Dalla corsia alla piazza. Martedì 5 va in scena lo sciopero nazionale di medici, infermieri e dirigenti della sanità pubblica organizzato dai sindacati di categoria Anaao Assomed, Cimo Fesmed e Nursing Up. Ventiquattr’ore a partire dalla mezzanotte di martedì 5 per protestare contro la manovra che stanzia ben «600 milioni di euro per il comparto del privato accreditato al fine di ridurre le liste d’attesa» e manifesta ancora una volta, secondo i promotori della giornata di sospensione dal lavoro, la volontà di «non assumere nuovo personale negli ospedali». Da Bolzano a Cagliari, passando per Roma, dove i camici bianchi e gli altri operatori sanitari si riuniranno in piazza Santi Apostoli alle 11.30, diversi i sit-in a tutela del Servizio sanitario nazionale. «Siamo stati inondati di adesioni – dice il segretario generale di Anaao Assomed Pierino Di Silverio – prevediamo una straordinaria partecipazione: se il governo non ci ascolterà il passo successivo allo sciopero si chiamerà dimissioni di massa».

Gli intoccabili

Fatta eccezione per il contingente minimo che, pur aderendo allo sciopero, continuerà a garantire il servizio negli ospedali, le stime relative ai manifestanti sono dunque alte. Ma c’è anche chi dirà di «no». «Sono i medici a gettone – continua Di Silverio – e cioè coloro che non sentono addosso la pressione di un Servizio sanitario nazionale che sta cadendo a pezzi». Ne è convinto anche il presidente della federazione Cimo Fesmed Guido Quici. «Il blocco delle assunzioni va avanti dal 2004 – spiega – chissà quando scopriranno che i gettonisti costano di più rispetto ai medici regolarmente assunti: stiamo parlando di 120-150 euro all’ora dei primi contro i 45 euro, sempre all’ora, dei secondi». Cioè «per coprire il buco di medici negli ospedali italiani si è scelto di spendere ancora di più».

Insieme a questi liberi professionisti che lavorano a cottimo e guadagnano, a parità di ore lavorate, più degli assunti «non sciopereranno», afferma provocatoriamente Quici, «neanche i medici cubani in Calabria, quelli venezuelani in Molise e quelli argentini in Sicilia». «Noi di Cimo Fesmed – prosegue il presidente nazionale – siamo già ricorsi al Tar contro i decreti che prevedono l’utilizzo di dottori importati da altri paesi: perché non bandire concorsi per assumere stabilmente all’interno del Sistema sanitario nazionale?».

Briciole al pubblico

«I 3 miliardi complessivi di questa manovra sono uno specchietto per le allodole», dice ancora Quici, «perché di queste risorse 2 miliardi e 300 milioni sono destinati al rinnovo contrattuale e degli 800 milioni restanti un terzo va alle Regioni e due terzi al privato: come si fa, con questi fondi irrisori, ad assumere i 20-30 mila medici di cui i nostri ospedali hanno bisogno?».

Le ragioni dello sciopero sono anche altre: non solo, infatti, la carenza di personale sanitario mette a rischio la tenuta dell’intero sistema, c’è dell’altro. Per gli organizzatori dello sciopero occorre «la detassazione di una parte della retribuzione e, ancora, combattere contro la stangata che colpisce circa 50mila dipendenti con un taglio dell’assegno previdenziale compreso tra il 5 e il 25 per cento all’anno». In ultimo, si chiede «una depenalizzazione dell’atto medico per restituire maggiore serenità al personale e ridurre il ricorso alla medicina difensiva».

«In attesa dall’AI serve personale»

E l’allarme relativo al “deterioramento” della sanità pubblica arriva anche da territori dove le cose sembravano, almeno fino ad ora, procedere per il verso giusto. «Nel 2023 è stato sostituito solo il 50 per cento di coloro che hanno cessato il loro rapporto lavorativo», dichiara la dottoressa Ester Pasetti, segretaria regionale Anaao Assomed per l’Emilia Romagna, «e per il 2024 non ci aspettiamo miglioramenti: Bologna domani scenderà in piazza perché i cittadini non si accontenteranno dell’Intelligenza artificiale che ci sostituirà tutti e neanche dei medici a gettone che, diciamolo, alle volte, non si sa neanche che tipo di specialità abbiano». Il coro, insomma, appare univoco.

Gli insospettabili

Ad aderire allo sciopero (oltre ad averne proclamato uno tutto proprio contestualmente) sono anche i medici della sanità privata. Perché? I motivi li spiega la segretaria nazionale di Cimop, Confederazione italiana dei medici dell’ospedalità privata, Carmela De Rango: «Sono diciotto anni che i medici con contratto nelle strutture private accreditate al Servizio sanitario nazionale vedono questo stesso contratto fermo al palo: la loro retribuzione è di 1.500 euro netti per trent’otto ore settimanali – dice De Rango – ciò significa che in tutto questo tempo non si è tenuto conto dell’inflazione, del cambiamento intervenuto sul costo della vita: noi siamo medici, non aziende, ed è vergognoso che un gettonista guadagni più di noi». Il “nemico”, in altre parole, sembra avere, sia nel pubblico sia nel privato, lo stesso nome.

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