Nelle carte che hanno portato all’arresto di Maria Licciardi, detta ’a piccerella, spuntano i rapporti con gli altri clan. Alcuni sono sottomessi all’alleanza di Secondigliano, di cui Licciardi rappresenta il vertice, altri in rapporto di reciproco rispetto e mutua assistenza con la potente organizzazione criminale a guida femminile. Tra le formazioni “amiche”, oltre al clan dei Casalesi, c’è il clan Moccia.

Come Maria Licciardi, che è stata nuovamente arrestata dopo due anni di libertà per l’annullamento della precedente ordinanza a suo carico, anche il vertice del clan Moccia gode di stagioni di preziosa e prolungata libertà. L’ultimo a uscire è stato a metà luglio Luigi Moccia che del clan è considerato esponente di vertice. Ora il processo a suo carico, che riprende a settembre, si celebrerà con il padrino a piede libero. «Dichiara la perdita di efficacia della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Moccia Teresa, Filippo Iazzetta, Moccia Luigi», in pratica lo stato maggiore del clan, e «dispone il divieto di dimora in Campania e nel Lazio prescrivendo di non accedere nel territorio regionale senza l’autorizzazione del giudice», scrive il presidente della sesta sezione del tribunale di Napoli. I Moccia escono perché sono scaduti i termini della custodia cautelare, fissati in tre anni, anche se il procuratore Giovanni Melillo e la pm Ida Teresi hanno fatto ricorso al tribunale del riesame chiedendo il ricalcolo dei tempi visto che non sono stati presi in considerazione i tre mesi di sospensione a causa del Covid-19.

Ex 41 bis

In ogni caso da qualche settimana Luigi Moccia, che si trovava ristretto al 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, è tornato libero. Secondo la procura di Napoli, Moccia è a capo del clan omonimo, signore della camorra che ha attraversato gli anni delle guerre, la dissociazione, il tentativo di neutralizzare il pentitismo attraverso la consegna delle armi senza accusare terzi di reati, per risorgere come uomo nuovo del crimine. Attualmente è sotto processo per camorra insieme con i suoi familiari.

Le lunghe stagioni di libertà non hanno riguardato solo Luigi. L’altro fratello, Antonio Moccia, è stato a casa, residente ad Afragola, quartier generale della famiglia, fino allo scorso aprile quando è stato arrestato in un’inchiesta che ha svelato gli affari della famiglia nel settore petrolifero. «E con i Moccia? Con Antonio ti sei incontrato?», chiede Maria Licciardi al marito durante un colloquio in carcere, risalente al 2001, che la procura di Napoli ha voluto riportare per evidenziare la caratura criminale e la reciprocità rispetto ai vertici degli altri clan. Antonio Moccia è a processo anche per camorra, ormai da dieci anni, un dibattimento che è ancora in primo grado presso il tribunale di Napoli. L’elogio della lentezza.

Domenico Esposito, collaboratore di giustizia del clan, chiarisce quanto i due mondi criminali, le due famiglie Moccia e Liccardi siano vicine. «Riconosco nella foto sei Licciardi Maria. L’ho vista diverse volte, sia a casa sua nella Masseria Cardone e sia quando veniva dai Contini nelle loro zone. Operava come capoclan della Masseria, e questo almeno fino al 2014-2015», dice Esposito. L’altra analogia tra le due famiglie criminali è rappresentata dal ruolo delle donne.

Una guida femminile

Se Maria Licciardi è tra le dieci donne più pericolose del mondo, Anna Mazza, la vedova nera della camorra, è stata la prima a essere condannata per associazione camorristica (è morta nel 2017). È la madre di Luigi, Antonio e di Angelo Moccia, detto Enzuccio.

Anche quest’ultimo dopo la dissociazione, per la procura una finta pratica di allontanamento dalle logiche criminali, ha scritto un libro e mostrato redenzione ottendendo la libertà. A distanza di anni dagli omicidi e dalle stragi compiute, ha partecipato, nel 2017, al matrimonio della figlia in piazza San Lorenzo in Lucina a Roma alla presenza, come rivelato proprio da Domani, di imprenditori che hanno appalti con le principali aziende di stato. Anche Angelo, detto Enzuccio, è tornato in carcere, arrestato in una indagine per riciclaggio della procura di Roma.

Luigi Moccia, al carcere duro fino a un mese fa, è sotto processo per camorra. È stato arrestato nel 2018 nell’ambito dell’operazione Leviatano. I componenti del clan lo hanno ribattezzato il “papa” a indicarne il ruolo. Dalle carte di quell’indagine emerge un profilo dettagliato del boss. Luigi Moccia comanda, secondo la ricostruzione della procura, da Roma dove abita e si è trasferito da anni, dal 2009 quando chiede alle autorità di trascorrere l’obbligo di soggiorno nella capitale, in zona Parioli, per evitare frequentazioni spiacevoli. Comanda grazie al contributo di una rete di fedelissimi, devoti alla famiglia. «…vado ad accendere una candela a te ... una candela a Gigino… una candela ad Antonio... una candela ad Enzuccio... e... una candela a tutti quanti e diciamo una preghiera…», dice un affiliato nominando i tre Moccia di vertice. Roma è meta comoda: per anni, è stato un luogo con pochi controlli e libertà di azione. «Lì è tutta un’altra cosa lì (…) le guardie non vennero proprio alle sette (...) se ne esce.. se ne va per dentro...camminando…Eh...fino alle sette di sera... si ritira... poi se ne esce un’altra volta», dice un affiliato riferendo i movimenti di Luigi Moccia. Qualcosa cambia quando nel 2016 proprio il “papa” viene raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Roma per intestazione fittizia di beni. La caratura criminale si incrocia con la disponibilità economica e una rete di teste di legno.

«Al momento fuori ci sono solo due persone dalle quali accettare consigli e sono modesto e quell’altro lontano 200 chilometri, capito!», dice un affiliato. E a 200 chilometri c’è proprio Luigi Moccia. Nel 2012 un collaboratore di giustizia, Domenico Di Marcello, racconta il potere del boss: «Temo Gigino Moccia e non dormo la notte perché è l’unico che potrebbe farmi ammazzare perfino in carcere o costringermi a suicidarmi con dei ricatti che coinvolgono la mia famiglia, Gigino Moccia per me è l’impero». All’epoca Moccia, come adesso, non era in carcere. L’impero ora aspetta la ripresa del processo da uomo libero.

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