«Se sapeste la verità sul cibo preparato in aereo non mangereste più». Parola di Gordon Ramsay, che nel 2017 durante un’intervista a un quotidiano britannico rivelò che i pasti serviti in quota vengono preparati anche 72 ore prima del decollo in una cucina dell’aeroporto e poi scaldati a bordo. Non è noto se da allora lo chef inglese abbia cambiato idea, ma di certo l’esperienza del mangiare in aereo ha subìto una drastica mutazione con l’arrivo del Covid, che ha costretto ad alcuni ripensamenti.

«Dopo la pandemia stiamo lentamente ripartendo con i servizi di produzione del cibo per le compagnie aeree, al momento siamo fornitori di scorta di United Airlines ma stiamo partecipando anche ad altre gare d’appalto per compagnie nordamericane come American e Air Canada che ci chiedono pasti da servire nelle tratte intercontinentali dall’Europa alle Americhe. Oggi compagnie di catering, come LSG, Gate Gourmet, Dnata, producono molti piatti freschi nelle cucine degli aeroporti e poi una parte la fanno produrre all’esterno, come per esempio a noi”» racconta Michele Sabatelli, amministratore della Sabatelli Gastronomia di Castellana Grotte, in provincia di Bari, che dal 2009 è specializzata nella fornitura dei pasti a bordo.

Come si prepara il cibo a bordo

Fresco o surgelato, il cibo sugli aerei deve seguire alcune accortezze, anche se il metodo di preparazione può differire a seconda della classe in cui viene servito. «C’è una certa distinzione, è vero, ma le regole sono comuni: un esempio è la perdita di sapidità a pressioni elevate, che può arrivare fino al 60 per cento. Questo obbliga a comporre piatti che siano un po’ più saporiti rispetto a quelli che mangeremmo a terra, in modo tale da non perdere le loro proprietà in quota», evidenzia Sabatelli.

Per questa ragione, spiega, i ravioli ripieni hanno il 20 per cento in più di formaggio al loro interno e si cerca di condire i piatti il più possibile. «I menù a bordo devono piacere al maggior numero di persone, per questo prepariamo anche piatti che possono essere lontani dalla tradizione mediterranea, come i kosher o halal per un pubblico di fede ebraica o musulmana, oltre a quelli vegetariani o vegani. Durante la preparazione del cibo cerchiamo di intervenire con sostanze naturali per trattenere il gusto degli elementi, in modo tale che la riattivazione sull’aeromobile sia quanto più semplice possibile. Pomodoro e lattuga possono perdere il loro gusto in quota, mentre altri prodotti, come la frutta o il pomodoro secco, mantengono le stesse proprietà», sottolinea Sabatelli.

Una volta preparato il cibo, che sia un primo o un petto di pollo (tra i più richiesti dalle compagnie), la differenza nel trattamento viene fatta in aeroporto: «Per i pasti dell’economy funziona così: il servizio di catering provvede a decongelare il piatto in una vaschetta di plastica (anche se oggi si sta testando pure la carta), facendolo passare da -85 a -25° C al cuore, e poi lo mette in una cella frigorifera, dove passa dalle quattro alle 24 ore prima dell’imbarco. Una volta imbarcato viene riscaldato in forno in aereo tra i 20 e i 25 minuti prima di essere servito dalle hostess, che non toccano il piatto. Il procedimento in business class è quasi identico, con alcune differenze: per loro non c’è una vaschetta ma il piatto di ceramica e, soprattutto, il cuoco del catering provvede alla manipolazione del piatto, cioè ad unire gli elementi e a impiattare il tutto. Una procedura che comunque avviene sempre a terra, prima del volo», racconta Sabatelli.

Il servizio e i cambiamenti

La logistica costituisce una buona fetta del servizio a bordo, sosteneva il presidente del KLM Catering, e non è un caso che le compagnie che operano questi servizi valgano oggi sempre di più, come dimostra la volontà di Lufthansa di cedere a breve la sua controllata, LSG Group, che serve ai suoi clienti circa 275 milioni di pasti all’anno e vale quasi 900 milioni di euro secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt. Saper accontentare il cliente è fondamentale e non è un caso che anche chi produce cibo fuori dagli aeroporti sperimenti nuovi gusti e tendenze, in linea con le richieste di oggi.

«In questi 14 anni c’è stata una certa evoluzione: oggi si chiedono sempre di più piatti bilanciati, sostenibili e attenti ad ogni esigenza, come possibili intolleranze. Poi ci sono anche le mode, come il poké, che oggi vanno per la maggiore e che produciamo cercando di rispettare le regole del cibo in alta quota», sottolinea Sabatelli.

Le compagnie cercano sempre di assecondare i desideri gastronomici del cliente, che vanno così di pari passo con l’evoluzione del viaggio, dalla prima bottiglia di champagne in mongolfiera fino ai voli degli anni Venti, dove si fornivano insalate di pollo e i panini freddi, e alla cucina gourmet degli anni Sessanta, quando si comprese il ruolo del cibo nel marketing degli aerei. I tempi della “guerra dei sandwich” tra compagnie aeree americane ed europee, con quest’ultime che mascheravano nei loro panini pietanze come lingua di bue, salmone e ostriche, sono lontani ma oggi si è tornati comunque a ridare lustro al cibo, come illustra Sabatelli. «C’è tanta ricerca, c’è studio nel proporre i menù e ci avvaliamo anche noi della collaborazione di chef per conoscere gli abbinamenti migliori. Tempo fa, ad esempio, per partecipare ad una gara abbiamo collaborato con una chef stellata, Antonella Ricci, tra le prime ad essere ufficialmente riconosciute in Puglia, e suo marito, il cuoco Vinod Sookar, proveniente dalle isole Mauritius. Un aiuto importante, soprattutto perché oggi vale non tanto l’uso di un determinato ingrediente o ricetta, quanto l’interpretazione che si dà».

Ma quindi è ancora così brutto mangiare in aereo, come racconta Gordon Ramsay? Per Sabatelli la risposta è chiara. «Può sembrare strano, ma in fondo il cibo sugli aerei non è molto diverso da quella di un ristorante: sotto certi aspetti è persino più sicuro perché vanno rispettate determinate regole sanitarie e a volte anche quelle di preparazione, come per esempio quelle di un piatto kosher. In fondo c’è ancora una componente artigianale nella preparazione a cui si aggiungono aiuti tecnologici che permettono di abbattere i costi: chi cucina per servire un piatto in aereo non si può permettere di far cuocere un ragù per otto ore, come un qualunque chef di ristorante, ma quattro sì, grazie alla tecnica del sottovuoto. L’esperienza di qualità al cliente è sempre garantita».

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