«Matteo Messina Denaro ora faccia l’uomo: si penta, collabori con la giustizia». L’appello consegnato a Domani è di Giuseppe Cimarosa, figlio di Lorenzo, cugino del boss arrestato il 16 gennaio 2023 dopo 30 anni di latitanza, segnata da stragi, misteriose fughe, complicità altolocate e connivenze istituzionali.

«Mio padre era un imprenditore dell’edilizia, parente dei Messina Denaro, perché sposato con la prima cugina», dice. La sua storia ricorda quella di Peppino Impastato, il giornalista militante di Cinisi, provincia di Palermo, che si è ribellato al sistema mafioso.

Impastato fu ucciso il 9 maggio 1978 da un commando della cosca di Tano Badalamenti. Cimarosa vive nel feudo di Messina Denaro e come Impastato fin da piccolo è stato costretto a respirare aria di mafia. «Mi sono sentito sempre a disagio, quando mio padre ha deciso di collaborare con la giustizia per me è rinato», racconta.

Giuseppe gestisce un maneggio dove organizza spettacoli di teatro equestre a Castelvetrano, il regno di Messina Denaro, in provincia di Trapani. «Vi ricordate le uniche foto di Messina Denaro? Quelle di lui al matrimonio? Ecco, quel matrimonio era la celebrazione delle nozze tra mio padre e mia madre». Giuseppe non ha mai visto il padrino di Cosa nostra, «ero piccolino». 

Il padre di Giuseppe è morto da pentito, il figlio ricorda alcune confessioni consegnate agli inquirenti. Ha raccontato per esempio degli appalti organizzati con la famiglia Messina Denaro. Come quello per disseminare di pale eoliche le campagne della provincia di Trapani: «Uno degli appalti in cui mio padre ha lavorato è quello delle pale eoliche, appalto arrivato per volere di Matteo Messina Denaro».

Giuseppe ricorda un particolare: «Mio padre è stato tramite di una busta di denaro destinato al latitante». Dopo la collaborazione del padre con i magistrati «siamo stati isolati, nessuno voleva più frequentarci», dice Cimarosa, che ha vissuto a Castelvetrano come se il criminale fosse lui: «Non mi sento voluto a Castelvetrano. Mi chiedo se ne sia valsa la pena se il risultato è sentirsi un corpo estraneo in una società che non ti vuole».  

Cosa vuol dire l’arresto di Messina Denaro?

«Per il paese vuol dire liberarsi di un’ombra, che offuscava la società, assuefatta dal fallimento collettivo di non riuscire a catturarlo», riflette il ragazzo. «Sembrava che questo giorno non sarebbe mai arrivato».

Per lei, invece, che ha significato la cattura del boss?

«Per me significa molto di più: perché noi abbiamo avuto paura per anni, perché da quando mio padre ha iniziato a collaborare non abbiamo mai accettato la protezione. Per me è una liberazione. Non ci speravo più, mi ero abituato a convivere con la paura. Oggi mi sento accarezzato sul cuore, un giorno speciale».

Che aria si respira a Castelvetrano?

«Mi auguro di leggere reazioni positive, tanta gente a Castelvetrano sarà felice ma tanto altri no, purtroppo. Ma io sono felice anche per quelli che non lo sono. Da oggi si scriva una pagina diversa per il mio paese, e quest’ombra che ha aleggiato su Castelvetrano venga spazzata via». 

Con Messina Denaro si chiude un ciclo?

«Si chiude il ciclo di una mafia stragista, e il ciclo che mi riguarda. Spero che sia un messaggio chiaro anche alle persone che hanno raccolto la sua eredità criminale. Devono capire che chi sceglie la vita da boss la fine è sempre la stessa. Non è un lieto fine». 

Ha mai incontrato Messina Denaro?

«Mai conosciuto, quando era latitante ero piccolo. Mio padre e mia madre lo avevano visto l’ultima volta al matrimonio di mia madre (lei è cugina di primo grado del padrino, ndr). Tra la famiglia di mia nonna e quella di Messina Denaro non c’è mai stato un legame profondo, ci sono stati sempre molti attriti. Mia madre ha sempre voluto lavorare, rendersi indipendente, e per questo veniva vista come una poco di buono dai Messina Denaro. Per mia fortuna non c’era rispetto verso mia madre e questo mi ha salvato. Il legame è arrivato a causa di mio padre, che era stato assoldato per interessi economici, era entrato nel sistema fino al suo arresto. Da allora io mi schiero e prendo posizione pubblicamente. Il mio ribellarmi alla mafia, che a tutti suona come una cosa particolare, era in realtà un fatto naturale per come sono stato cresciuto da mia madre, che non sopportava la cappa della mafia, ma non aveva avuto il mio stesso coraggio, del resto erano altri tempi in cui denunciare comportava rischi maggiori». 

Secondo lei lo stato è arrivato tardi?

«Io dico meglio tardi che mai. Come sia stato possibile che entrasse e uscisse dalla clinica non lo so. Penso che probabilmente la rete di protezione fosse molto forte, anche in ruoli importanti. I complici apicali non rappresentano lo stato, sono degli infedeli, a differenza di quelli che l’hanno preso oggi. La verità è molto più semplice di quanto si immagini. Intanto noto un diverso esito: il padre di Messina Denaro è morto da latitante, lui è stato preso da vivo seppure malato».

Cosa pensa dei politici che oggi esultano?

«Mi fanno ridere le frasi di circostanza, sono facili da pronunciare quando si sta a Roma e non sai cosa vuol dire vivere in un contesto in cui domina il sistema mafioso. Ritengo che la politica non abbia nulla da esultare, anzi dovrebbe chiedere scusa per non essere riuscita a catturarlo prima e per le tante verità negate ai cittadini. Quindi finiamola con le frasi fatte, i proclami scritti a tavolino. É un giorno di rivoluzione storica, ci vuole commozione»

Vi sentite più sicuri?

«Sì, mi sento più tranquillo. E aggiungo che i ragazzi che vedevano Messina Denaro come icona, oggi devono fare i conti con la realtà. Quel mito oggi subisce un colpo pesantissimo. Ma soprattutto c’è la maggioranza di persone che gioisce. Per farlo crollare definitivamente servirebbe una decisione che può prendere solo lui, se per la prima volta dimostrasse di essere un uomo: dovrebbe pentirsi, dire sì è vero che sono stato un criminale, ho fatto male a un popolo intero, e di questo oggi mi pento. Immaginate che messaggio potente arriverebbe ai suoi sodali, al sistema mafioso, potrebbe cambiare il corso della storia. Mi appello a lui perché scelga questa strada e collabori con la giustizia, lo faccia per ridare dignità a una terra e alla sua famiglia».

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