Sono i capitoli di spesa che assieme alle infrastrutture stradali, ferroviarie e a quelle del digitale, hanno il maggiore ritorno degli investimenti: istruzione e ricerca nell’ultima versione del Recovery plan ottengono 22 miliardi di euro, 26 se si sommano come viene fatto nell’ultima versione anche la voce dei fondi di coesione di emergenza.

Ma rispetto alla bozza di inizio dicembre che vedeva destinati alla stessa missione 19 miliardi di euro, sono stati inseriti in questa voce anche il piano asili che vale da solo 2 miliardi di euro e la spesa per la scuola dell’infanzia. Piuttosto lunga è invece la lista di riforme che dovrebbero accompagnare gli investimenti, che comprendono nuove possibilità di carriera per gli insegnanti come la riforma degli istituti tecnici e professionali. Mentre sul fronte della ricerca si sono moltiplicati gli interventi.

Scuola e università, si legge nel «piano nazionale di ripresa e resilienza», sono considerate due «cardini» per la ripresa. E i 7,4 miliardi per migliorare il diritto allo studio sono comunque un passo avanti rispetto a anni di sotto finanziamento: un miliardo vanno in alloggi, 900 milioni di euro in borse di studio. Ma al di là dei fondi a stupire è soprattutto la lista di riforme che si accompagnano al piano, a partire dalle proposte di riforma della carriera degli insegnanti, che nell’atto di indirizzo politico pubblicato l’altro giorno dalla ministra Lucia Azzolina è solo accennato, mentre nel Recovery plan è descritto con molti più dettagli.

La lista di riforme

«Si deve quindi costruire una carriera docente dando l’opportunità ai docenti più dinamici e capaci di assumere responsabilità all'interno della scuola, accompagnata alla possibilità di crescere in ruolo», si legge infatti nel Recovery plan.

Questi professori potranno avere funzioni di «coordinamento, progettazione o formazione dei loro colleghi» e per le loro mansioni aggiuntive e per la qualifica raggiunta avranno una retribuzione mensile maggiore. Sono anche annunciati incentivi per gli insegnanti che andranno nelle scuole nelle zone più svantaggiate del paese. Viene annunciata anche la revisione del sistema dell’arruolamento che prevede che la fine dell’anno di formazione sia considerato come il superamento del concorso e un piano di formazione continua per tutto il personale.

I tecnici superiori

Ma soprattutto viene presentata una riforma complessiva del sistema degli istituti tecnici e professionali «per adeguare i programmi di formazione degli istituti tecnici e professionali alle esigenze del mondo della produzione e della situazione socio-economica dei singoli territori» e anche quella degli istituti tecnici superiori a cui vengono destinati ben 1,5 miliardi di euro e per cui il piano prevede che vengano addirittura quintuplicati gli studenti. Sarebbero gli istituti che dovrebbero formare i tecnici altamente specializzati, ma contemporaneamente vengono definiti istituti «in osmosi» con l’università. Per gli atenei, invece, si prevede una revisione del sistema dei crediti formativi universitari per cercare di agevolare l’interdisciplinarietà.

I dottorati

Sullo specifico capitolo della ricerca il piano prevede la distribuzione di fondi sul modello degli Erc grants, i fondi della ricerca dello European research council, che in Italia hanno spesso sostituito i fondi pubblici. E annuncia una riforma dei dottorati per semplificare le procedure di coinvolgimento di imprese e centri di ricerca e «rafforzare le misure dedicate alla costruzione di percorsi di dottorato non finalizzati alla carriera accademica».

Una iniziativa che però lascia perplessi chi come Federico Ronchetti, fisico, ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, sostiene il ruolo cruciale della scienza per la crescita: «I nostri laureati sono assunti in tutto il mondo in nome della loro capacità di ricerca, non devo trasformare il loro dottorato in qualcosa di diverso e più pratico, è la ditta italiana che deve puntare a settori competitivi in cui serve il dottorato».

Senza una strategia

In generale il piano accoglie solo in parte le richieste dei sostenitori del piano Amaldi, l’insieme di proposte per far arrivare l’Italia al livello di investimento in ricerca dei tedeschi che, ricorda Ronchetti, all’ufficio europeo registrano cinque volte i brevetti italiani e a quello americano addirittura dieci: «I fondi sono aumentati ma sono comunque meno dei 15 miliardi promessi dal ministro e dei 21 miliardi del Piano Amaldi».

Ronchetti dice di apprezzare che si sia prestato ascolto ad alcune richieste come appunto il guardare al modello tedesco delle Fraunhofer institutes, gli istituti di ricerca applicata a partecipazione pubblico e privata, ma allo stesso tempo vede che il piano manca di una strategia.

A seguire il modello tedesco sarebbero quelli che nel piano nazionale vengono descritti come i 20 centri che devono diventare i «campioni nazionali» della ricerca applicata, 20 come le regioni quasi fossimo come la Germania un sistema federale. Questi centri sarebbero centri di trasferimento tecnologico che nascerebbero presso atenei e enti di ricerca già esistenti per rafforzare la collaborazione pubblico e privato, per cui si pensa a enti partecipati al 30 per cento dal pubblico e al 70 per cento dal privato. Ma a questi non si capisce se vanno sommati o no gli altri centri di eccellenza tecnologica dedicati all’agritech, al fintech, alla intelligenza artificiale, all’idrogeno e alle scienze biomediche. E il tutto poi si aggiunge a 10 missioni di ricerca e sviluppo da finanziare con la «partecipazione di partenariati allargati, estesi a Università, centri di ricerca, imprese, capaci di coprire l’intero spettro del livello di maturità tecnologica dalla ricerca di base, alla ricerca industriale, allo sviluppo sperimentale».

 

© Riproduzione riservata