La prestigiosa rivista Nature ha pubblicato un nuovo studio che indica i ristoranti come i luoghi dove è più probabile contrarre il coronavirus. Lo studio si basa sugli spostamenti di 98 milioni di americani, misurati grazie ai loro smartphone. 

Secondo Jure Leskovec, dell’università di Stanford, primo firmatario dell’articolo «i ristoranti sono di gran lunga il posto più rischioso, quattro volte più di palestre e coffee shop».

Ulteriori ricerche andranno svolte per confermare le conclusioni del gruppo guidato da Leskovec, ma lo studio pubblicato da Nature si aggiunge a una lista sempre più lunga che indica i luoghi chiusi come i principali moltiplicatori dell’epidemia e i ristoranti in particolare come uno dei più rischiosi in assoluto.

La mappa 

Per realizzare il loro studio, i ricercatori hanno ottenuto i dati sulla mobilità di 98 milioni di americani nelle dieci più grandi città del paese nei mesi di marzo, aprile e maggio.

Hanno creato una mappa dei loro spostamenti in 57mila aeree urbane differenti, registrando i luoghi al chiuso nei quali entravano, la loro dimensione e affollamento e la quantità di tempo che trascorrevano al loro interno.

Poi, hanno assegnato a ciascuno luogo una certa possibilità di causare un contagio (ad esempio, in un luogo più piccolo e più affollato è più facile infettarsi) e hanno fatto partire una simulazione, utilizzando i dati degli spostamenti.

Il modello ha prodotto un numero di infezioni paragonabile a quello che è stato realmente registrato tra marzo e magio. E questo ha indicato ai ricercatori che il loro sistema aveva basi piuttosto solide.

Buona parte dei contagi individuati dal modello avveniva nei ristoranti, i luoghi al chiusi più affollati e dove le persone trascorrono solitamente più tempo, subito dopo i loro luoghi di lavoro. Un altro elemento interessante è che circa l’85 per cento delle infezioni “simulate” dal modello è avvenuto nel 10 per cento dei ristoranti, un fenomeno legato ai cosidetti “superspreader”, individui che per una serie di ragioni trasmettono molto più facilmente la malattia.

Secondo i ricercatori, quindi, riducendo al 20 per cento la capienza massima dei ristoranti, senza chiuderli del tutto, si potrebbero evitare l’80 per cento delle infezioni.

Da tempo medici ed esperti segnalano che bar e ristoranti sono, insieme a ospedali e case di cura, tra i principali luoghi di diffusione del contagio.

Gli altri studi

Tutti gli ambienti chiusi sono pericolosi, ma lo sono in particolare quelli dove si rimane per lungo tempo, senza indossare la mascherina e dove le persone parlano ad alta voce: una descrizione che corrisponde perfettamente a quella di un ristorante affollato. Un recente e celebrato articolo del quotidiano spagnolo El Pais, realizzato sulla base di studi scientifici e con la collaborazione di esperti internazionali, ha mostrato con particolare efficacia questi rischi.

A settembre, uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), il principale ente di prevenzione e ricerca sulle malattie degli Stati Uniti, aveva scoperto che nelle 11 principali città americane, le persone che avevano contratto il coronavirus avevano il doppio delle possibiltà di aver cenato fuori nelle due settimane precedenti rispetto a chi non era mai risultato positivo.

Secondo un altro studio, realizzato dall’economista dell’università di Warwick Thiemo Fetzer, lo scorso agosto il programma del governo britannico “Eat Out to Help Out”, che ha sussidiato i pasto al ristorante, ha portato a un significativo incremento delle cene e dei pranzi fuori e potrebbe essere la causa di fino al 17 per cento dei nuovi casi di coronavirus in quel mese.

In tutto il mondo, le chiusure di bar e ristoranti sono tra le prime misure prese per contrastare l’epidemia. Al momento non si può mangiare né bere fuori in tutta la Francia e in Germani. In Italia è vitato in tutte le regioni rosse e arancioni, ma è ancora consentito fino alle 18 nelle regioni gialle.

© Riproduzione riservata