra la società Ventura e i Giardino avvengono anche dopo le prime inchieste su alcuni membri della famiglia sospettata di contiguità con la ‘ndrangheta.

In un’informativa dei carabinieri letta da Domani i detective scrivono: «Nonostante i pregiudizi penali a carico di molti dei componenti della famiglia Giardino, sono emersi innumerevoli spunti investigativi in merito a infiltrazioni in appalti pubblici grazie al favore di società compiacenti nel settore della manutenzione e costruzione di reti ferroviarie, prime tra tutte la Ventura Mineraria».

Basso profilo

I rapporti ambigui con imprese in odore di clan, il provvedimento del prefetto (interdittiva antimafia) ricevuta dalla Fersalento, altra società di cui fa parte l’azienda Ventura. Insomma, troppi fari accesi su un’impresa leader nel settore degli appalti ferroviari.

«Basta, così non reggiamo, rischiamo di mandare a gambe all’aria l’intero gruppo. Ritirati», questo il diktat finale. E ritiro fu.

Con un comunicato netto, secco, della stessa candidata. che però non è entrata nei dettagli: «Avevo deciso di raccogliere l’invito a candidarmi a presidente della Regione Calabria e condurre una battaglia fiera e leale, a viso aperto, con parole chiare e proposte concrete per ridare dignità alla Calabria e orgoglio ai calabresi. Preferisco però, con dolore, fare un passo di lato per evitare che vicende, che - lo sottolineo con forza - non mi riguardano personalmente, possano dare adito a strumentalizzazioni che nulla avrebbero a che fare con il merito della campagna elettorale. Ho la responsabilità di tutelare le oltre 1.000 famiglie dei lavoratori diretti e indiretti relativi alle aziende del mio gruppo. L'impegno sociale e civico a tutela dei calabresi proseguirà, con ancora maggiore determinazione, nelle forme che da sempre porto avanti». Titoli di coda per un film iniziato male e finito peggio.

Sconcerto al Nazareno

Nella sede del partito democratico l’aria è pesante, con Letta che aveva annunciato la sua presenza in Calabria, a San Lucido, dove il marito della Ventura è sindaco, per una grande kermesse elettorale. Il passo indietro di Maria Antonietta Ventura è una «scelta di sensibilità che rispettiamo», è scritto in un comunicato che trasuda sconcerto. Cinque parole per un disastro.

Il passo indietro della candidata del centrosinistra in Calabria era di facile previsione se solo il partito democratico avesse raccolto informazioni maggiori sull’imprenditrice calabrese.

Eppure non l’ha fatto, ha scelto la donna a capo di un gruppo aziendale con più di qualche ombra e legami con famiglie collegate, colluse, contigue alla ‘ndrangheta, la mafia calabrese considerata l’organizzazione criminale più potente al mondo.

«Una Caporetto – dice un dirigente del Pd calabrese – che porta le firme di Enrico Letta, Giuseppe Conte, e Francesco Boccia. Ora sarà impossibile trovare un candidato credibile. Neppure il primo sventurato che passa accetterebbe di immolarsi alle prossime elezioni. Rischiamo la nullità politica, se arriveremo terzi sarà un miracolo».

La scelta del candidato in Calabria è stata un festival del dilettantismo politico. Candidati bruciati, un “casting” per scegliere la figura da contrapporre alla destra e al civismo di sinistra di Luigi de Magistris. Infine era arrivata Ventura, donna e imprenditrice. Fortemente voluta da Giuseppe Conte, pugliese come lei, che nella conferenza stampa sulla rottura con Grillo ha trovato lo spazio per dire che l’avrebbe sostenuta fino in fondo “anche da privato cittadino”. Scelta sponsorizzata da Francesco Boccia, e accettata da Enrico Letta.

Nessuno di loro, però, si è preoccupato di verificare se nel curriculum aziendale gravassero indizi e sospetti di rapporti con personaggi o aziende collegate alle cosche. E adesso per Pd e Cinquestelle di osservanza “contiana” è la debacle totale, a quattro mesi dalle elezioni perdono un candidato che esce di scena su un tema sensibile in Calabria come quello dei rapporti tra imprese e organizzazioni mafiose.

Non c’è un candidato e il Pd non può chiedere ai nomi già bruciati di tornare in campo: la promessa Nicola Irto, lo storico Enzo Ciconte, Paola Militano, direttrice di Corriere della Calabria. E la disperazione è tale che in alcuni ambienti del Pd stanno pensando di richiamare in servizio Mario Oliverio. E’ l’ex presidente della giunta regionale, non ricandidato alle scorse elezioni per i suoi guai giudiziari. E Oliverio è già in campo, fa conferenze stampa, si appella all’elettorato e ha in corso un suo tour per presentare un libro. Mario c’è, il vecchio che resiste, l’usato garantito.

Oliverio è stato rinviato a giudizio per una serie di appalti a Cosenza (metropolitana leggere e nuovo ospedale) insieme a Nicola Adamo, altro big del Pd, e Pietro Ventura, fratello di Maria Antonietta, e socio dell’impresa di famiglia. Tutto si tiene in Calabria. Dove Luigi de Magistris, da mesi in campagna elettorale, sceglie di non speculare sulle vicende del centrosinistra: «Non serve. I problemi degli altri partiti non mi interessano. In questo momento penso agli elettori del Pd e dei Cinquestelle, ai tanti bravi militanti, agli amministratori locali. A loro lancio un appello: se volete salvare la Calabria, se volete cambiare una volta e per tutte il sistema, noi ci siamo».

Una cosa è certa: i democratici insieme a Conte avrebbero dovuto ascoltare il territorio e studiare di più il fascicolo Ventura, che ora rischia di travolgere il centrosinistra alla vigilia della campagna elettorale, che promette scintille.

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