«Attualmente non ci sono motivi per un accordo di pace con Kiev». Il Cremlino mette fine all’ennesima flebile speranza nell’apertura di un dialogo attraverso la via diplomatica per porre fine al conflitto ucraino. Neanche i colloqui in corso a Gedda, in Arabia Saudita, insomma, riusciranno a portare un passo avanti nella soluzione della guerra.

Il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitry Peskov, ha spiegato che l’operazione speciale in Ucraina continuerà. Peskov è tornato a sottolineare che l’occidente non vuole aderire al diritto internazionale, mentre tutte le azioni della Russia sono pienamente basate sul diritto internazionale.

Ancora meno diplomatico, se possibile, il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, che ha annunciato che «i negoziati non sono ancora necessari. Il nemico (ucraino) deve strisciare in ginocchio, implorando pietà. L’Ucraina non è mai esistita prima del 1991: è un frammento dell’Impero russo». Il paese da allora si troverebbe in una fase di semi-decadenza. Ma per il momento, la pace resta fuori portata: «Qualsiasi proposta di pace ha una possibilità di successo se vengono soddisfatte tre condizioni fondamentali: partecipazione di entrambe le parti in conflitto, e non è questo il caso. Considerazione del contesto storico. E considerazione delle realtà attuali. Il mediatore che è pronto a riconoscere queste ovvietà ha una possibilità di successo. Tutti gli altri, nessuna».

Il vertice di Gedda, insomma, non porterà a nulla. «Si tratta di un riflesso dell’inutile e fallimentare sforzo dell’occidente per mobilitare il sud globale a favore della cosiddetta “formula Zelensky”, destinata al fallimento fin dal principio» ha detto il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov.

Il campo

Mentre i paesi occidentali ed emergenti cercavano compromessi a Gedda – Mosca, che non partecipava alla riunione, ha comunque fatto sapere che discuterà dei risultati con i suoi partner del gruppo Brics al termine del vertice – sul campo la situazione è rimasta tesa, e anche dalle operazioni della notte è emerso come per il Cremlino una pace non sia assolutamente tra le priorità.

«Quasi 70 missili di vario tipo e droni in una notte. In tutto il territorio dell’Ucraina… Questa è la risposta incondizionata della Federazione russa a qualsiasi vertice di pace realistico (non solo in Arabia Saudita), a qualsiasi tentativo da parte del mondo di tornare al diritto internazionale, a qualsiasi discussione estesa con i paesi del Sud del mondo» ha scritto su Twitter il consigliere presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak. Gli attacchi russi hanno riguardato, oltre all’est del paese, da tempo sotto attacco, anche Kiev, Khmelnitsky e Rivne. Il governo ucraino, da parte sua, continua a lavorare con i droni: nella notte ne sono stati abbattuti due sulla regione di Bryansk, la zona della Federazione russa che confina con l’Ucraina.

La nuova ondata di attacchi, tuttavia, ha riportato l’attenzione sulle forniture d’armi dell’occidente all’Ucraina. il ministro degli Esteri Dymitro Kuleba è tornato a chiedere più armi e soprattutto i famosi F-16 per proteggere i cieli: «La Russia non si fermerà finché non sarà fermata. La comunità globale deve concentrarsi sull’imposizione di una pace giusta e duratura: armare l’Ucraina, anche con F-16 per chiudere il cielo, e implementare la formula di pace Ucraina».

Le trattative

Nonostante le parole di fiducia spese dal capo dell’ufficio del presidente Volodymyr Zelensky, Andriy Yermak, inviato al summit, che ha parlato di «consultazioni molto produttive sui principi chiave su cui dovrebbe essere costruita una pace giusta e duratura», per adesso, la guerra continuerà.

L’unico aspetto positivo che esce dalle trattative in Arabia saudita è la disponibilità di Pechino a insistere sulla via diplomatica.

La Cina, uno degli ultimi partner internazionali ad avere rapporti con il presidente Vladimir Putin, sarebbe infatti favorevole a un terzo giro di colloqui per trovare una soluzione pacifica al conflitto in Ucraina. Secondo l’agenzia Reuters, Pechino non vuole restare esclusa dai negoziati che possano portare a una conclusione del conflitto: dopo che il piano di pace che ha presentato non ha fatto passi avanti significativi, Xi Jinping – in difficoltà su una serie di fronti interni – sarebbe disposto a sostenere anche altre iniziative di pace organizzate da paesi non occidentali, pur di essere partecipe al processo.

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