Il rischio è che il denaro pubblico proveniente dai bandi dell’Agenzia della Cooperazione Internazionale (Aics) del ministero degli Esteri italiano, destinato al miglioramento delle condizioni di vita dei migranti ospitati nei centri di detenzione in Libia, sia stato usato anche per l’esatto opposto: rendere più sicure con cancelli e recinzioni esterne i campi di tortura: «Interventi di natura ambivalente, con funzione contenitiva, in quanto volta a limitare la libertà delle persone detenute nella struttura».

È uno dei passaggi dell’esposto presentato alla corte dei Conti del Lazio nel novembre scorso dall’avvocato Lorenzo Trucco, in qualità di presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Asgi, l’organizzazione più autorevole in materia.

Tra i centri «teatro di interventi con fondi Aics» anche quello di Zawiya, che indagini giornalistiche e della magistratura hanno rivelato essere in mano al clan Al Nasr, al cui vertice c’è il trafficante, con un passato nella guardia costiera libica, Abdurahman al Milad: più noto come “Bija”, presente persino a un tavolo tecnico organizzato in Italia con funzionari del ministero per discutere di immigrazione sulla rotta mediterranea, all’epoca in cui ministro dell’Interno era Marco Minniti e da pochi mesi era stato firmato il memorandum Italia-Libia con il quale si prorogavano aiuti a Tripoli per frenare le partenze dalle coste da quel paese.

Bija è stato arrestato dalle autorità libiche a ottobre scorso, sul suo ruolo restano ancora molti misteri. Il viaggio del trafficante con la delegazione governativa nei palazzi romani è avvenuto a maggio 2017. Quattro mesi più tardi, l’Aics ha stanziato svariati milioni di euro per i centri di detenzione libici con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei reclusi.

Tra i documenti dell’Agenzia consultati da Domani c’è un bando con il codice 11242 che aveva previsto 2,3 milioni per progetti umanitari «salute, igiene, protezione». Quasi un milione è finito ai centri dell’«area geografica di Zuara e Sabratha», dove ricade anche il lager di Zawya.

La conferma che parte di quel denaro sia finito anche nel campo controllato dalla milizia di Bija è in un articolo pubblicato dall’associazione Helpcode che ha curato la distribuzione dei kit per i migranti detenuti: sul proprio sito è ancora visibile l’annuncio della distribuzione, nell'ambito del progetto sostenuto con i fondi Aics, «il 28 novembre (2019)» di beni «di prima necessità nel centro di Zawiya, ai migranti presenti sono stati consegnati 1160 kit per l’igiene personale e 1.000 coperte. Le donne, infine, hanno ricevuto 382 dignity kit contenenti 3 confezioni di assorbenti. È poi stato consegnato al direttore del centro un kit con materiali per la pulizia».

L’esposto

«Le organizzazioni internazionali operanti in Libia sono ben consapevoli della possibilità di malversazioni e sviamento degli aiuti umanitari: secondo una comunicazione interna delle Nazioni unite esiste un “alto rischio” che gli aiuti umanitari destinati ai detenuti vengano incamerati da gruppi armati.

Nel centro di Zawiya, gestito dal clan del noto trafficante conosciuto come “Bija” e teatro di un intervento da 1 milione di euro con fondi Aics, gli aiuti finirebbero metà ai detenuti metà alle guardie, molti beni vengono poi rivenduti sul mercato nero» si legge nella denuncia presentata alla corte dei Conti. Che il centro di Zawia sia un luogo di abusi e torture lo conferma una sentenza del tribunale di Messina di maggio 2020: sono stati condannati tre guardie di quella prigione.

«L’ipotesi che gli interventi abbiano una natura anche contenitiva è suffragata dalle affermazioni del direttore di una Organizzazione non governativa libica, secondo il quale i migranti detenuti nel centro di Sabaa sarebbero stati addirittura obbligati a costruire un’ala aggiuntiva del centro con fondi del governo italiano», è scritto nel documento inviato ai giudici contabili. Attività che appaiono in netto contrasto con la finalità istituzionale dell’Aics e con «lo scopo dei progetti, che è di migliorare le condizioni di vita della popolazione dei centri migranti e rifugiati e delle comunità ospitanti limitrofe ai centri», scrivono gli avvocati di Asgi.

Bandi sotto accusa

I bandi di gara la cui gestione è finita all’attenzione della magistratura contabile, sono quelli previsti «a valere sul fondo Africa» approvati a ottobre e novembre del 2017 dalla Farnesina. In particolare, sotto la lente della magistratura contabile è finita l’attività di alcune ong che avrebbero dovuto realizzare dei progetti in favore della popolazione migrante in Libia con un fondo disponibile di qualche milione di euro. I bandi escludono la presenza di personale italiano sul campo, così l’attuazione degli interventi è affidata a subappaltatori libici.

«Da un esame dei documenti ottenuti dall’Aics», scrivono i legali nella denuncia, «emerge una preoccupante mancanza di controlli sull’operato delle ong e dei subappaltatori libici».

Sapone carissimo

C’è poi il capitolo spese. La ong Helpcode, si legge nell’esposto «rendiconta attività che appaiono di importo manifestamente eccessivo. Il costo unitario di cinque o sei euro per saponi appare manifestamente sproporzionato rispetto al prezzo di mercato della merce stessa».

Helpcode è la stessa attiva nel campo di Zawya: il lager delle torture come hanno raccontato numerosi testimoni. Tutti i rendiconti, sostengono gli avvocati di Asgi nell’esposto, sono stati approvati dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Da parte sua, un’altra ong tirata in ballo, Emergenza sorrisi, ha evidenziato che «i rendiconti sono stati puntualmente consegnati con dettaglio dei costi all’Aics».

L’Agenzia tuttavia non ha concesso all’Asgi, denunciano i firmatari dell’esposto, di leggere i documenti certificati sulle spese. Abbiamo chiesto un commento all’ufficio stampa della Farnesina, ma non abbiamo ancora ricevuto risposta.

Emergenza sorrisi avrebbe dovuto richiamarci ma non lo ha ancora fatto.

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