Nel paese degli azzeccagarbugli, chi fa il proprio dovere e denuncia il malaffare finisce impigliato in un mare di cause e denunce. È il destino toccato a Miguel Martina, zelante funzionario dell'agenzia delle dogane e dei monopoli, che si era messo in testa di bloccare l'ingresso di mascherine con certificati falsi durante la pandemia. Nella sua battaglia contro il sistema ha trovato un'altra giudice che gli ha dato ragione, questa volta contro l'Inail per il riconoscimento della malattia professionale.

Ma chi è Martina? I fatti accadono quando a guidare la terza agenzia fiscale italiana c'è Marcello Minenna, sostenuto da Luigi Di Maio, Beppe Grillo, e in ottimi rapporti anche con Pd e con uomini della Lega. L'oggi assessore regionale in Calabria, nel governo delle destre, aveva trasformato l'agenzia in un impero personale. Proprio Domani aveva raccontato scelte discutibili, la selezione di fedelissimi e il destino amaro per chi non si piegava.

Gli anni d'oro di Minenna travolgono anche Martina e segnano per sempre il suo rapporto con l'agenzia, burrascoso anche dopo l'addio dell'ex dominus. Martina, nel 2020, è un funzionario dell’antifrode dei Monopoli che lavorava come polizia giudiziaria sulle truffe sulle mascherine. Quell'anno viene sospeso dal servizio e addirittura denunciato in procura dai vertici dell’Agenzia. Motivo? Avrebbe «operato delle interrogazioni non autorizzate sulle banche dati», recitava l’esposto, rifiutandosi poi di dire ai suoi capi il motivo delle sue ricerche.

Martina ha provato a spiegare che aveva l’obbligo del silenzio a causa del segreto istruttorio, visto che era stato delegato dal pm Antonino Clemente. Dopo mesi di indagini la procura ha chiesto l'archiviazione. «Nessuna censura penale può essere mossa all’indagato», è scritto nella richiesta, «al contrario emerge un danno nei suoi confronti, se non altro dal punto di vista lavorativo».

Archiviazione accolta mentre è partita un'indagine, ora a processo, a carico di Minenna, citato anche in altre inchieste giudiziarie, per calunnia e minacce nei confronti del suo dipendente.

Per Martina si chiude così un calvario interminabile tra scartoffie, carte bollate, cause e denunce. Pochi giorni fa è arrivato un altro pronunciamento a lui favorevole, quello firmato dalla giudice del lavoro, Rossella Masi. Cosa ha chiesto l'ex funzionario?

«Di ritenere che dal comportamento ritorsivo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, attraverso la molteplice azione di più dirigenti della stessa, è conseguita all’istante la malattia professionale denunciata a tutt’oggi presente e non cessata». L'Inail si è opposta chiedendo di dichiarare la nullità della pretesa, ma è stata bocciata clamorosamente. Martina ha denunciato di aver subito condotte vessatorie, con l'impossibilità di accedere ai sistemi informatici e quindi di lavorare, ma anche procedimenti penali avviati nei suoi confronti così come quelli disciplinari, tutti terminati con esito nullo. Ansia e depressione sono state le conseguenze della sua ingiustificata esclusione, ma l'Inail ha respinto la richiesta di malattia professionale, decisione che ha indotto Martina a rivolgersi al tribunale di Roma, sezione del lavoro. Nella sentenza si legge: «Emerge l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro (…) costituita da comportamenti tali da integrare forme di pressione, prevaricazione e ritorsione».

A supportare la decisione anche la consulenza tecnica d'ufficio che ha offerto elementi rilevanti per valutare il «nesso causale tra le illecite condotte datoriali e la patologia insorta». Alla fine l'Inail è stata condannata a corrispondere un indennizzo, calcolato su una invalidità permanente del 15 per cento, oltre le spese del consulenze e del procedimento. Un disastro anche economico per le tasche dei cittadini ancor di più perché i soldi sono stati spesi per dare la caccia a un servitore dello Stato.

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