«Mio fratello si chiama Khaled, ha 19 anni, e non abbiamo più sue notizie. Lo abbiamo sentito l'ultima volta giovedì poco prima della partenza dalla Libia, c'era stata una sparatoria, gli avevano proposto di tornare in Egitto, ma era disperato e voleva partire», raccontano Hussein e Donatella che vivono a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Hussein ora è andato in Sicilia, ha stampato dei volantini, cerca disperatamente notizie sul fratello, vuole capire se è ancora vivo, superstite o è morto. «Abbiamo ricevuto una telefonata da un altro migrante che si è salvato, erano su un barchino rosso, ma di Khaled non si hanno notizie e nessuno ci aiuta».

Khaled è arrivato in Libia, a Zhuara, dall'Egitto, attraverso la rete di trafficanti di esseri umani e ha aspettato il giorno della partenza per fuggire dalla miseria e ritrovare la sua famiglia. Proprio il 20 febbraio c'è stata la segnalazione di un altro naufragio nel Mediterraneo. Nella notte tra il 19 e il 20 febbraio una delle imbarcazioni partite dalla Libia si ribalta davanti agli occhi dei soccoritori. «Alle 3:30 circa di stanotte durante le operazioni di trasbordo di migranti su motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza, a circa 15 miglia a sud di Lampedusa, al limite delle acque SAR italiane, un barchino si capovolgeva.

Venivano immediatamente recuperate 40 persone dalla motovedetta CP 324 della Guardia Costiera e 7 da quella della Guardia di Finanza V1102», riferisce un comunicato della Guardia costiera che parla di dispersi. «Qualcuno ci dica qualcosa, ci dica se possiamo sperare ancora o no», concludono Hussein e Donatella. Quello del barchino dove c’era Khaled non è l’unico naufragio di quelle ore. «Salvare la vita di rifugiati e migranti alla deriva nel Mediterraneo deve tornare ad essere una priorità dell’Unione europea e della comunità internazionale», recita l'appello dell'organizzazione internazionale per le migrazioni dell'Unhcr, l'agenzia Onu per i rifugiati, lanciato qualche giorno fa dopo aver raccolto le testimonianze dell’ultimo ed ennesimo naufragio. Naufragio avvenuto praticamente lo stesso giorno: il 20 febbraio.

«Il team di Unhcr, presente a Porto Empedocle in attesa dello sbarco dalla nave mercantile Vos Triton di 77 migranti e rifugiati, ha raccolto testimonianze che confermano come almeno 41 persone sarebbero annegate e sono ora disperse». Sul gommone proveniente dalla Libia, partito il 18 febbraio, c'erano 120 persone, fra le quali 6 donne, di cui una in stato di gravidanza, e 4 bambini. «Dopo circa 15 ore il gommone ha cominciato ad imbarcare acqua e le persone a bordo hanno provato in ogni modo a chiedere soccorso. In quelle ore, 6 persone sono morte cadendo in acqua mentre altre due, avendo avvistato un’imbarcazione in lontananza hanno provato a raggiungerla a nuoto, annegando», ricostruisce l'Unhcr in un rapporto sul naufragio.

La nave Vos Triton, dopo tre ore, si è avvicinata per salvare i naufraghi, ma moltissime persone hanno perso la vita in mare. E' stato recuperato solo un corpo, tra i venti dispersi, ci sarebbero «3 bambini e 4 donne, di cui una lascia un neonato attualmente accolto a Lampedusa».  Solo dall'inizio dell'anno sarebbero già circa 160 le vittime nel Mediterraneo centrale. «Lungo tutta la rotta che porta, attraverso la Libia, al Mediterraneo centrale, sono decine di migliaia le persone vittime di inenarrabili brutalità per mano di trafficanti e miliziani, su un totale di oltre 3.800 persone arrivate in Italia via mare dal 1 gennaio al 21 febbraio, 2.527 sono partite dalle coste libiche», riferisce l'Unhcr nel suo rapporto ribadendo che la Libia non è un porto sicuro e deve essere fatto ogni sforzo affinché le persone recuperate in mare non vi vengano riportate. Il tema è quasi scomparso dall'agenda politica. Da quando il governo Draghi si è insediato e l'argomento non è più terreno di scontro tra partiti è calato il silenzio, ma nel nostro mare si continua a morire. 

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