I piselli ripieni, il tacchino tonnato, l’aria di zuppa inglese, l’insalata che vaga nel bosco, ma soprattutto le schiumette e le gocce, l’abuso del sifone, la cottura sotto vuoto a bassa temperatura applicata a qualsiasi taglio di carne, al pesce, alla cacciagione. A giudizio di troppi cuochi, noi clienti siamo quelli lì. Quelli che vanno al ristorante per stupirsi, per intraprendere un percorso, per godersi l’ebbrezza di un’esperienza ovviamente irripetibile
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
No, l’agnello crudo con le ostriche no, proprio no. Scorro il menù di un cuoco giovane, apprezzato, talentuoso, ovviamente creativo, e mi imbatto in quell’improponibile piatto. Mi scatta qualcosa dentro. Ma come diavolo siamo arrivati a un delirio di questa portata? Da trenta o quarant’anni faccio buon viso. Mi sforzo di fare buon viso. Mi sono adattato a quasi tutto, ho perdonato quasi tutto. I piselli ripieni, il tacchino tonnato, l’aria di zuppa inglese, l’insalata che vaga nel bosco, ma soprattutto le schiumette e le gocce, l’abuso del sifone, la cottura sotto vuoto a bassa temperatura applicata a qualsiasi taglio di carne, al pesce, alla cacciagione.
Ricordo una straordinaria lezione di Gianfranco Vissani a un cuoco che gli aveva appena preparato un bollito misto cotto a bassa temperatura: «Credimi, il bollito misto non si cuoce a bassa temperatura. È un errore. Non è questione di scelte o di opinioni. È un errore e basta». Grazie Vissani.
Lo stupore
Ma ormai, a giudizio di troppi cuochi, noi clienti siamo quelli lì. Quelli che vanno al ristorante per stupirsi, per intraprendere un percorso, per godersi l’ebbrezza di un’esperienza ovviamente irripetibile, per sgranare gli occhioni adoranti davanti a una sogliola verticale, a una lasagna destrutturata, a un quadro di Miró trasformato magicamente in un piatto di pasta, naturalmente con quindici diversi tipi di maccheroni, fusilli, sedanini, cotti singolarmente e poi assemblati con uno strumento che la cucina contemporanea ha nobilitato e santificato: la pinzetta. Chissà come avranno fatto, per qualche millennio, tante generazioni di cuochi a fare il loro mestiere senza usarle mai, le pinzette.
Fin dal titolo questo libro è un omaggio a un grandissimo maestro di scrittura, di cronaca sportiva e di racconti gastronomici: Gianni Mura. Una decina d’anni fa il grande giornalista milanese firmò un volume dal titolo simile: Non c’è gusto, edito da Minimum Fax. L’argomento era diverso. Quelle pagine insegnavano a riconoscere un buon ristorante prima di provarlo, ci indicavano quali indizi osservare per evitare fregature e delusioni. Insomma, quel volume era una specie di manuale di autodifesa del frequentatore seriale di trattorie e buone cucine. Pagine brillanti, divertenti, intelligenti, come tante altre firmate da Mura. «Mi piacerebbe che il lettore diventasse guida di se stesso», spiegava l’autore.
Chef e imitatori
Il libro che avete in mano ha un intento diverso. È la storia di una lunga sbornia collettiva, nata nel secolo scorso su una spiaggetta catalana e cresciuta in maniera impetuosa, dilagante, travolgente. È una sbornia che ha prodotto qualche grande chef e una marea di modesti e velleitari imitatori. Ha gonfiato l’ego di tanti cuochi, trasformandoli in maestri di pensiero e di vita, in filosofi predicatori, in personaggi carismatici, in star televisive, in signori dell’audience.
Non tutti, in questi lunghi anni, hanno trovato il tempo per continuare a starsene ai fornelli, ma questo è un prezzo che tanti hanno pagato volentieri. E la bontà dei piatti? Vien da chiedersi che fine abbia fatto la qualità dell’alta cucina, o di una cucina altrettanto importante ma meno alta, quella popolare e tradizionale che in fondo è l’anima dell’orgoglio italiano, dello straordinario insieme di ricchezze regionali che perfino i maestri francesi ci invidiarono e ci invidiano. Già, che fine ha fatto la cucina italiana dopo il lungo tsunami che ne ha scosso le fondamenta e ne ha cambiato profondamente molti connotati? Ne parleremo, ma prima diamo un’occhiata alle origini della grande sbornia.
Non c’è più gusto. Il tentato suicidio della cucina italiana di Mauro Bassini (160 pp., euro 16,90) indaga il degrado dell’alta cucina italiana nella ristorazione modaiola. Interviste, aneddoti e storie di chef, per cercare un rimedio alla deriva in cui versa per l’autore il settore.
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