«Mi sentivo chiusa in un angoletto, come se mi dovessi riparare da tanti colpi incapace di potermi alzare. Invece adesso mi sono alzata, non subisco più colpi, andrò avanti con tutte le mie forze, ricominciando da capo». Sono queste le parole di Paola, 51 anni, vittima di violenza domestica e oggi ospite di uno dei centri dell’associazione Differenza Donna di Roma, del quale è responsabile Cristina Ercoli, che dice: «durante il periodo di lockdown, attraverso delle piattaforme online ci siamo organizzate per poter entrare in contatto con le donne che accogliamo solitamente, rispondendo a delle chat e riuscendo anche a fare delle videochiamate».

Durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al numero antiviolenza 1522, il 73 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono state 2.013. Con il 45 per cento che ha dichiarato il proprio timore di morire.

Nido familiare

La storia di Paola è comune a tante donne vittime di violenza, fenomeno che la convivenza forzata ha inevitabilmente incrementato. L’emergenza Covid-19, non ha fermato la violenza di genere, anzi ha peggiorato situazioni già esistenti e fatto nascerne delle nuove. Così quella figura di nido familiare, quella casa simbolo di protezione è diventata un incubo, per tante, troppe donne. L’ostacolo ancora più grande è stato il non potersi allontanare liberamente dal proprio domicilio e fuggire.

Paola subiva da tempo limitazioni della propria libertà. Prima le è stato impedito di lavorare, togliendole così l’indipendenza economica, poi ha perso anche l’autonomia di decidere liberamente ogni aspetto della propria vita. La donna racconta degli abusi e della violenza subita persino dinanzi ai propri figli. La situazione diventa presto insostenibile. È costretta a dormire per terra, nella camera dei figli. Tutte le stanze della casa le vengono precluse: «non avevo nessuno spazio, nessuna possibilità né di lavorare e né di vivere in casa mia. All’inizio davo la colpa a me stessa, chiaramente pensavo di essere io inadeguata, di sbagliare io, di essere io a provocare tutto questo».

LaPresse
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Dinamiche psicologiche

Capita spesso che si creino delle dinamiche psicologiche per le quali le donne vittime si autoconvincano che la violenza possa essere causata da un loro comportamento. Questo modo di ragionare ha effetti gravissimi, poiché spesso, inconsciamente, la donna interiorizza tali dinamiche, credendole vere. Si ritiene responsabile.

È quello che inizialmente è accaduto a Paola, che ha trovato poi la forza di reagire grazie ai figli: «ho preso coscienza e ho iniziato a lottare, fare tutto quello che c’era da fare dal punto di vista legale per fare in modo che tutto questo non si ripercuotesse sui miei figli. Lo rifarei 100 volte». Trovata una via di fuga grazie all’aiuto di Differenza Donna, Paola riesce finalmente a scappare dalla “prigione” che una volta chiamava casa.

Nel lockdown

«Era difficile trovare posti a causa delle molte richieste, ci siamo riuscite grazie alla disponibilità di abitazioni requisite alla criminalità organizzata e attraverso un progetto articolato che va dalla prima messa in protezione fino ai progetti di fuoriuscita», dice Cristina Ercoli. Che poi aggiunge: «quello che noi registriamo è un fenomeno costante negli anni, ogni anno riceviamo 600 donne soltanto in questo centro».

Il problema per i centri antiviolenza durante il lockdown è stato quello di trovare delle strategie giuste affinché, nonostante le normative vigenti, alle donne venisse garantito l’aiuto necessario. Le diverse segnalazioni fatte ai tribunali rispetto ad alcune situazioni «hanno inoltre permesso in alcuni casi l’allontanamento dell’uomo dal domicilio», dice ancora Ercoli. Paola, dopo un percorso durato alcuni mesi, oggi è pronta a uscire. Lei ce l’ha fatta, ora è autonoma, forte ma soprattutto libera.

                                                                           

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