Quando a fine ottobre scorso è stato riportato in carcere, Stefano Bonomi, 65 anni, si è visto crollare il mondo addosso. Dopo aver passato 11 anni in cella, nel marzo 2023 era stato liberato. Aveva provato a ricostruirsi una vita con i pochi mezzi a disposizione, ma poi è ritornato punto e da capo. A settembre è stato fermato dopo un tentato furto.

Visti i suoi precedenti penali, Bonomi è finito agli arresti domiciliari. Qualche settimana dopo è evaso da casa ma due giorni dopo è stato ricatturato. Lo hanno portato nel carcere di Rieti in misura cautelare, nel frattempo è arrivata anche una querela per stalking da una sua ex compagna. A gennaio Bonomi doveva comparire davanti al giudice, ma all’udienza non ci è mai arrivato.

È morto dopo un lungo sciopero della fame il 6 gennaio. La sua morte è solo una delle tante che già hanno segnato questo inizio 2024 nelle carceri.

Strage continua

Come sottolinea l’associazione Ristretti Orizzonti sono già 23 i morti in carcere, di cui nove suicidi, nel 2024. Tra questi ultimi ha fatto molto rumore la storia di Matteo Concetti, 23enne rinchiuso nel carcere di Montacuto ad Ancona per reati legati alla droga e contro il patrimonio e che in carcere non ci doveva nemmeno stare. Per i suoi disturbi psichiatrici, infatti, avrebbe dovuto essere ospitato in una struttura sanitaria.

Altre storie tragiche a inaugurare questo nuovo anno sono arrivate dal carcere napoletano di Poggioreale, dove nel giro di 48 ore si sono tolti la vita il 40enne Andrea Napolitano e il 38enne Mohmoud Ghoulam. Nella conta dei morti c’è, appunto, anche quella di Stefano Bonomi, il 65enne detenuto nel carcere di Rieti e morto all’ospedale Belcolle di Viterbo il 6 gennaio. Bonomi era uscito dal carcere dopo undici lunghi anni nel marzo 2023, per una serie di condanne per reati contro il patrimonio. E come spesso accade in Italia per chi espia la propria pena, in carcere ci è tornato. Il tasso di recidiva, infatti, è pari 68 per cento.

Un dato impressionante che è la migliore fotografia di un sistema fallimentare capace di incattivire più che di rieducare. Bonomi è stato fermato dopo il ritrovamento dei suoi documenti nell’abitazione di un poliziotto, in provincia di Terni. Visti i suoi precedenti penali gli è stata disposta una misura cautelare, gli arresti domiciliari. Non aveva rubato niente, ma la fedina penale sporca è già una condanna. A fine settembre Bonomi è evaso dai domiciliari e dopo una fuga di un paio di giorni è stato fermato in Abruzzo.

È a quel punto che per lui si sono riaperte le porte del carcere. Qualche giorno a L’Aquila, poi il trasferimento a Rieti.

Lo sciopero della fame

Quello di Rieti non è un carcere facile. È qui che si è consumato uno dei capitoli più tragici delle rivolte carcerarie del marzo 2020, con la morte in circostanze mai del tutto chiarite dei tre detenuti Marco Boattini, Ante Culic e Carlos Samir Perez Alvarez.

Sempre Rieti è poi un istituto dove convivono diversi elementi critici: il tasso di sovraffollamento è molto alto, con 420 detenuti presenti per soli 295 posti. Il 57 per cento dei detenuti poi sono stranieri e questo aumenta la conflittualità. «La vita in carcere è pesante e il sovraffollamento rende la quotidianità ancora più difficile», racconta il cappellano del carcere di Rieti, che si ricorda della presenza costante di Bonomi alle sue messe. «Voleva farsi liberare, questa è la ragione del suo sciopero della fame».

Bonomi ha intrapreso lo sciopero a ottobre, poco dopo il suo ingresso in carcere. Non mangiare è l’unica forma di protesta non violenta a disposizione dei detenuti e in un contesto di diritti e libertà soppresse, a volte è l’estremo tentativo per far sentire la propria voce. Sono decine i detenuti in sciopero della fame in Italia e a volte i casi assumono rilevanza nazionale, come successo nel 2023 per Alfredo Cospito. Ma il più delle volte restano silenti e hanno un esito drammatico.

È successo nel maggio scorso nel carcere di Augusta, in provincia di Siracusa, dove in poche ore sono morti i detenuti Liborio Davide Zerba e Victor Pereshchako. È successo ad agosto nel carcere di Torino, quando a perdere la vita è stata la detenuta Susan John. È successo il 6 gennaio all'ospedale Belcolle di Viterbo, dove è morto a seguito di ricovero Stefano Bonomi. Storie ignorate dal Parlamento e dall’opinione pubblica.

«La nuova detenzione è stata un colpo pesante per lui visti i suoi trascorsi e quando una volta in carcere gli è arrivata anche una querela per stalking da parte della sua ex compagna si è lasciato andare», racconta l’avvocata di Bonomi. Ogni tanto l’uomo tornava a mangiare, soprattutto dopo i colloqui. È frequente che i detenuti lo facciano quando riescono a far sentire la propria voce, anche se a questo non segue la soddisfazione delle proprie richieste. Ma spesso poi lo sciopero riprende. «Ricadeva nella depressione, faceva fatica a capire come fosse arrivato a trovarsi di nuovo in questa situazione», continua la sua avvocata. «Era molto dimagrito nel corso delle settimane. Era debilitato».

La morte

L’ultima volta che l’avvocata ha visto Bonomi era il 2 gennaio. C’è stato un lungo colloquio, a cui ha partecipato anche il comandante del carcere di Rieti. Si è parlato del fatto che mancassero pochi giorni al suo ordine di comparsa davanti al giudice, doveva rimettersi in sesto in vista dell’appuntamento. «Come successo dopo altri incontri, si è convinto a tornare a mangiare», racconta l’avvocata. Il giudice aveva già firmato da tempo un provvedimento di ricovero, che però era stato respinto da Bonomi: lo stato non può imporre un trattamento forzato al detenuto in sciopero della fame.

L’uomo recluso nel carcere di Rieti però stava male e il 3 gennaio ha accettato di farsi ricoverare all’ospedale Belcolle di Viterbo, uno dei due del Lazio che ha un reparto di medicina protetta per i detenuti. Il 6 gennaio è morto e non è stata disposta l’autopsia.

«Il mio assistito in passato aveva avuto una malattia di tipo tumorale. Era una persona fragile», spiega l’avvocata. L’Asl Viterbo e la direzione del carcere di Rieti, contattati per avere informazioni, non hanno risposto. Quello che rimane è l’ennesimo decesso disperato in un mondo penitenziario altrettanto disperato.

«Di fronte a queste tragedie e all'infausta prospettiva che esse disegnano di un altro annus horribilis, veramente a nulla servono le solite litanie sui fasti futuri dell'edilizia penitenziaria finanziata dal Pnrr o la minaccia di nuove pene e sanzioni a chi è già in carcere», chiosa Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio. «La verità è che, inseguendo demagogicamente la carcerazione della qualunque, il sistema penitenziario si avvita in una crisi senza prospettive».

© Riproduzione riservata