A cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, la teologia della «chiesa in uscita» di papa Francesco rischia di rimanere relegata fra le mura della Congregazione per l’Educazione cattolica. Benché l’ente vaticano abbia pochi giorni fa pubblicato un documento sull’applicazione della didattica a distanza nelle università e facoltà ecclesiastiche, quello che oggi è definito uno «strumento provvidenziale» non sarebbe stato tale dieci anni fa, quando fu proposto dall’Istituto di Scienze religiose di Ancona.

Otto anni prima della costituzione apostolica Veritatis gaudium, Selene Zorzi, allora monaca benedettina nota con il nome di suor Benedetta, aveva presentato alla Pontificia università lateranense un progetto analogo: «Per noi la didattica a distanza rappresentava un modo per aprirci alle fragilità – spiega a Domani – Diversamente abili, monache di clausura, donne in gravidanza a rischio o in maternità, laici impegnati, o studenti malati erano i principali destinatari di questo progetto». Lo dice con amarezza: quando oggi legge che la Congregazione si propone di destinare l’insegnamento a distanza per i «tanti monasteri in giro nel mondo, le clausure, la vita contemplativa» pensa a dieci anni prima, allorquando quelle stesse prerogative non erano state prese in considerazione dalla stessa Santa sede.

Il Progetto monasteri

Dal 2014 Selene Zorzi ha dismesso gli abiti da monaca benedettina per dedicarsi alla ricerca teologica. Oggi insegna in una scuola superiore a Verona: «Già la segreteria dell’istituto era venuta incontro alla richiesta di uno studente disabile che chiedeva di poter frequentare a distanza i corsi di teologia». Fu così avviato un corso personalizzato via Skype. Per suor Benedetta, nel frattempo nominata vicedirettrice dell’istituto, quella fu la scintilla: «Ero monaca da vent’anni, convinta che per avere voce nella Chiesa, le donne avrebbero dovuto darsi gli strumenti per farsi ascoltare. Pensai di allargare la possibilità di una didattica a distanza alle monache di clausura, così presentai al direttore dell’istituto un progetto riservato ai monasteri marchigiani. Le Marche contavano 52 monasteri femminili, molti dei quali di clausura: tante religiose non avevano modo di formarsi, se non attraverso le omelie domenicali del sacerdote di turno» spiega. Poiché l’Istituto di Scienze religiose di Ancona era aggregato alla Pontificia università lateranense (Pul), era necessaria l’autorizzazione da Roma, che fu concessa, con la sola accortezza di restare nel territorio, cosa che risultò difficile per le innumerevoli richieste. Suor Benedetta cercò anche un modo per autofinanziare quello che fu battezzato il Progetto monasteri: «Ci venne incontro Chantal Goetz, donna del Leichtenstein e imprenditrice lungimirante che, con la sua fondazione, propone percorsi di empowerment femminile dentro la chiesa cattolica: supportarci economicamente rientrava tra questi» spiega oggi Selene. La donazione della Fondazione Goetz rese, così, possibile la realizzazione del progetto con l’acquisto del software di didattica a distanza WebEx – selezionato fra le tante possibilità in uso allora – e una manciata di lavagne interattive multimediali: «Con la pandemia WebEx è divenuto il software di norma utilizzato da tutti gli istituti teologici e di religione, ma all’epoca la possibilità di interagire su una piattaforma online era vista come una grande innovazione mista a un po’ di sospetto».

Formazione in clausura

Oggi Selene Zorzi chiarisce che il Progetto monasteri aveva un punto di partenza diverso rispetto all’attuale necessità dettata dalla pandemia: «Volevamo offrire alle donne, laiche o religiose, la possibilità di formarsi, ma probabilmente da Roma non ne hanno riconosciuto il potenziale» ammette. Dopo tre anni dall’avvio del progetto, la Pul comunica alla segreteria di Ancona che la didattica a distanza non può continuare: «Ci dissero che sarebbe stata obbligatoria la frequenza, ma si ignorava quanto oggi è considerato norma, ossia il fatto che la piattaforma WebEx permetteva agli studenti di interagire con i docenti, allora come ora. La sola spiegazione datami fu che non c’era possibilità di un insegnamento a distanza, che la frequenza era obbligatoria. E le monache di clausura che non possono frequentare? Non contemplate e quindi escluse». Già l’anno prima, la stessa università lateranense aveva sospeso l’insegnamento di Teologia spirituale di suor Benedetta: «Fu la segreteria di Stato a non darmi l’idoneità all’insegnamento, nonostante insegnassi da anni sia a Sant’Anselmo che all’Istituto di Ancona, con il benestare della Congregazione per l’Educazione cattolica e nonostante avessi già dato il corso alla Pul. Il motivo? Una monaca non può insegnare “per motivi di clausura”, mentre i miei confratelli monaci sì. C’era un cammino di autonomia femminile che è stato affossato, tanto nel progetto quanto nel mio percorso professionale» ammette.

Sudate carte

Come menziona il preambolo dell’Istruzione, quello della didattica a distanza è uno strumento oggetto di interesse già dai tempi della promulgazione della Veritatis gaudium, la costituzione apostolica con cui papa Francesco nel 2018 allargò gli orizzonti degli studi teologici rispetto a quanto tracciato quarant’anni prima dal documento Sapienza christiana. Inforcando le lenti della sua Evangelii Gaudium, il papa argentino ha sgravato, così, la formazione dall’assillo di una chiesa che, spinta a evangelizzare, rischia di ignorare spiritualità diverse da quella cattolica: «Nella nostra epoca, segnata dalla condizione multiculturale e multietnica gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso» scrive nel proemio il papa dell’inculturazione.

Sette anni prima nessuno masticava la parola «pluralismo» nella chiesa, eppure una quindicina di religiose dai monasteri marchigiani potevano studiare grazie al progetto di suor Benedetta: «I limiti dell’insegnamento della teologia in Italia sono soprattutto vissuti dalle donne: eravamo sempre più consapevoli della sete di conoscenza avvertita nei monasteri femminili – spiega – Spesso per motivi economici, piccoli monasteri di ordini come le Clarisse sono tagliati fuori dalla formazione». Quando nel 2003 il processo di Bologna riformò i sistemi di istruzione superiore nell’Unione europea, la Santa sede faticò a districarsi dal groviglio di documenti e notule emessi in passato. Pesava ancora la Notio affiliationis theologicae emessa dalla Congregazione per l’educazione cattolica nel 1985, che prevedeva per i laici una formazione teologica separata rispetto ai religiosi, «più congrua al loro stato e alla loro preparazione».

E le donne?

Dalla chiusura delle facoltà di teologia nelle università statali nel 1873, la Santa sede ha gradualmente avocato a sé la formazione teologica in Italia. Si dovranno attendere gli anni Sessanta e il Concilio Vaticano II perché venga superata de facto la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus con cui Papa XI nel 1931 soppresse gran parte delle facoltà teologiche. Ma lo stesso tono è rimasto immutato negli anni a venire, come più volte sottolineato da teologi del calibro di Cristina Simonelli. È la stessa Congregazione per l’educazione cattolica che, nel solco della Sapientia christiana, divide lo studio della teologia e delle scienze religiose in due filoni separati, con un’attenzione particolare verso i seminaristi. Così oggi in svariati istituti pontifici gli stessi docenti tengono gli stessi corsi ai seminaristi al mattino e ai laici nel pomeriggio. Le vere penalizzate sono soprattutto le donne, spesso impossibilitate a una frequenza assidua: «Quando da Roma sospesero il nostro progetto, molte suore che avevano frequentato a distanza per tre anni, non poterono ottenere il titolo» denuncia oggi Zorzi. Era una situazione che poteva essere positiva per tutti. È stata oggi un’emergenza sanitaria che ha spinto la Santa sede ad agire: «Se lo avessimo fatto allora, ci avremmo guadagnato tutti». Ma fuori del Vaticano, oggi si respira tutt’altra aria, anche grazie al lavoro di tanti studiosi laici, come le donne del Coordinamento teologhe italiane: il loro corso virtuale di teologia delle donne l’anno scorso ha raggiunto oltre 700 iscritti.

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