E’ stato un colpo a sorpresa quello della Cina quando, settimana scorsa, ha proclamato il suo impegno nel voler ridurre le proprie emissioni di anidride carbonica a zero entro 40 anni. Un annuncio che nel mondo scientifico e ambientalista ha riacceso le speranze di limitare il cambiamento climatico globale a livelli tollerabili, anche perché la mossa potrebbe ispirare altri Paesi a seguirne l'esempio. 

La Cina è il più grande produttore mondiale di CO2  (anidride carbonica), responsabile del 28 per cento delle emissioni a livello globale e se riuscisse nell’intento sarebbe davvero qualcosa di grandioso. Ma sono molti gli osservatori che sottolineano che per raggiungerlo il Paese dovrà affrontare sfide che sembrano quasi impossibili. 

Scalzare del tutto l’utilizzo del carbone – principale fonte di energia e di inquinamento al tempo stesso - sarà particolarmente difficile.

Dopo il picco

Durante l’Assemblea alle Nazioni Unite il presidente cinese Xi Jinping ha detto: “La strada che dovremo percorrere ci vede ad avere il picco di emissioni di CO2  poco prima del 2030, ma da quel momento inizieranno a scendere fino a raggiungere l’emissione zero prima del 2060”. 

A questa affermazione Josep Canadell del Global Carbon Project ha commentato: “E’ un annuncio molto significativo e incoraggiante e anche se arrivare al 2060 per bloccare le emissioni di anidride carbonica non ci permetterà di fermarci a 1,5° Celsius al di sopra della temperatura media rispetto al periodo pre-industriale (obiettivo dell'accordo di Parigi del 2015), è possibile rimanere sotto i 2°C, risultato non da poco.

“L'impegno della Cina aumenta anche la pressione su altri importanti Paesi che emettono grandi quantità di CO2 e ciò potrebbe ulteriormente isolare l'amministrazione Trump nella sua miopia climatica", secondo Vance Wagner della Energy Foundation China, in un articolo pubblicato online dall'organizzazione no profit China Dialogue.

Al di là delle affermazioni c’è da chiedersi come la Cina possa nel giro di 30 anni, una volta raggiunto il picco nel 2030, riuscire a debellare le emissioni di anidride carbonica.

Indubbiamente ciò richiederà una riduzione drastica dell’uso dei combustibili fossili nei trasporti e nella generazione di elettricità o perlomeno la compensazione di eventuali emissioni rimanenti attraverso la cattura e lo stoccaggio del carbonio o uno sviluppo di foreste con pochi precedenti.

Un piano lungo 30 anni

La Cina non ha ancora rivelato i dettagli su come raggiungerà tale obiettivo. Il 27 settembre tuttavia, un gruppo di ricerca presso la Tsinghua University – che lavora a stretto contatto con il Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente per progettare obiettivi a lungo termine - ha presentato un piano trentennale da 15 milioni di miliardi di dollari che ridurrebbe a zero l'uso del carbone per la produzione di elettricità intorno al 2050, in cambio di un aumento notevole nella produzione di energia nucleare e rinnovabile.

La riduzione del carbone è la sfida più grande. L'anno scorso, il combustibile ad alto contenuto di carbonio ha rappresentato circa il 58 per cento del consumo totale di energia della Cina e il 66  per cento della sua generazione di elettricità. 

Nelle regioni produttrici di carbone viene utilizzato anche per riscaldare gli edifici. I recenti progressi nell'energia rinnovabile tuttavia, hanno reso la sostituzione del carbone più facile che ridurre l'uso di petrolio nei trasporti. 

«Il settore energetico è la parte del sistema dove le tecnologie a emissioni zero sono le più mature ed economicamente competitive», ha affermato Lauri Myllyvirta, analista dell'inquinamento atmosferico presso il Centro di ricerca sull'energia e l'aria pulita di Helsinki a Science. 

Ma ciò dovrà navigare contro la situazione attuale. Un recente studio di Myllyvirta infatti, ha messo in luce che la produzione di energia grazie al carbone è cresciuta di circa 40 gigawatt (GW) nel 2019, raggiungendo i 1050 GW. 

Altri 100 GW sono in costruzione e gli interessi delle Società di estrazione del carbone stanno facendo pressioni per ulteriori impianti. 

«Tutto questo però, nonostante la significativa sovraccapacità nel settore, con impianti che funzionano a meno del 50 per cento della capacità e molte società di energia a carbone che perdono denaro», afferma lo studio. 

Anche l'espansione del nucleare comunque, presenta delle sfide. Il disastro nucleare di Fukushima del 2011 ha portato anche in Cina una notevole preoccupazione, che ha imposto misure di sicurezza aggiuntive tali da rendere i nuovi impianti più costosi. 

La Cina ha 48 reattori nucleari in funzione e 12 in costruzione, secondo la World Nuclear Association. Il governo aveva puntato a 58 GW di capacità nucleare entro quest'anno, ma non è andato oltre i 52 GW.

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