L’Unione europea sconfessa la linea italiana su Covid e Cina. «Ingiustificata»: così lo European Centre for Disease Prevention and Control, e cioè l’agenzia Ue che elabora dati e pareri scientifici, descrive la imposizione di restrizioni o di screening – l’obbligo di tamponi – a chi arriva dalla Cina.

Italia ed Europa

In Europa c’è chi corre da solo e chi va a rilento. In questo caso, va avanti l’Italia: la prima iniziativa di testare chi arriva dalla Cina comincia «giorni fa, per il bene dei lombardi» – dice a mo’ di vanto il governatore leghista Attilio Fontana – all’aeroporto di Malpensa. Mercoledì si muove anche Chigi: un’ordinanza del ministero della Salute prevede di testare tutti gli arrivi in volo dalla Cina. E Giorgia Meloni nota poi: serve un’iniziativa europea.

L’Italia corre da sola, l’Ue dal canto suo arranca: mentre è impegnata a progettare il «nuovo ordine della salute globale», Bruxelles sembra cadere sui fondamentali; ancora una volta, di fronte a un’allerta Covid, tra stati membri ci si attiva in ordine sparso. «29 dicembre: incontro urgente per coordinarsi», si è decisa mercoledì Sandra Gallina, a capo della direzione generale Salute della Commissione Ue. Ma dopo la riunione del comitato per la Sicurezza sanitaria Ue, la linea italiana è rimasta solitaria. Le azioni vanno fatte «insieme». Quali? Per ora, continuare «a discuterne».

Dai governi arrivano spinte contraddittorie. L’Austria, nostra vicina, punta sul turismo. Per la Germania, se non ci sono evidenze di una nuova variante più pericolosa, non ha senso imporre restrizioni. Meloni stessa ha lanciato un messaggio rassicurante, questo giovedì mattina: i casi sequenziati sono di varianti già in circolazione. Poi la valutazione dell’Ecdc, che ha definitivamente freddato gli zeli.

L’innesco e il black out

A spingere era una combinazione di due fattori: il cambio di politica e la moltiplicazione dei casi in Cina. La decisione di allentare le restrizioni pandemiche in piedi dal 2020 rende più permeabili le frontiere: cadono i vincoli alle tratte aeree, e dall’8 gennaio per entrare in Cina basta un test; niente quarantene. In questo contesto, si sta verificando anche un aumento dei contagi. Gli ospedali cinesi sono sotto pressione, da giorni l’Oms esprime preoccupazione.

L’allerta è motivata anche dal black out informativo cinese. Dall’inizio della pandemia, la Cina ha reso ufficiali solo poco più di 5mila morti, un dato assai sbilanciato rispetto alle tendenze globali. A dicembre le autorità cinesi hanno computato tra i morti di Covid solo chi aveva problemi respiratori. Per due settimane, a inizio mese, non risultava nessun nuovo decesso; poi un pugno, mentre l’Oms ne riferiva a centinaia. Il 25 dicembre la Commissione per la salute nazionale di Pechino ha del tutto interrotto la pubblicazione dei dati. La proliferazione dei contagi desta allerta anche sul versante delle varianti.

Tutto ciò motiva la scelta di Giappone, Taiwan, India, Italia e Stati uniti di imporre il test a chi arriva dalla Cina. «Mancano dati attendibili: bisogna rallentare la diffusione del virus mentre cerchiamo di identificare possibili nuove varianti», hanno detto le autorità sanitarie (il CDC) in Usa: dal 5 gennaio chi viene da Cina, Hong Kong e Macau dovrà esibire un test negativo.

In ordine sparso

La fibrillazione in Europa inizia da Malpensa. Il monitoraggio all’aeroporto di Milano sui passeggeri in arrivo dalla Cina, e la diffusione della notizia di un tampone positivo ogni due, ha innescato mercoledì l’ordinanza del ministro della Salute Orazio Schillaci: tampone obbligatorio per chi arriva dalla Cina. Schillaci firma, e chiede l’intervento dell’Ue, come pure Meloni: «Visti gli scali dei voli, la misura è poco efficace se non la prendono anche gli altri paesi europei. Ho chiesto a Schillaci e Salvini di scrivere ai rispettivi commissari Ue».

La premier para i colpi, e dalla conferenza di fine anno prova a imbonire anche l’elettorato no-pass: la «privazione della libertà non funziona, il caso cinese lo dimostra. La soluzione sono controlli, tamponi e mascherine». Poi il messaggio rassicurante: «I primi casi sequenziati sono omicron».

Bruxelles intanto che fa? Ursula von der Leyen ha fatto leva sulla pandemia per imbastire una nuova cornice istituzionale e concentrare poteri su Hera, la nuova agenzia per le emergenze sanitarie. Ma sul caso Cina la commissione per la Sicurezza sanitaria si è riunita il giorno dopo l’ordinanza italiana, e per decidere di «discutere ancora». A parole, l’Ue promette una «azione congiunta». Nei fatti, mentre Roma correva, Berlino frenava: «Non c’è evidenza che una variante più pericolosa si sia sviluppata in questa ondata cinese, e sarebbe questo a innescare restrizioni», per il ministero della Salute tedesco.

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