«È vero che al tuo matrimonio c’era un assassino?». «Alla festa hai invitato anche la signora Fletcher?». «Perché la tua amica Elisabetta Canalis non era presente? Avete litigato?». «Avevi il servizio di ambulanza perché sei raccomandata?». «Hai chiamato tu i paparazzi per uscire su Chi?». «Sei riuscita a comprare il quadro che volevi coi soldi degli amici?». «Le settanta tovaglie che ti ha regalato Stefano Seletti che fine fanno? Posso averne una?».

Mi sono sposata una settimana fa a Milano e, oltre a ringraziare tutti gli amici che hanno contribuito a regalarmi un’opera prima dell’artista cinese Liu Bolin – sì, ci sono riuscita – devo ancora finire di rispondere a queste e altre domande che mi sono state poste da sconosciuti sui social.

Nella mia breve esperienza organizzativa di solo un mese, ho scoperto che il matrimonio crea un “hype pazzesco” per usare le parole del mio amico Eugenio Scotto, agente dei TikToker. In pratica, la pandemia ha ristretto la vita sociale in presenza, ma sui social ha aumentato la schiera dei curiosi: sono stata aggiunta da un migliaio di nuovi follower, i miei ultimi post hanno ricevuto quasi 300 commenti e le mie storie – quelle che durano 24 ore e poi scompaiono – sono state viste da un numero spropositato di utenti, dieci volte tanto oltre al solito, con un conseguente numero di interazioni. Il mio sì in comune, davanti a un gruppo risicato di amici ma condiviso su Instagram, ha ricevuto il plauso di tanti estranei grati per averli fatti commuovere, al punto da aver fatto commuovere loro me (è forse questo il fine ultimo della condivisione?). A turbarmi sono stati i rancorosi, ma per ora il bilancio vede i buoni in testa sui cattivi.

Perché lo fai

Quando a febbraio, poi a marzo e anche ad aprile ho capito che questo 2021 non sarebbe stato troppo diverso dal 2020, ho deciso che non sarei stata a guardare. Il maledetto Covid non avrebbe avuto la meglio sulla mia vita anche quest’anno. Che cosa poteva esserci di meglio che sfidare la pandemia, sposandomi davanti agli amici che non vedevo da mesi?

A Milano il piacere fine a sé stesso è un lusso che nessuno riesce a concedersi. La vita “prima” era dettata da un’invisibile agenda virtuale che programmava incontri, impegni, mostre, cene, eventi, viaggi. Un flusso che rendeva obbligate perfino le amicizie (per forza, vedevi sempre gli stessi!). Quando è saltato il banco e le settimane erano autogestite, la vita ci ha mostrato chi eravamo davvero. E la nuova normalità a me ha permesso di dire: «Sì, lo voglio».

Lui chi è

Ancora non so rispondere alla domanda dell’impertinente pubblicitaria Paola Manfrin: «Come sei riuscita a farti sposare?». Vi basti sapere che ho conosciuto l’uomo che mi ha portato all’altare sei anni fa, durante un capodanno in montagna. L’avevo trovato talmente impegnativo per la mia stabilità che, senza scrupoli, avevo deciso di cedere alle avances di un più rassicurante svizzero ricercatore in neuroscienze. Il segreto del mio successo col mio futuro marito è nato così (per approfondimenti, vi rimando alla posta del cuore di Giulia Pilotti).

La balera

Il luogo prescelto per la festa di nozze è stata la Balera dell’Ortica di Milano. Di lì sono passati in tanti, da Stefano Boeri a Maurizio Cattelan, una volta ho visto ballare in pista anche il metereologo Mario Giuliacci. È nata come dopolavoro ferroviario e poi, una decina di anni fa, è stata consacrata a nuova vita con la Festa dei limoni organizzata dall’amico pierre Paride Vitale. Per rendere chiaro il concetto anche ai non milanesi, se quella sala da ballo potesse parlare, di sicuro non avrebbe voluto onorare né il mio matrimonio né quello di nessun altro. E infatti la bomba d’acqua del pomeriggio ha rischiato quasi di farlo saltare.

Aggiungi un posto a tavola

Vitale, mago del sitting, mi aveva avvertito: «Una festa con oltre 200 persone decolla solo se fai sedere vicini gli ospiti giusti». Mi ero davvero impegnata quando ho messo accanto Paolo e Simone, entrambi uomini di numeri e finanza. Ma non potevo certo prevedere che l’uno, parlando di affari tra una lasagna e un rosso di Bolgheri, avrebbe confidato all’altro di non apprezzare affatto la magistratura. E che l’altro, all’arrivo degli arrosticini abruzzesi, avrebbe dovuto dirgli, con imbarazzo, che suo padre era Gherardo Colombo, rappresentante di quella carica per eccellenza. Per fortuna che Enrico, testimone dello sposo, figlio dell’esimio professore di diritto privato Pietro Trimarchi - e molto meno diplomatico del Colombo - lo abbiamo tenuto al tavolo nuziale, ho pensato mentre tornavo a casa. Almeno quello.

I single

Fino a un’ora prima della cerimonia spostavo su un tabellone commensali come fossero pedine del Risiko. Il mio pensiero andava soprattutto ai tanti single presenti, ai single a caccia, ai single depressi, ai single che non vogliono essere considerati single, ai single per scelta di altri.

Non sono mancati gli imprevisti last minute. Come l’sms di Edoardo, amico dello sposo che lavora per una ong in Sudan: invece che con la nuova fidanzata iraniana, che avrebbe dovuto presentarci, ci fa sapere che sarebbe arrivato da solo. Una crisi diventata opportunità quando l’ho trasferito dal tavolo delle coppie a quello dei casinisti. Opportunità sfumata invece per la produttrice Elisa Ambanelli per scelta di Paola Galloni, che ha deciso di portarla con sé al tavolo delle coppie. Quando poi al bar ho presentato ad Ambanelli uno dei suoi commensali sfumati, lei, con accento emiliano e sguardo da Jessica Rabbit ha detto: «Peccato, ho sbagliato».

In che piazza vai

Lo sposo ha voluto che ogni tavolo avesse il nome di una piazza di Milano in cui ha trascorso l’adolescenza. Ma non quelle famose. No, quelle dove si incontravano i ragazzi nell’era pre-social, e dove tutti si conoscevano per soprannome: Johnny La Serpe, il Pitone, Ziki, il Nein per dirne alcuni. Quest’ultimo ha pure rischiato di non accedere alla festa perché all’entrata, alla hostess che spuntava la lista sull’iPad, non ha proprio pensato di presentarsi col suo nome e cognome di battesimo. Per rimanere in questa vita da speak-easy, anche i nomi delle piazze dovevano essere in slang: alla Esse, Il Debolino, Al Carciofo, in Dezza, in Passione, in Stalla. La lista era così lunga che per ridurla a quindici tavoli lo sposo si è mostrato contrariato come se gli avessi detto di scegliere tra sua madre e suo padre. A cena avviata, poi, alcuni ospiti hanno tentato di cambiare desco perché ritenevano che la loro piazza di appartenenza fosse un’altra, non quella che gli era stata assegnata. È in quel momento che ho capito perché i single alla festa erano tanti.

I famosi

Ringrazio Barbara D’Urso per aver alzato il testosterone dei tavoli e l’attore Giampaolo Gambi per aver cantato le canzoni napoletane meglio di Guido Lembo all’Anima e Core di Capri. Ho riso guardando il video girato da Matteo Curti di Radio DeeJay in cui i protagonisti sono Luigi Luciano alias Herbert Ballerina, il Vic, Federico Russo e Marisa Passera che parla delle lasagne di Massimo e Cinzia, cuochi della Balera, e della nostra amicizia: lo troverete nelle mie storie fisse di Instagram. Con Elisabetta Canalis non ho litigato. Lei, in preda al panico, ha preferito rimanere a casa a studiare un copione (un progetto a cui ho preso una piccola parte anch’io). Al tavolo l’ho sostituita in corsa con l’amico scapolo Max Ferrari, un passepartout che gli etero non hanno apprezzato del tutto. Anche Madalina Ghenea ha dato forfait per un problema con la tata. Al suo posto ho messo l’amica Francesca Fogar che ha saputo difendere l’onore delle femmine frizzanti. A parte alla fine, quando il gin dell’amico Paolo Dalla Mora ha avuto la meglio su di lei e l’hanno portata via.

Gli imbucati

«La riuscita di una festa si valuta anche dalla qualità degli imbucati. Se non ci sono, significa che non valeva la pena provarci», diceva il principe Giovanelli. Capii cosa intendeva anni fa, quando alla bicchierata di laurea di Lucia Scajola, all’Ombra de Vin, si presentò il capitano della nazionale di pallanuoto italiana Maurizio Felugo. Per quanto riguarda la mia di festa, con sollievo, intorno a mezzanotte, ho visto volti che non conoscevo. Uno tra loro, amico di Lodovico Colli di Felizzano e Lavinia Fuksas, è stato molto galante con un’ospite. Peccato che entrambi fossero in partenza per una vacanza, ma chissà.

Tovaglie e croce rossa

Dare una festa Covid Free era la mia ossessione. Per questo ringrazio Sos Lambrate che ha snellito la burocrazia e, in cambio di una donazione, ha reso disponibile un’ambulanza e un medico per il controllo del Green Pass. Anche la signora Fletcher ne sarebbe stata contenta, e per una volta non avrebbe dovuto risolvere alcun caso. Erano presenti, è vero, due amici che in passato, in modi diversi, sono stati casi di cronaca giudiziaria. Oggi hanno riscattato le loro vite e averli avuti vicini in un giorno di festa mi ha reso felice. Le settanta tovaglie di Stefano Seletti per Toilet Paper sono rimaste alla Balera dell’Ortica. Se vi capita di sedervi al tavolo in cui c’è quella col pesce sgozzato sappiate che è la mia preferita. Ma non fatemi altre domande.

 

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