Un bar di periferia. Una sala riservata. In fila una ventina di persone, in attesa. In fondo, su un tavolo, la macchina conta banconote non si ferma. Centinaia di migliaia di euro, il fruscio è continuo. Due battute e poi via, pronti a ricevere un altro carico di cocaina. Siamo ad Aprilia, poche decine di chilometri dal Raccordo anulare, città cresciuta in un boom edilizio senza fine, gigantesco dormitorio alle porte di Roma. La scena è stata descritta nei dettagli dai collaboratori di giustizia dei clan Travali-Di Silvio, i gruppi Sinti padroni indiscussi nella provincia di Latina.

I 19 arresti

Da ormai tre anni Agostino Riccardo e Renato Pugliese sono un fiume inarrestabile. Erano ai vertici delle due organizzazioni, ritenute mafiose già in primo grado di giudizio, con in mano le chiavi della città di Latina. Controllavano tutto, gli stupefacenti, le estorsioni, l’usura. Ma anche il calcio e la politica.

L’ultima operazione della Dda di Roma, che ha coordinato le indagini della squadra mobile del capoluogo pontino e dello Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, ha colpito con 19 arresti la famiglia Travali, il gruppo in ascesa dopo il declino dei Di Silvio, bloccati negli anni passati da diverse indagini. Accusati di narcotraffico, associazione mafiosa, richieste di pizzo e di un omicidio, in carcere sono finiti i vertici dell’organizzazione e il gruppo di corrieri incaricati della distribuzione della droga.

Lo Scarface di Aprilia

L’ordinanza di custodia cautelare eseguita il 17 febbraio ricostruisce nel dettaglio il sistema criminale cresciuto tra Latina, Terracina e Aprilia, le tre città nate i primi del novecento dopo la bonifica e divenute negli ultimi trent’anni terra di snodo della mafie. A partire dal fiume di cocaina. Dietro quel tavolo del bar di Aprilia, chino sulla macchina conta banconote, c’è una sorta di Scarface. Il nome è coperto da omissis, ma i collaboratori di giustizia assicurano che dalla sue mani passano anche 200, 300 chili di cocaina ogni mese. Quasi quattro tonnellate all’anno.

Il clan al carabiniere: «Ti strappo la pelle»

Ad Aprilia i Travali non andavano solo per comprare lo stupefacente. Tra i palazzi cresciuti come funghi, agisce l’armiere, conosciuto con il pseudonimo “il secco”. Da qui sono arrivate le tante armi, vera ossessione del clan. E da Aprilia operava anche uno dei componenti del gruppo di fuoco, una “squadra della morte”, Cristian Battello, detto Schizzo. Gente che non temeva nessuno.

In un video postato su Facebook nel 2019 davanti ad un carabiniere in borghese impassibile, mostra tutta la ferocia del gruppo: «Io ti strappo la pelle, io sono Cristian Battello, detto Schizzo, io ti strappo vivo appena ti prendo. Tu hai il ferro, mai lo sai quanti ne ho io di ferri? Proprio tanti. Ho una 98 tutta modificata, una mitraglietta, te la scarico sulle gambe». Venne fermato, dopo quelle parole, da altre pattuglie intervenute. Si sentiva sicuro, protetto: secondo i magistrati della Dda Battello era anche il “tramite dei rapporti tra i Travali e pubblici ufficiali infedeli”, tra i quali un carabiniere.

La cocaina spacciata dal clan di Latina arrivava anche da sud, dalla città di Terracina. L’accordo in questo caso era stato concluso con gli esponenti della criminalità napoletana Marano. Insieme gestivano un pub nel centro della città, usata come base di spaccio. Rapidamente i Travali crescono, diventano loro i fornitori, vendendo fino a due chili di cocaina al mese al gruppo di Terracina.

Controllavano anche le magliette allo stadio

Era Latina, però, il centro di gravità criminale dei Travali e dei Di Silvio. Quale fosse il loro peso lo racconta Agostino Riccardo: «Comandare sul territorio e sugli esercizi commerciali in pratica significava avere la possibilità di acquistare merce senza pagare o di entrare nei ristoranti e consumare senza pagare. Comandare sul territorio significava potere fare quello che voleva senza temere denunce imponendo anche una specie di protezione».

Tutto doveva passare da loro. Nel 2015 un tifoso riesce a farsi autografare una maglietta dai giocatori del Latina calcio. Felice ed orgoglioso pubblica su Facebook la foto del suo personale trofeo. Lo chiama Agostino Riccardo, spiegandogli che «era successo un casino»: per ottenere quegli autografi doveva passare attraverso Francesco Viola, direttamente imparentato con il clan (marito di una Travali) e capo della curva. Il tifoso incontra Viola che gli spiega senza mezzi termini: «Allo stadio comandiamo noi. Noi abbiamo fatto una scelta di vita di strada e sulla strada ‘ste cose si pagano». Gli chiedono 5000 euro per quella maglietta autografata.

Viola - finito anche lui agli arresti - non era un nome qualunque, era stato messo a capo della tifoseria da Pasquale Maietta, all’epoca deputato e tesoriere del gruppo alla Camera dei deputati di Fratelli d’Italia. Solo pochi mesi prima una raggiante Giorgia Meloni si era mostrata accanto a lui, assicurando che Maietta era uno dei migliori politici del partito.

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