I maturandi del liceo classico sono alle prese con una versione di Seneca, tratta dalle Epistulae morales ad Lucilium. Una scelta non semplicissima per la traduzione, perché richiede una certa comprensione del contesto e una scelta non troppo letterale dei termini. Allo stesso tempo, il brano proposto ha il pregio di avere costrutti grammaticali non eccessivamente complessi e apre alla possibilità di una riflessione che può toccare gli interessi anche dei ragazzi di oggi. Finita la traduzione, infatti, ai maturandi viene richiesto un commento sul brano, anche in chiave personale. Il fatto che si parli del rapporto fra il privato e il pubblico può essere di grande interesse, per una generazione cresciuta sui social network.

Ma partiamo dal contesto. Le Epistulae morales ad Lucilium sono una raccolta di 124 lettere suddivise in 20 libri, scritte da Lucio Anneo Seneca negli ultimi mesi di vita, negli anni del disimpegno politico tra il 62 e il 65 d.C., ed è giunta ai posteri parzialmente incompleta.

La filosofia di Seneca

Il destinatario è Lucilio Iuniore, governatore della Sicilia, poeta e scrittore. Le lettere iniziano quasi sempre con un'osservazione relativa a un argomento di vita quotidiana, procedendo verso un principio filosofico estratto dalla stessa. Molti dei temi trattati nell'opera costituiscono cardini della filosofia stoica, tra cui il disprezzo della morte, l'imperturbabilità d'animo del saggio e la virtù come bene supremo. 

L'epistolario costituisce un caso unico nel panorama letterario latino, sebbene Seneca abbia quasi certamente tratto l'idea di comporre lettere filosofiche da Platone e da Epicuro. Rispetto alla tradizione epistolare, rappresentata in particolare da Cicerone, il filosofo distingue le lettere filosofiche dalla comune pratica epistolare.

Non credere al volgo

La versione proposta per l’esame, quest’anno, si intitola “Chi è saggio non teme il volgo”. L’idea di base è che cercare il favore della folla non porta alla felicità ma alla rovina. Seneca mostra all'amico Lucilio come i precetti della filosofia possano, invece, guidare alla virtù in mezzo ai falsi valori. «La solitudine – spiega Seneca nel brano proposto ai maturandi – non è di per sé maestra di onestà». «Quando se ne sono andati i testimoni e gli spettatori, cessano i vizi, che si beano di essere ostentati e osservati».

«Chi indossa vesti di porpora per non esibirle? Chi mette le vivande in stoviglie d’oro solo per se stesso? Guarda come in pubblico uno vive diversamente che in privato». La questione del rapporto pubblico-privato è di particolare attualità per ragazzi che sono abituati a confondere i due piani, con l’esposizione della propria vita sui social network. Le maschere che si indossano normalmente in pubblico ora invadono anche la sfera privata, almeno per quello che si mostra su TikTok.

«La spinta verso tutto quello che quello per cui diamo segni di follia è la presenza di un ammiratore e di un testimone», spiega Seneca. La soluzione? Secondo l’autore latino è di togliere ogni ostentazione: «L’ambizione, lo sfarzo e la sfrenatezza hanno bisogno della ribalta: se li tieni nascosti, ne guarirai».

Il testo proposto ai maturandi

Questo il testo completo, in latino, proposto ai maturandi: «Non est per se magistra innocentiae solitudo nec frugalitatem docent rura, sed ubi testis ac spectator abscessit, vitia subsidunt, quorum monstrari et conspici fructus est. Quis eam quam nulli ostenderet induit purpuram? quis posuit secretam in auro dapem? quis sub alicuius arboris rusticae proiectus umbra luxuriae suae pompam solus explicuit?

Nemo oculis suis lautus est, ne paucorum quidem aut familiarium, sed apparatum vitiorum suorum pro modo turbae spectantis expandit. Ita est: inritamentum est omnium in quae insanimus admirator et conscius. Ne concupiscamus efficies si ne ostendamus effeceris.

Ambitio et luxuria et inpotentia scaenam desiderant: sanabis ista si absconderis. Itaque si in medio urbium fremitu conlocati sumus, stet ad latus monitor et contra laudatores ingentium patrimoniorum laudet parvo divitem et usu opes metientem. Contra illos qui gratiam ac potentiam attollunt otium ipse suspiciat traditum litteris et animum ab externis ad sua reversum».

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