Il fiume Evros segna il confine europeo fra la Grecia e la Turchia. Qui per anni hanno tentato il guado le famiglie di rifugiati che temevano la rotta del mare sull’Egeo. Qui viene costruito il confine che la retorica sovranista incita a proteggere, esitando – ma nemmeno troppo - a definire il nemico. Da queste parti i primi a muoversi furono i bulgari, con il presidente Bojko Borisov (un passato da body guard e ministro degli interni) fiero di portare a passeggio i suoi omologhi europei lungo la fitta barriera di filo spinato al confine – lo stesso confine oltre il quale rifugiati e richiedenti asilo venivano abusgati dalla polizia e inseguiti da squadristi con mazze e cani. In seguito i modi si sono evoluti, e il confine è sempre più costruito da tecnologie-pilota.

Così, poco prima che Fabrice Leggeri, capo dell’Agenzia europea Frontex, venisse formalmente accusato dal parlamento europeo per aver distrutto prove di respingimenti illegali (refoulement) operati dal governo greco ai danni di richiedenti asilo “scomparsi” e deportati oltre confine, ecco il vice-presidente della Commissione Europea, il greco Margaritis Schinas, recarsi a Evros per lodare i «guardiani del confine esterno», un confine che è nientemeno che «il simbolo dei valori dell’Europa», ovvero «il più perfetto sistema di gestione del confine al mondo».

Il cannone sonico

A cosa si riferiva esattamente, Schinas nello sperticarsi per tanta modernità? A fare da barriera, filtrando gli esseri umani in movimento, ovvero ostacolando gli attraversamenti di chi non ha risorse (rifugiati, poveri, minoranze sgradite) e facilitando il viaggio di chi invece rientra nell’aspettativa di ritorni finanziari (professionisti, turisti, ricchi), non ci sono solo le infrastrutture digitali come il Visa Information System, che connettono fra loro autorità statali preposte alla border security e costituiscono a tutti gli effetti una piattaforma di governo digitale della mobilità.

Un po’ come per i corpi gonfi degli annegati nel tentativo di attraversamento, che continuano ad affiorare sulle spiagge nordafricane lontano dalle nostre telecamere, l’industria della sicurezza da tempo si ingegna sull’innovazione tecnologica, cercando risposte tanto efficaci quanto capaci di risparmiare lo strazio del contatto diretto, così da evitarci le spiacevoli immagini di bambini disperati fra le braccia delle madri in fuga dalle manganellate e dai lacrimogeni delle nostre polizie di frontiera. Un mese fa, per esempio, un lancio della Deutche Welle ha annunciato il dispiegamento sulla frontiera di Evros di un “cannone sonico” acquistato lo scorso settembre (la stampa greca aveva parlato allora di deterrente per combattere “ampi flussi migratori”), presentandolo come frutto di programmi di ricerca finanziati dall’Unione europea.

Il Long-Range Acoustic Device (Lrad) deriva dalla ricerca in ambito sonic warfare, e genera onde sonore che disorientano e feriscono chi si trova esposto sulla linea diretta di fuoco: è progettato per essere impiegato in azioni di controllo della folla, sia come speech system (amplificazione della voce umana per allerte, intimazioni) sia come vera e propria arma (propagazione di suoni capaci di provocare perdita di udito).

Facilmente installabile su veicoli, produce suoni ad alta frequenza e a volumi estremi che si propagano a lunghissima distanza – e si presta dunque a essere impiegato come disruptor, ad esempio per disperdere gruppi di persone che si assembrano in punti critici del confine durante operazioni dirette a impedirne il passaggio. Secondo i produttori, il Lrad raggiunge un’emissione continua a 162 decibel – laddove un tagliaerba solitamente si attesta sui 90 decibel: variando di caso in caso anche a seconda del periodo di esposizione, danni all’udito iniziano a registrarsi sopra i 100 db, con la soglia di dolore attorno ai 130 db.

Come da tradizione nell’ambito ricerca militare, le informazioni tecniche scarseggiano: resta il fatto che se una normale sirena d’allarme emette onde in ogni direzione, un Lrad emette onde a frequenza limitata (da 100 Hz a 10 kHz) che sono direzionate lungo un cono di proiezione di 30 gradi, creando una sorta di effetto a martello. Nulla di particolarmente sofisticato: il banale impiego di una forma di forza bruta allo scopo di colpire i segmenti più sensibili del nostro udito, con speculazioni in corso circa l’abbondanza di ultrasuoni e vibrazioni aggiuntive.

Se ben direzionata, l’arma sonica può dunque causare danni nel giro di pochi secondi. In pratica, la famiglia siriana in fuga dai bombardamenti di Idlib, o la famiglia afghana che riuscisse ad arrivare alle porte d’Europa dopo essere riuscita a scavalcare la muraglia che Erdogan sta costruendo al confine con l’Iran, si trova bombardata da suoni fastidiosi per l’orecchio e da avvisi circa le implicazioni penali dell’ingresso in Grecia.

Autorizzato ma non utilizzato

L’utilizzo del Lrad è affidato alla polizia, circostanza che già in sé è problematica, dal momento che non ne sono chiari i limiti di impiego. Secondo i dirigenti della polizia greca dispiegata a Evros, si tratta di nient’altro che della risposta al bisogno di mezzi moderni per eseguire il doveroso compito di impedire gli ingressi illegali nel paese.

Davanti al clamore social-mediatico suscitato dall’annuncio, l’Unione europea si è precipitata a negare che alcun cannone sonico sia stato finanziato dalla propria ricerca – tanto che Deutsche Welle ha rimosso la notizia. Anche in Grecia si sono levate voci critiche: l’iniziativa di polizia indipendente si è opposta alla fornitura del cannone sonico, evidenziando come esso sia specificamente concepito per l’impiego contro folle umane - soggetti particolarmente vulnerabili, non criminali. Al tempo stesso, viene stigmatizzata l’inerzia rispetto a una serie di crimini violenti, presumibilmente legati a criminalità organizzata, perpetrati ad Atene in pieno giorno. A seguito delle polemiche, il governo greco ha dichiarato di aver autorizzato l’impiego del Lrad, ma non di averlo ancora utilizzato.

I precedenti

Un minimo di storia può aiutare a illuminare la natura non episodica della vicenda: il Lrad viene sviluppato dalla Lrad Corporation (oggi Genasys – il cui sito parla di un mezzo che consente un’escalation nell’uso della forza modulabile e non cinetica) in risposta ad attacchi subiti dalla marina statunitense in Yemen nel 2000, e dalla ricerca militare sono presto finiti in mano delle polizie. Già nel 2012, ospitando i giochi olimpici, la polizia britannica si appoggiò ai Marines statunitensi per sperimentare l’uso dei Lrad tanto per diramare allerte quanto per potenzialmente farne un’arma di dissuasione e dispersione non letale.

Siamo, per intenderci, nel mondo sempre più vario e articolato delle alternative ai gas lacrimogeni e alle granate stordenti (le famigerate flash-bang): insomma cose che fanno male alla salute ma in teoria non uccidono. Nel 2017 un gruppo di cittadini denunciò la polizia di New York per danni causati da armi soniche: la pretesa che esse non costituiscano uso della forza, avanzata dal dipartimento di polizia con l’intento di ottenere un non luogo a procedere dal tribunale, venne però rigettata dal giudice.

Proprio negli Stati Uniti si è avuto l’ultimo uso documentato e massiccio del Lrad, in occasione delle proteste legate al movimento Blm (Black Lives Matter): l’entrata in scena del cannone è stata a Portland il 4 giugno dello scorso anno, montato su auto della polizia che hanno bombardato con onde soniche per disperdere i manifestanti. Le testimonianze dirette degli attivisti ricostruiscono un raggio di efficacia (nausea, tinnito, panico) di circa 300 metri, e danni gravi (perdita di coscienza e dell’udito) se esposti nel raggio di 20 metri. Si è visto che chi si trova lungo la linea diretta di propagazione e non si fa da parte in fretta finisce a terra a urlare. In assenza di regole, l’impiego eccessivo del Lrad come modalità di gestione della popolazione, e in particolare per operare contro minoranze in guisa di azione contro il crimine è più una certezza che un rischio.

Oltre a smentire di aver finanziato i cannoni sonici di Evros tramite il proprio Internal Security Fund for Borders o in altro modo, Bruxelles avrebbe chiesto spiegazioni ad Atene circa le implicazioni dell’impiego dell’arma per i diritti fondamentali. Lo avrebbe fatto specificando come, mentre la gestione della difesa dei propri confini resta in ultima istanza una competenza nazionale, essa deve restare in linea con i diritti fondamentali, incluso il diritto alla dignità. Resta il fatto che la Ue nell’ultimo decennio ha fortemente finanziato in modo surrettizio l’ascesa della propria home security industry attraverso programmi etichettati come ricerca – come è stato documentato nell’ultimo decennio dal Transnational Institute di Amsterdam.

È significativo che oggi si accenda una luce su come l’uso del Lrad possa costituire violazione del principio di non-refoulement. Per quanto risulti scomodo da ammetterlo al mondo della ricerca che ne viene finanziato, le tecnologie sono tutto fuorché un dominio neutro: esse producono uno spazio di sorveglianza, attraverso monitoraggio, sorveglianza, e acquisizione degli obiettivi che poi aiutano a colpire. Le tecnologie generano forme di appartenenza e di esclusione. Il loro impiego lungo i nostri confini è strettamente connesso a quello nelle nostre piazze, e dunque alla sorte della democrazia che sventoliamo nell’arena internazionale come il nostro tratto distintivo.

 

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