Mocassini e sfruttamento. I pm: «Commissariare Tod’s»

Due mondi solo apparentemente distanti. Da un lato c’è quello del lusso, fatto di lustrini e paillettes. Dall’altro quello dei laboratori cinesi che, subfornitori dei marchi d’alta moda, si trovano a operare in condizioni di «para schiavitù». Secondo il pm di Milano Paolo Storari questi mondi a un certo punto «entrano in connessione» e lo fanno «per un unico obiettivo: l’abbattimento dei costi e la massimizzazione dei profitti attraverso l’elusione delle nome penali giuslavoristiche». Anche Tod’s – il colosso della pelletteria guidato da Diego e Andrea Della Valle, con Luca Cordero di Montezemolo nel relativo board – è finito sotto la lente della procura meneghina che da tempo indaga sul caporalato e gli opifici cinesi utilizzati dalle grandi aziende. Della società, formalmente non indagata, i magistrati chiedono il commissariamento dopo aver sventato, per l’appunto, tutte le «prassi illecite» realizzate dalle subfornitrici e, dunque, dopo i «mancati controlli» della casa madre che, sempre secondo gli inquirenti, avrebbe «agevolato» gli appaltatori e i subappaltatori della filiera produttiva. Logistica, contro il caporalato c’è il Protocollo di Milano. Ma qualcuno si tira fuori Le carte Nelle circa cento pagine di atti giudiziari a emergere è il «pesante sfruttamento» posto in essere nei confronti dei lavoratori cinesi, «pagati 2,75 euro all’ora» e impiegati negli opifici lombardi di Baranzate e Vigevano che producevano a marchio Tod’s. In questi stanzoni, i carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro hanno «rinvenuto abbigliamento in lavorazione e capi già ultimati, giacche e pantaloni e tessuto già modellato in parti da assemblare» riconducibile alla celebre maison. Che, in base alle carte giudiziarie, avrebbe ottenuto «indubbi vantaggi economici» grazie alla «messa in commercio di quei prodotti realizzati in regime di sfruttamento». Non è un caso che gli inquirenti, negli atti, facciano notare che se la tomaia di una calzatura prodotta da mani cinesi ha un costo compreso tra gli otto e i quattordici euro, il prodotto finale – la scarpa, il mocassino – finisce sul mercato con un prezzo che sfiora i settecento euro. «Possiamo solo ribadire – ha spiegato il gruppo del lusso in una nota – che Tod’s rispetta la legislazione vigente, compreso il diritto del lavoro, e che vengono effettuati controlli costanti sui laboratori che selezioniamo e utilizziamo». A intervenire sulla vicenda anche il ministro Urso: «Abbiamo presentato un’ipotesi normativa affinché ogni brand, come quelli che sono stati colpiti da queste azioni giudiziarie, possano farsi certificare in via preventiva la sostenibilità della filiera produttiva». Gli investigatori intanto parlano di condizioni lavorative «ottocentesche» e descrivono gli opifici come luoghi dove le macchine da cucire affiancano i letti dove si dorme o si dovrebbe dormire, considerato lo svolgimento del lavoro in orari notturni. «Quel che emerge dall’attività investigativa è che in Tod’s spa vi è una sorta di cultura di impresa, cioè un insieme di regole, un modo di gestire e di condurre l’azienda, un contesto ambientale intessuto di convenzioni anche tacite, radicate all’interno della struttura della persona giuridica, che hanno di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti», scrivono i pubblici ministeri. Che infine ribadiscono: «Nel corso delle indagini si è disvelata una prassi illecita così radicata e collaudata, da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business». I pm di Milano contro Amazon: «Il caporalato è anche digitale» La competenza Sulla richiesta di amministrazione giudiziale adesso dovranno decidere i giudici. Ma non prima che la Cassazione – nell’udienza del prossimo 19 novembre – ne fissi la competenza territoriale. Chi, infatti, dovrà pronunciarsi? Milano o Ancona (Tod’s ha sede anche nelle Marche)? Ai giudici di legittimità si è arrivati attraverso il ricorso dei pubblici ministeri di Milano dopo che sia la sezione misure di prevenzione del tribunale sia la Corte d’appello avevano respinto la richiesta di commissariamento di Tod’s, motivando il no anche con questioni di competenza territoriale. Intanto, nel ricorso, i pm non hanno dubbi e sottolineano l’«agevolazione colposa» di Tod's spa «in relazione ai fatti riscontrati presso gli opifici cinesi dove venivano lavorati parti di calzature vendute direttamente dalla società proposta» e soprattutto «dove si recavano i funzionari Tod's periodicamente ». Proprio lì, in quei locali, «erano posizionate le macchine da cucire, dalle quali – si legge nelle carte – erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza, rendendole potenzialmente pericolose per gli operatori». D’altronde, si legge ancora: «La rimozione dei dispositivi di sicurezza aumenta il rischio che i lavoratori possano venire in contatto diretto con le mani con i meccanismi mossi elettricamente, provocandosi lesioni anche gravi, ovvero rimanere impigliati negli stessi». Un fatto di cui sembra che nessuno abbia tenuto conto. Forse per salvaguardare quel mocassino – prodotto di punta della maison – che dagli opifici dell’orrore faceva poi capolino sugli scaffali dei patinati negozi del centro. E da lì negli armadi di ricche e ignare signore. Caporalato e tangenti: il gigante della logistica Brt in amministrazione giudiziaria