Dodici anni senza mondiali. Il calcio italiano viene degradato dal rango di centro a quello di periferia nella mappa del calcio mondiale e nella notte palermitana conosce la sua seconda Corea. Che stavolta si chiama Macedonia. Del Nord, come la nazionale asiatica che nel 1966 eliminò dai mondiali d’Inghilterra la squadra azzurra guidata da Edmondo Fabbri.

E se allora era stato un dentista di nome Pak Doo Ik a cacciare via la nazionale italiana dalla massima rassegna calcistica internazionale, stavolta a impedirle di mettervi piede è Aleksandar Trajkovski, un attaccante ex del Palermo che ha lasciato il segno nello stadio dove era stato di casa.

Sua è la firma sulla seconda eliminazione consecutiva dell’Italia da una fase finale dei mondiali dopo 60 anni ininterrotti di partecipazioni. Guadagnate anche in tempi in cui le fasi finali dei mondiali erano a 16 squadre e per arrivarci bisognava vincere il proprio girone eliminatorio piazzandosi avanti a avversarie di rango, e senza giovarsi del paracadute dei playoff. Invece adesso la nazionale azzurra fallisce per due volte di fila la qualificazione a una fase finale da 32 squadre.

L’edizione extra-large come salvezza

In attesa di capire se un disastro sportivo e politico di questa portata avrà conseguenze sulla presidenza Figc di Gabriele Gravina e sul commissario tecnico Roberto Mancini, non resta che guardare all’orizzonte lungo (lunghissimo) dell’edizione extra-large del 2026, che verrà ospitata da Canada, Messico e Usa e allineerà 48 partecipanti.

Servirà più talento per farsi eliminare che per qualificarsi, ma guai a dare le cose per scontate. Perché se si guarda ai numeri di medio-lungo termine e alle tendenze che disegnano si scopre che la nazionale italiana è in declino accelerato proprio dall’anno in cui toccò uno dei suoi punti più alti: il 2006, data della quarta vittoria mondiale in Germania.

E che intorno alla rappresentativa azzurra l’intero movimento è in stato comatoso. Schiacciato da una crisi economico-finanziaria di cui non si vede l’uscita. Umiliato a ripetizione dai rovesci che i club subiscono nelle coppe europee. E invaso da calciatori stranieri di quarta o quinta fascia, il cui solo impatto apprezzabile consiste nel sottrarre spazio ai giovani formati dal sistema nazionale, con effetti devastanti per le rappresentative azzurre.

Il peso delle date 

Succede così che il 24 marzo 2022, giorno dell’eliminazione da Qatar 2022 per mano della Macedonia del Nord, faccia il paio col 13 novembre 2017, la notte in cui lo 0-0 del Meazza di Milano contro la Svezia segnò l’eliminazione da Russia 2018. Due fra le date più nere nella storia del calcio nazionale. Ma che acquisiscono ulteriore senso se associate a altre date significative nel passato recente della nazionale azzurra.

Fra queste, la prima da menzionare è il 24 giugno 2014. Il giorno dell’ultima partita disputata dall’Italia in una fase finale dei Mondiali. Si giocava a Natal e la squadra azzurra venne battuta 1-0 dall’Uruguay del professor Oscar Washington Tabarez, un signore del calcio mondiale che da allenatore del Milan venne trattato come un mentecatto qualsiasi da Silvio Berlusconi. Decisa da un colpo di testa di Diego Godin a nove minuti dalla fine, quella partita è passata alla storia soprattutto per il morso del centravanti uruguayano Luís Suarez a Giorgio Chiellini. Una gara, quella di 8 anni fa, che fino a giovedì sera veniva catalogata come un passaggio negativo del nostro calcio.

Ma poi le cose cambiano e succede che le miserie del presente facciano sembrare meno amare quelle del passato. Tanto più che nel frattempo Luís Suarez ha compiuto una tappa italiana per affrontare un esame di lingua di cui rimangono uno strascico giudiziario e una vasta aneddotica sulla “cocumella”.

E che dal canto suo Giorgio Chiellini era ancora in campo e poi nel post-partita di giovedì sera a mettere la faccia sull’ennesimo fiasco mondiale degli azzurri. Ma soprattutto c’è che rispetto a otto anni fa passa una differenza non da poco: ci cacciavano dai mondiali a mòzzichi e testate, ma almeno ai mondiali ci andavamo. Adesso nemmeno quello, sicché si finisce col rimpiangere anche le antiche disfatte, a conferire loro un'altra vernice.

E di disfatta in disfatta si va a ritroso. Per ricordare la precedente eliminazione al primo turno della fase finale dei mondiali: Sudafrica 2010, quando la nazionale azzurra campione in carica riuscì nell’impresa di arrivare ultima in un girone mediocrissimo, le cui altre componenti erano Nuova Zelanda, Paraguay e Slovacchia. Si arriva così a scoprire che la crisi della nazionale azzurra comincia proprio all’indomani del suo ultimo trionfo mondiale, conseguito a Berlino la notte del 9 luglio 2006 al termine della finale vinta ai rigori contro la Francia.

Le quattro edizioni successive hanno registrato due eliminazioni al primo turno e due mancate qualificazioni alla fase finale. Una chiara linea involutiva che risultava non visibile soltanto a chi non la volesse vedere. E fra chi insiste a non volerla vedere vanno arruolati d’ufficio i telecronisti e commentatori Rai che a disastro appena compiuto discettavano di una Macedonia del Nord “che ha fatto soltanto un tiro in porta”.

Un argomento che intendeva essere estrema attenuante e invece certifica quanto il declino del calcio italiano abbia riplasmato la mappa mentale di chi lo racconta dall’interno di un microcosmo sempre più angusto. Il mindscape della nostra retrocessione a provincia del calcio globale.

Le illusioni europee

Parte di questo giustificazionismo era alimentato dal ricordo del trionfo realizzato dalla stessa nazionale di Roberto Mancini nemmeno un anno fa, agli Europei. Un esito frutto di meriti indiscussi, ma che ancora una volta si inserisce nella tendenza complessiva di declino della nazionale azzurra. Che dopo il 2006 fallisce regolarmente l’appuntamento mondiale ma poi piazza inattesi il colpo di coda in Europa.

Fra le eliminazioni al primo turno dei mondiali 2010 e 2014 c’era stata una finale persa nel 2012 contro la Spagna in occasione degli Europei organizzati da Polonia e Ucraina. E prima che a luglio 2021 arrivasse il trionfo di Wembley si erano registrate delle onorevoli prove con eliminazioni ai quarti di finale, e in entrambi i casi dopo i calci di rigore, nelle edizioni di Austria-Svizzera 2008 (sconfitta contro la Spagna, Roberto Donadoni in panchina) e a Francia 2016 (sconfitta contro la Germania, Antonio Conte in panchina).

E bisognerebbe dedicare un supplemento di analisi per comprendere quale sia il meccanismo che porta la nazionale italiana a esibire sussulti di vitalità in ambito europeo salvo tornare a sprofondare quando c’è odore di mondiale.

Joao Pedro 

Dunque adesso ci si può mettere comodi in attesa del 2026. Che segnerà il ventennale dall’ultimo mondiale disputato da Italia vera. Ci si arriverà dopo averne visti due in tv, con un sovrappiù di supplizio per l’edizione 2022 che si disputerà in pieno inverno.

Sarà uno smacco ancora più pesante dover fermare il campionato per dare spazio a un mondiale cui non parteciperemo. Almeno Russia 2018 era d’estate, e chi proprio rosicava per la mancata partecipazione poteva sempre andarsene al mare. E invece nel periodo 21 novembre-18 dicembre 2022 non sarà così. Mondiali in piena stagione lavorativa e blocco forzato del calendario di Serie A. Impossibile far finta che non stia succedendo. 

E a questo punto chissà che fine farà il vagheggiato torneo che la Lega di Serie A vorrebbe organizzare negli Usa in pieno mondiale. Chi mai volete che lo compri o lo finanzi, dopo l’ennesima disfatta del calcio nazionale?

Una disfatta che oltre alla figuraccia degli azzurri comprende il magrissimo bilancio dei club in Europa: 4 su 4 fuori dalla Champions League già a marzo (e ormai anche questa è la norma), le due qualificate dal campionato in Europa League fuori già a febbraio, con le residue presenze dell’Atalanta in Europa League (ma lì approdata in quanto eliminata dalla Champions) e della Roma nella terza coppa continentale appena inaugurata.

Del resto, cosa aspettarsi da un calcio che ha smesso di formare i suoi talenti e fa incetta di stranieri mediocri? Su questo tema si è espresso con toni allarmati il ct della nazionale Under 21, Paolo Nicolato, pochi giorni prima che la nazionale di Roberto Mancini si facesse sbattere fuori da Qatar 2022: «Se continua di questo passo dovrò convocare calciatori che giocano in Serie C».

Basta leggere ogni settimana i tabellino delle partite del campionato Primavera, piene di calciatori provenienti da ogni angolo del mondo, per farsi un’idea del fiasco formativo. Un fiasco di cui, suo malgrado, è emblema il trentenne Joao Pedro, il brasiliano del Cagliari.

Diventato cittadino italiano per matrimonio e scaraventato in campo giovedì sera nei minuti finali, come se toccasse a lui risolvere i problemi di una nazionale incapace di vincere il girone eliminatorio più facile del lotto e poi di segnare un gol ai modesti macedoni.

Una nazionale che sta a capo di un movimento così deficitario, costretta a reclutare stranieri che nel loro paese sarebbero la cinquantesima scelta, non merita di andare ai mondiali. E un movimento che dall’indomani non provi a invertire la rotta merita di inabissarsi definitivamente. In fondo, da Tokyo 2020+1 in poi abbiamo scoperto che il nostro sport nazionale può eccellere pure in discipline che mai avremmo creduto. Il calcio italiano compia pure la sua traversata del deserto. Che detto dopo aver mancato il visto per Qatar 2022 suona pure beffardo. Ma meritato.

© Riproduzione riservata