«Onestà, lealtà, coerenza». Dal palco di Reggio Calabria, ad aprile 2019, l’allora consigliere regionale e coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia, Alessandro Nicolò, enumerava le qualità della segretaria nazionale del partito Giorgia Meloni. L’occasione era un comizio della futura premier nella città dello Stretto per le elezioni europee.

Solo tre mesi dopo Nicolò veniva arrestato nell’ambito di una inchiesta sulla cosca Libri e di conseguenza allontanato dal partito dell’aspirante presidente del Consiglio. Così tramontava la carriera dell’uomo forte di FdI in Calabria che ieri, con l’operazione Millennium della procura distrettuale antimafia reggina guidata dal facente funzione Giuseppe Lombardo, è nuovamente balzato agli onori delle cronache (giudiziarie). Nicolò, così come l’altro ex consigliere regionale in quota Pd Sebi Romeo, è tra gli indagati (a piede libero) della maxi inchiesta che ha colpito alcune delle più potenti cosche di ’ndrangheta.

L’accusa? Quella di scambio politico-mafioso. «Pasquale Tripodi e Daniele Latella accettavano la promessa di procurare voti ad un candidato alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale della Calabria del gennaio 2020, individuato dapprima in Alessandro Nicolò e successivamente in Lucia Caccamo (moglie di Pasquale Tripodi, ndr), da parte di soggetti appartenenti all'associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta e, più precisamente alle sue articolazioni territoriali denominate cosche Vadalà e Talia; ciò in cambio dell'erogazione e della promessa di varie utilità e, comunque, in cambio della più ampia disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa», si legge in una delle tre ordinanze di custodia cautelare eseguite dai carabinieri in quindici città italiane, dal Sud al Nord del Paese.

Negli atti gli inquirenti si riferiscono proprio all’ex assessore regionale di centrodestra Pasquale Tripodi, finito ai domiciliari e per il quale è stata esclusa l’aggravante mafiosa.

In base a quanto emerge sarebbero stati due fratelli, professionisti della Reggio bene, Mario e Vincenzo Giglio, a raccogliere i voti delle cosche per Tripodi che poi avrebbe lasciato candidare la moglie, Lucia Caccamo, non indagata.

Sudamerica e Gioia Tauro

In totale sono 97 gli arrestati dell’inchiesta (81 persone in carcere, 16 ai domiciliari) che, oltre a svelare le ombre sul baratto politico-mafioso, fa luce sul regime di monopolio relativo al traffico di stupefacenti di una struttura stabile e organizzata, frutto di un'alleanza tra le cosche della provincia reggina.

Gli inquirenti fanno dunque luce sulle «importazioni dall'estero di ingenti partite di sostanza stupefacente del tipo cocaina attraverso l'occultamento nei container imbarcati sulle navi provenienti dal Sudamerica (in particolare da Colombia, Brasile, Panama) e curandone l'esfiltrazione dal porto di Gioia Tauro avvalendosi di squadre di operatori portuali non identificati».

Ma non solo droga. I pm contestano anche estorsione e sequestro di persona. A questo proposito nell’ordinanza il racconto di uno “sgarro” tra esponenti di cosche rivali.

E cioè la «la vicenda del sequestro di Francesco Sciarrone, realizzato da Giuseppe Barbaro, classe 1936, detto “U castanu”, capo dell'omonima cosca, in conseguenza del mancato pagamento di un debito di droga da 45mila euro».

Nell’ambito dell’inchiesta sono stati eseguiti anche due sequestri preventivi: uno rispetto a un bar della Locride e un altro verso una ditta edile riconducibile a un imprenditore già destinatario di interdittiva antimafia. Entrambi avrebbero realizzato condotte estorsive nei confronti degli imprenditori del territorio.

Il cold case

«Ho una cosa, un ricordo brutto! Con una signora, guarda… S'è presa di panico!... ero andato a prendere le medicine, che me li dava… l'hanno ammazzata… Gli ho dovuto dire che è caduta e non la guastavo a nessuno e l'hanno ammazzata bastardi e cornuti! L'hanno ammazzata! A bastonate! In testa!». Sono queste le parole di un indagato di Millennium che illumina le zone d’ombra su un caso irrisolto del 1977, quello sul sequestro di Mariangela Passiatore, moglie di un imprenditore milanese, rapita mentre si trovava in Calabria in vacanza. Un caso di lupara bianca. Grazie all’intercettazione ora si è scoperto che la donna è stata uccisa subito dopo il rapimento.

© Riproduzione riservata