Ci sono documenti ufficiali di Regione Lombardia, rimasti riservati fino ad oggi, che dimostrano la mancanza di strategia durante la più grave emergenza sanitaria mai vissuta nel nostro paese dal secondo dopoguerra ad oggi. Con data 24 febbraio 2020, l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti, Aria, invia una mail firmata dal direttore generale, Filippo Bongiovanni, (dimessosi questa estate e indagato per l’inchiesta sull’acquisto dei camici da parte di Regione Lombardia attraverso la l'azienda del cognato e della moglie del governatore Attilio Fontana), alla Did, Diagnostic International Distribution Spa, la società che rifornisce Regione Lombardia di tamponi.

L’oggetto è il seguente: «Emergenza nuovo coronavirus, conferma ordine di fornitura di tamponi virali sterili con terreno e asta (tipo regolar)». L’ordine è pari a un milione e mezzo di tamponi. Non viene indicato il prezzo. Quella che invece viene indicata è la priorità di destinazione: 5mila presso IRCCS San Matteo di Pavia con consegna martedì 25 febbraio 2020; 5mila presso Asst (l’azienda sanitaria) di Cremona, con medesimo giorno di consegna.

Nella lettera, che pubblichiamo in esclusiva sul sito, viene preannunciata la «consegna di 240mila tamponi nella settimana corrente presso le strutture sanitarie come da lista di distribuzione allegata». Di certo, però, nella settimana che va dal 24 febbraio ai primo marzo ad Alzano Lombardo, dove c’era un focolaio in atto, quei tamponi non arrivano. In quale posizione della lista di distribuzione allegata al documento si trovasse l’area bergamasca non è dato saperlo, visto che sugli allegati al documento Aria non ha risposto alle domande.

L’inizio del contagio

Mentre si capisce la ratio di inviarne subito cinquemila alla Asst di Cremona, duramente colpita dopo i primi casi di Codogno e la creazione di una zona rossa nel lodigiano, non si capisce perché in piena emergenza covid in Val Seriana e di fronte alle richieste pressanti del direttore medico del “Pesenti Fenaroli”, Giuseppe Marzulli, la Regione guidata da Attilio Fontana decida di mandare subito cinquemila tamponi al San Matteo di Pavia e non alla strutture delle Asst Bergamo est.

Da lunedì 24 febbraio la Regione ha centralizzato l’acquisto dei tamponi. Fino al venerdì 21 febbraio ogni azienda ospedaliera acquistava i tamponi per proprio conto. Da lunedì 24 questo non è più stato possibile, il centro decisionale diventa Milano. E Milano decide che è più urgente mandarli a Pavia e non ad Alzano Lombardo.

L’ospedale “Pesenti Fenaroli” necessitava subito di almeno seicento tamponi. Erano vitali. Domenica 23 febbraio, infatti, l’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo accerta i primi due casi Covid-19 della bergamasca. Nel pronto soccorso di Alzano quella stessa mattina viene fatta l’accettazione di un altro caso sospetto Covid. Anche lui risulterà positivo.

I tamponi vengono fatti disobbedendo ai protocolli del ministero della Salute, che in quella fase obbligava i sanitari e i clinici a fare i test solo su pazienti entrati in contatto con casi positivi accertati o su pazienti che avevano viaggiato in Cina negli ultimi 14 giorni. Nessuno di questi tre pazienti rientra in quei criteri. Ed è così che ad Alzano, come era accaduto 48 ore prima a Codogno, si decide di forzare i protocolli.

La mattina del 23 febbraio a Seriate, nella sede dell’Asst Bergamo est, viene convocata una riunione di emergenza per discutere il caso Alzano. Sono presenti anche il direttore generale della Asst Bergamo est, Francesco Locati, quello sanitario, Roberto Cosentina, e il direttore medico di Alzano, Giuseppe Marzulli, insieme ad altri dirigenti.

Bisogna decidere il da farsi. Insieme al pronto soccorso viene chiuso e recintato per alcune ore anche l’intero ospedale di Alzano Lombardo, con operatori sanitari, pazienti e famigliari al suo interno. L’obiettivo è ricostruire i contatti in modo da tamponarli tutti. Insomma, va fatto il contact tracing.

Lo stesso che viene fatto alcune ore prima all’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, dopo l’accertamento e il ricovero del primo paziente positivo, divenuto anche la prima vittima italiana per Covid-19 residente a Vo Euganeo. Quell’ospedale veneto viene chiuso, sanificato e vengono fatti 700 tamponi. Come da protocollo.

Riaprire subito

L’ospedale di Alzano, invece, viene riaperto. La sanificazione, come denunciato da diversi operatori sanitari presenti in loco quel giorno, viene fatta con olio di gomito e non vengono presi i dati delle persone transitate al suo interno. Ciò nonostante, il direttore generale dell’Assessorato al Welfare, Luigi Cajazzo, dichiarando ai pm bergamaschi di essere stato rassicurato sulla sanificazione e sulla creazione di percorsi differenziati, alla fine dà l’ordine: riaprite tutto. Vengono mandati tutti a casa: sanitari e famigliari. Addio contact tracing. L’ospedale riprende le sue attività. Quello che il direttore medico Marzulli svela in un’intervista contenuta nel libro “Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale” è il fatto che nell’ospedale di Alzano ci fossero in quel momento poco più di 10 tamponi e che la Regione ne avesse da pochissimi giorni centralizzato l’acquisto.

Il giorno dopo, lunedì 24 febbraio, Marzulli - che si era opposto alla riapertura del pronto soccorso - chiama la direzione generale di Seriate, chiede di mandare immediatamente i tamponi necessari per sottoporre al test tutti i dipendenti, i pazienti e via via i nuovi utenti sospetti Covid che arrivano a ondate nel pronto soccorso nuovamente aperto al pubblico. Ne servono subito almeno 600. La situazione è drammatica. Da Seriate lo rassicurano che i tamponi sarebbero arrivati martedì 25 febbraio.

L’elemosina dei test

Grazie alla testimonianza di un dipendente amministrativo veniamo a sapere che quella mattina del 24 febbraio e il giorno seguente Marzulli al telefono inizia ad urlare perché dei cinquemila tamponi promessi ad Alzano non c’è neanche l’ombra.

Probabilmente Marzulli era venuto a conoscenza del documento di Aria che assegnava immediatamente 5mila tamponi a Pavia e solo dopo, chissà quando, alle sue strutture.

L’unica strada più veloce è una, elemosinare tamponi da altri ospedali. Così ad Alzano, nella settimana successiva a quel fatidico 23 febbraio, arrivano da Seriate una cinquantina di tamponi - così racconta una fonte interna affidabile e autorevole - «elemosinati al San Matteo di Pavia» a cui viene mandato proprio dalla Asst Bergamo est «un fattorino» a recuperarne 100, di cui 50 vengono spediti al “Pesenti Fenaroli”. Cinquanta tamponi per testare 600 persone.

L'inchiesta

Insomma, il documento di Aria sui tamponi evidenzia un’incapacità nel gestire l’emergenza. Una strategia complessiva che ora è sotto la lente degli inquirenti. Giovedì 22 ottobre, infatti, la guardia di Finanza, su delega della Procura di Bergamo, ha fatto visita agli uffici di Regione Lombardia a Milano, in particolare a quelli dell’Assessorato al Welfare, a quelli della Asst Bergamo est a Seriate e a quelli dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma, chiedendo la documentazione e i supporti informatici necessari per ricostruire che cosa sia successo a partire da febbraio nell’ospedale di Alzano Lombardo.

Gli indagati sono cinque dirigenti dell’Assessorato guidato da Giulio Gallera (non indagato): l‘ex direttore generale dell’Assessorato al Welfare della Lombardia, Luigi Cajazzo, l’allora suo vice Marco Salmoiraghi, una dirigente dell’assessorato Aida Andreassi, Francesco Locati e Roberto Cosentina, il primo è il Direttore Generale della Asst Bergamo Est e il secondo è il Direttore Sanitario della Asst Bergamo est, ora in pensione.

Da quei partono gli inquirenti per ricostruire la catena di comando che ha portato alla riapertura di quello che potrebbe essere stato l’origine di un focolaio il cui mancato isolamento potrebbe aver determinato l’incremento di mortalità che ha investito tutta la bergamasca tra febbraio e aprile di quest’anno.

L’ipotesi di reato è epidemia colposa. A Locati e Cosentina, la procura di Bergamo contesta anche il falso in «atti pubblici»: perché dopo la riapertura dell’ospedale di Alzano il 23 febbraio, hanno scritto che erano state adottate «tutte le misure previste», invece «circostanza rivelatasi falsa, stante la incompleta sanificazione del pronto soccorso e dei reparti del presidio». I due dirigenti sanitari avrebbero dichiarato il falso anche in una relazione di “tamponi” effettuati a pazienti e operatori già il 23 febbraio. Dunque l’accusa per loro è doppia: epidemia colposa e falso.

In Val Seriana sono morte migliaia di persone. Seimila in tutta la bergamasca in poco più di due mesi. Ci sono quasi trecento esposti depositati alla Procura di Bergamo per chiedere verità e giustizia per le vittime di Covid-19. In quella terra è andata in scena una vera ecatombe. Poteva essere evitata? Qualcuno dovrà rispondere.

© Riproduzione riservata