Concluse le indagini a carico di Gian Andrea Franchi e di sua moglie Lorena Fornasir, della associazione Linea d’Ombra di Trieste, sospettati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e numerose aggravanti di questo reato.

Il pm di Bologna, Roberto Ceroni, ha comunicato ai due volontari della associazione, che si occupa di assistenza ai migranti che giungono a Trieste attraverso la rotta balcanica, di aver raccolto tutti gli elementi della accusa, e che nell’inchiesta è rientrata anche Lorena Fornasir su cui il magistrato triestino che aveva avviato l’indagine aveva invece smesso di indagare. Lorena, psicoterapeuta che vive a Trieste e suo marito Gian Andrea, 84 anni, professore di filosofia in pensione, hanno all'attivo anche diverse pubblicazioni specialistiche.

Il messaggio

«Comunichiamo a tutti gli amici e compagni che ci hanno sostenuto e ci sostengono e a tutti coloro che ci conoscono - dicono dall’Associazione Linea d’Ombra - che il pm di Bologna, nel cui tribunale si è conclusa l’istruttoria che ci riguarda, ha deciso di inviare a Giudizio Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro in concorso con una “cellula triestina”, composta di decine di persone, “con le aggravanti ad effetto speciale del concorso di tre o più persone e dell'uso di documenti contraffatti […] Con l'ulteriore aggravante d'aver commesso il fatto al fine di trarre profitto».

La parola passa ora alla difesa dei due volontari, che produrrà una memoria difensiva e poi al Giudice dell’udienza preliminare che dovrà pronunciarsi sulle richieste del Pm e degli avvocati.

«Data l’inconsistenza delle accuse - dicono persone vicine agli indagati - sarebbe scontato che anche il Pm chieda l’archiviazione per Gian Andrea e Lorena, ma il fatto che Lorena sia stata nuovamente coinvolta nell’inchiesta non è per niente un bel segnale».

L’indagine

Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, che in due hanno quasi 160 anni, avevano scoperto di essere indagati per il pesante reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina lo scorso 23 febbraio, quando - all’alba - la polizia di Trieste si era presentata nella loro casa per sequestrare documenti, telefoni e computer loro e della associazione.

L’indagine riguarda l’arrivo in Italia di una famiglia di profughi curdo-iraniani, giunti a Trieste grazie a una delle tante reti di passeur che secondo l’accusa comprenderebbe anche i volontari dell’associazione Linea d’ombra, l’associazione che tutti i giorni, in piazza a Trieste, si prende cura dei migranti che arrivano stremati alla conclusione del Game (come viene definita la rotta balcanica) e che fornisce loro scarpe (la rotta si compie a piedi, e alla fine le scarpe spesso non esistono nemmeno più), vestiti e assistenza medica e psicologica.

Altro che fuga

«Mi pare che ci sia un aggravamento della situazione» dice un esausto Gian Andrea che insieme a Lorena è - come tutti i giorni - in piazza ad assistere i migranti con i volontari della associazione. «La affermazione di colpevolezza del pubblico ministero la si evince dal fatto che Lorena sia stata nuovamente trascinata dentro questa indagine. Ma l’accusa - letteralmente – scrive che io mi sarei allontanato frettolosamente in macchina dopo aver aiutato la famiglia, suggerendo che stessi scappando. Peccato che poco dopo, sempre con quella famiglia che comprendeva anche due minori e che quindi meritava attenzione perché era palesemente un caso di alta vulnerabilità, siamo andati al Consorzio Italiano di Solidarietà per discutere con loro se chiedere asilo in Italia, come voleva la moglie, o se proseguire per la Germania come poi hanno fatto perché il marito aveva dei parenti lassù. Altro che fuga. Dal loro parente si erano fatti mandare 800 euro dal loro parente, attraverso un Money Transfer. Siccome serviva il riferimento di una carta d’identità, avevano dato le mie generalità. Hanno poi ricevuto il denaro e lo hanno usato per comperare i biglietti del treno e alcuni vestiti, altrimenti erano impresentabili.».

Il pubblico ministero Roberto Ceroni è noto anche per aver chiesto il proscioglimento di Matteo Salvini nella querela della famiglia di Bologna che era stata citofonata dall’ex ministro dell’Interno: «Scusi lei spaccia?». E sempre Ceroni era stato coinvolto nella vicenda delle pressioni sulle nomine al Csm fatte da Unicost su Luca Palamara, allora presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

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