La richiesta di archiviazione è stata depositata il 5 novembre dalla Procura di Verona. Il procuratore Raffaele Tito ritiene che l’assistente capo della Polizia ferroviaria che il 20 ottobre 2024 ha sparato a Moussa Diarra in stazione Porta Nuova abbia agito in condizioni di legittima difesa.

Nella nota diffusa ai giornalisti, la procura afferma che l’agente avrebbe risposto a un «pericolo attuale» e che la reazione sarebbe stata «proporzionata». L’attenzione viene posta sul coltello da cucina impugnato da Moussa, con lama seghettata di circa undici centimetri, definito «non meno letale» dell’arma da fuoco, perché «una pistola richiede tempo di estrazione e mira».

Nello stesso momento in cui quella nota veniva trasmessa alle redazioni, alla famiglia è stato comunicato che per accedere alle motivazioni dell’atto servivano 8 euro di diritti di copia.

«Vogliamo solo verità»

Gli avvocati di parte offesa parlano di «sconcerto» per la scelta di rendere pubblica la sintesi prima ancora di metterla a disposizione dei familiari. Non è la prima volta: il 20 ottobre 2024, poche ore dopo la morte di Moussa, procura e questura avevano diramato un comunicato congiunto che già ipotizzava la legittima difesa dell’agente, quando le verifiche tecniche erano ancora in corso.

La famiglia chiede da mesi di accedere integralmente agli atti. Il fratello è arrivato in Italia nei giorni successivi alla morte e partecipa alle iniziative pubbliche della comunità maliana. Il punto è sempre lo stesso: comprendere che cosa sia avvenuto in quel corridoio della stazione, quali parole siano state pronunciate, quale distanza ci fosse tra Moussa e l’agente, quali margini operativi fossero ancora disponibili. Djemagan Diarra lo ripete da mesi: «Non cerchiamo vendetta, voglia solo la verità».

Prima la stampa, poi la famiglia

La comunità maliana di Verona ha organizzato cortei, presidi e momenti pubblici nell’ultimo anno, insistendo sulla necessità di conoscere la dinamica completa dell’evento. Nelle manifestazioni è stato ricordato che Moussa aveva 26 anni, era arrivato in Italia dopo un viaggio lungo e difficile e nei mesi precedenti era stato intercettato più volte dalle forze dell’ordine e da operatori sociali in stati di agitazione. La ricostruzione dei passaggi che hanno portato all’intervento in stazione, del dialogo tra centrale operativa e agenti e della valutazione delle alternative disponibili è uno dei punti ancora aperti.

Gli avvocati chiedono di visionare integralmente la perizia balistica per stabilire distanza, traiettorie e numero esatto dei colpi esplosi. Alcune cronache locali hanno riferito di tre spari, uno dei quali mortale. Il dato non è un dettaglio tecnico isolato: indica la distanza reciproca, la sequenza dei movimenti e l’eventuale margine operativo residuo. Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa definisce la richiesta di archiviazione il «quarto colpo», dopo la morte, dopo la nota congiunta di Procura e questura del primo giorno, dopo l’attesa prolungata per l’accesso agli atti.

La questione non riguarda solo la valutazione della condotta dell’agente. Riguarda anche l’iter seguito. La procura sottolinea di aver svolto «tutti gli accertamenti ritenuti necessari». La difesa della famiglia rileva che la comunicazione al pubblico è avvenuta prima della comunicazione alle persone offese, nonostante queste avessero rispettato la secretazione durante le indagini. Ora la valutazione passa al giudice per le indagini preliminari, che potrà accogliere la richiesta o fissare l’udienza in cui discutere l’opposizione.

Un caso politico

Giorgio Brasola, dell’associazione Parat@dos, osserva che dichiarazioni politiche successive all’evento avevano già escluso la possibilità di reato. Il riferimento è alle reazioni istituzionali delle ore e dei giorni immediatamente successivi alla morte di Moussa, in cui esponenti di governo, Salvini in primis, avevano parlato di «intervento corretto» e «reazione necessaria». Brasola aggiunge che nelle settimane seguenti altri interventi delle forze dell’ordine in contesti simili, in stazioni ferroviarie di altre città, si sono conclusi senza l’uso di armi da fuoco, anche quando erano coinvolte persone armate.

Inevitabile pensare al quadro nazionale: negli ultimi due anni, in Parlamento, sono state avanzate più proposte di modifica del regime di perseguibilità degli agenti durante il servizio. Il tema dello «scudo penale» per le forze dell’ordine è ricorrente nel dibattito pubblico. In questo clima, il caso Diarra arriva in un momento in cui il confine tra valutazione giudiziaria e legittimazione preventiva di alcune condotte operative è oggetto di confronto.

La decisione ora è nelle mani del giudice per le indagini preliminari. La famiglia presenterà opposizione. Sarà quell’udienza, se fissata, a stabilire se la morte di Moussa Diarra dovrà essere ricostruita e discussa in un processo, oppure considerata giuridicamente chiusa. Intanto, a più di un anno dai fatti, la salma di Moussa risulta ancora conservata in cella frigorifera in attesa dell’esito completo delle perizie. È un dato materiale che misura il tempo sospeso di questa vicenda.

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