Adesso sentiamo profumo di giustizia», dichiara al Corriere della Sera Tiziano Nicoletti, uno dei legali delle famiglie delle vittime. Il clima è questo. Sembra di sentire la voglia di odore di napalm del colonnello Bill Kilgore in Apocalipse Now.

La sentenza del quarto processo per la strage di Viareggio è stata letta nel pomeriggio del 30 giugno in un’atmosfera da corrida. Profuma di giustizia la condanna dell'ex numero uno delle Fs Mauro Moretti, dell'altro ex Michele Elia e dell'ex amministratore delegato di Trenitalia Vincenzo Soprano.

Per i familiari delle 32 vittime bruciate vive la notte del 29 giugno 2009 la giustizia coincide con la condanna di Moretti, dichiarato colpevole dal sentimento popolare il giorno dopo il tragico incidente, quando è andato a Viareggio e ha detto subito, con una decisione inadatta al luogo e alle circostanze, ciò che 13 anni di indagini e processi hanno puntualmente confermato: «Dalle prime evidenze i macchinisti non hanno fatto errori.

Sempre dalle prime evidenze c'è stato un cedimento strutturale nel primo carro: si è spezzato l'asse. I 14 carri del convoglio hanno immatricolazione delle ferrovie polacche e tedesche, e appartengono tutti ad una società viennese, rispondono a norme di trasporto dell'Unione europea e dell'Onu. I controlli sull'asse fanno parte di quelle revisioni che sono obbligatorie per le società. Dal controllo delle scadenze apposte sui vagoni sembra che la revisione sia stata effettuata regolarmente».

Le accuse a Moretti

I capi della società Gatx proprietaria del carro esploso a causa della rottura di un asse "criccato" e i responsabili della società italiana che ha fatto male la manutenzione sono stati pesantemente condannati. Ma Moretti, essendo a capo delle Fs il giorno dell'incidente, qualche colpa la deve avere per forza, anche se, dopo 13 anni e quattro processi ancora nessuno è in grado di dire con precisione che cosa abbia fatto per meritarsi 5 anni di carcere.

Non lo hanno chiarito i giudici nelle tre sentenze precedenti, non le ha chiarite la pubblica accusa in questo quarto processo e probabilmente non lo chiariranno neppure le motivazioni della sentenza di giovedì, visto che è stata emessa interpretando la confusa sentenza di rinvio della Cassazione in senso restrittivo. Sono state rimodulate le pene (Moretti scende da 7 a 5 anni) dando per scontato che la Suprema corte avesse comunque confermato il giudizio di colpevolezza, cosa non chiara e che sarà al centro del nuovo giudizio in Cassazione, destinato a intricare ulteriormente la matassa.

L’unica certezza è la responsabilità oggettiva: se un incidente ferroviario uccide 32 persone il numero uno deve per pura legge logica andare in galera.

Il processo popolare

Ma è proprio il 1 luglio 2009 che scatta il processo popolare, e purtroppo non solo popolare, a Moretti. Se il codice penale prevedesse il reato di antipatia l'ex manager ferroviario sarebbe forse il candidato ideale all'ergastolo.

a colpisce che questo spirito dei tempi tenga sotto assedio le aule di giustizia, non solo alimentando un labirinto processuale privo di logica. Quando l'imputato, giovedì mattina, ha chiesto la parola a chiusura del dibattimento, esercitando un suo diritto basilare, il pubblico in aula ha protestato contro la tracotanza di volersi difendere, voltando le spalle alla corte e costringendo il presidente a sospendere la seduta.

Mentre Moretti parlava l'assessore toscano alle Infrastrutture Stefano Baccelli (un uomo delle istituzioni, come si ama dire) ha protestato via Facebook accusando l'imputato così: «Ha voluto avere l'ultima parola», come se fosse una sua prepotenza e non un caposaldo della procedura penale, con l'aggravante di aver inflitto al pubblico «la sua saccente, egocentrica, auto assolutoria, scaricabarilistica ed infinita prolusione».

E c'è una cosa ancora più grave che riguarda l'insoddisfatta sete di giustizia delle famiglie delle vittime, delle quali bisogna sempre parlare con il rispetto dovuto a chi, in questa vicenda, paga comunque un prezzo superiore a quello dei condannati.

Il giorno dopo la sentenza, in una conferenza stampa, una delle più agguerrite familiari delle vittime, Daniela Rombi, ha detto: «Adesso la verità è emersa ancora più forte e decisa: confermando le condanne, la sentenza del processo di appello bis per la strage di Viareggio ribadisce che ci sono delle responsabilità precise e che riguardo alla sicurezza il sistema è totalmente sbagliato. In 13 anni non è stato fanno nulla per cambiare le cose».

Con il che si sostiene che le condotte non solo omissive con cui Moretti avrebbe reso possibile o non impedito la strage del 2009 proseguirebbero immutate da 13 anni ad opera dei vari manager che si sono succeduti al suo posto, senza che però sia mai più esploso un carro cisterna carico di gpl. Torna la domanda: che cosa ha fatto Moretti e che cosa continuano a fare gli altri?

Il sistema

Giovedì sera, durante il programma radiofonico Tra poco in edicola su Radiouno, il conduttore Stefano Mensurati l'ha chiesto all'avvocato di parte civile Gabriele Dalle Luche. Il quale ha risposto: «Siamo di fronte a una sentenza storica perché per la prima volta siamo alla condanna di manager di Stato, di certo quello che emerge da questi quattro processi è che, se tutti sono stati condannati, evidentemente il sistema delle ferrovie italiane non funzionava».

All'insistenza del giornalista perché andasse oltre la tautologia indicando una colpa concreta di Moretti, l'avvocato ha replicato che la Cassazione ha stabilito che «le scelte di Moretti sono di alta amministrazione, la scelta di individuare dove investire e dove no».

Il manager avrebbe scelto di risparmiare sulla sicurezza del trasporto merci pericolose per migliorare il conto economico delle Fs. Non solo. Avrebbe anche scelto di prendere in affitto da società straniere i carri merci anziché comprarli, sempre per risparmiare. L'avvocata di Moretti Ambra Giovene, ha documentato che Trenitalia al momento dell'incidente di Viareggio aveva in affitto poche decine di carri merci contro 45 mila di proprietà. E che l'incidente ha coinvolto un convoglio di 14 carri che faceva 24 viaggi all'anno, da confrontarsi con 3,5 milioni di treni merci circolanti ogni anno in Italia. Non solo.

Moretti, nelle sue dichiarazioni spontanee a fine dibattimento, ha anche dimostrato che l'eventuale e non dimostrata omessa sicurezza sulle poche decine di carri in affitto avrebbe fatto risparmiare al gruppo Fs, che fattura ogni anno quasi 10 miliardi di euro, la cifra esatta di euro 70 mila. In realtà l'accusa di aver causato l'incidente di Viareggio con la sua politica di risparmi sul trasporto delle merci pericolose non figura tra i pur generici capi d'imputazione contestati a Moretti.

Ma c'è di più. Il procuratore generale Salvatore Giannino, che in modo abbastanza inusuale ha sostenuto l'accusa sia nel primo grado al tribunale di Lucca sia nei due processi di appello, nella sua requisitoria del 28 aprile scorso ha concentrato la sua offensiva su due dirigenti Fs, Francesco Favo ed Emilio Maestrini, responsabili diretti delle sicurezza e della manutenzione dei carri in circolazione sulla rete ferroviaria italiana.

E ha contestato a Favo, chiedendone perciò la condanna, di non aver colpevolmente tenuto conto della nota di "prescrizione" del 2006, identificata con il numero 283, cioè un ordine proveniente da Rfi, la società che gestisce la rete ferroviaria, in cui, dice Giannino, «si parla proprio della manutenzione del materiale rotabile, modalità di controllo e validazione delle forniture di manutentivi affidati a parti terze, quindi nel 2006 Rfi aveva annunciato questa criticità». Il fatto è che quella nota era firmata proprio da Moretti, il quale però, dice Giannino, «pur avendola sottoscritta ed essendo al vertice all’epoca della struttura che doveva occuparsi di verificare l’adempimento degli oneri in materia di sicurezza, se n’è totalmente disinteressato». Favo e Maestrini sono stati assolti.

Quindi Moretti firma una direttiva, Giannino accusa Favo e Maestrini di non averla rispettata, la corte d'appello assolve i due ma condanna Moretti che, evidentemente, è colpevole di non essere andato a controllare personalmente la manutenzione di ogni singolo carro. La prossima puntata di questa fiction giudiziaria sarà il nuovo passaggio, non semplice, in Cassazione.

 

© Riproduzione riservata