L’agenzia europea del farmaco EMA ha annunciato oggi di aver avviato la procedura di revisione chiamata rolling review del vaccino Sputnik V contro COVID-19 sviluppato dal Gamaleya Research Institute of Epidemiology and Microbiology di Mosca in collaborazione con il Russian Direct Investment Fund. Insieme a Sputnik V, EMA sta valutando altri due vaccini, quelli prodotti dalla società farmaceutica tedesca CureVac e dalla statunitense Novavax, mentre è attesa per la prossima settimana l’autorizzazione del vaccino della multinazionale Jannsen del gruppo Johnson&Johnson.

L’attesa dell’avvio del percorso di revisione del vaccino russo contro COVID-19 da parte dell’EMA è cresciuta nelle ultime settimane, soprattutto da quando il 2 febbraio la prestigiosa rivista medica The Lancet ha pubblicato i primi risultati dello studio clinico di fase 3 che ha coinvolto oltre 20 000 persone, di cui circa 15 000 hanno ricevuto il vaccino e le restanti 5 000 un placebo. Si tratta di un’analisi preliminare che ha permesso per ora di stimare l’efficacia nel prevenire infezioni sintomatiche da SARS-CoV-2 dopo 21 giorni dalla prima dose, dopo aver osservato l’insorgenza di 78 casi in totale, di cui 16 nel gruppo vaccinato e 62 nel gruppo di controllo. L’efficacia stimata è pari a 91,6% con un intervallo di confidenza al 95% di (85,6% - 95,2%). Questo equivale a dire che il vaccino è in grado di ridurre di quasi 12 volte il rischio di andare in contro a forme sintomatiche dell’infezione. Il livello di efficacia è sostanzialmente lo stesso anche nella fascia sopra i 60 anni di età, pur con un intervallo di confidenza leggermente più ampio.

«Dopo Pfizer/BioNTech e Moderna abbiamo un terzo vaccino con efficacia superiore al 90%», ha commentato Richard Horton, editor in chief di The Lancet, in un’intervista alla CNN aggiungendo che il gruppo di scienziati dell’istituto Gamaleya sono stati estremamente collaborativi e trasparenti durante la procedura di peer review a cui è stata sottoposto il loro lavoro.

La tecnologia

Sputnik V è un vaccino a vettore virale che utilizza due diversi tipi di adenovirus umani, l’adenovirus 26 nella prima dose e l’adenovirus 5 nella seconda, per trasportare l’informazione genetica che codifica per la proteina spike, o proteina S, del nuovo coronavirus, quella responsabile per l’ingresso del SARS-CoV-2 nelle cellule umane. I due vettori sono ingegnerizzati in modo che non siano in grado di replicarsi e dunque non diano inizio a un’infezione. Il loro compito è solo di trasportare all’interno del nucleo delle cellule il DNA necessario per produrre la spike del SARS-CoV-2. Nel nucleo il DNA viene trasformato in RNA messaggero e questo avvia la produzione della proteina S che sarà espressa sulla superficie della cellula. Negli studi di fase 1 e 2, quelli in cui si valuta su un numero ristretto di soggetti la sicurezza e l’efficacia del vaccino, si è visto che Sputnik V è in grado di stimolare sia la produzione di anticorpi neutralizzanti, che riconoscono la proteina spike e impediscono al virus di entrare nelle cellule, che di linfociti T della memoria, che vivono più a lungo e dunque suggeriscono che l’immunità stimolata dal vaccino potrebbe avere una certa durata.

Quella dei vaccini a vettore virale è una tecnologia consolidata, condivisa con altri vaccini contro SARS-CoV-2 come quello di Oxford-AstraZeneca, Jannsen e Novavax, ma Sputnik V è l’unico ha utilizzare due diversi virus diversi tra prima e seconda dose. Questa caratteristica è progettata per eludere l’eventuale immunità preesistente nella popolazione ed è stata impiegata sempre dall’istituto Gamaleya per formulare uno dei primi vaccini contro il virus Ebola.

Una nuova guerra fredda

Sempre nell’intervista alla CNN, Horton ha dichiarato che il gruppo di ricercatori di Gamaleya, guidati Denis Logunov, è stato estremamente collaboratori e trasparenti durante il processo di revisione che è particolarmente approfondito per le pubblicazioni che riguardano i vaccini contro COVID-19.

Per molti osservatori, la pubblicazione su The Lancet ha almeno in parte fugato i dubbi e lo scetticismo nati ad agosto dello scorso anno, quando la Russia aveva approvato il farmaco sulla base dei dati raccolti negli studi clinici di fase 1 e 2, pubblicati solo un mese dopo sempre su The Lancet, prima che lo studio di fase 3 avesse avuto inizio e Putin aveva ribattezzato il vaccino ‘Sputnik V’, dal nome del primo satellite lanciato con successo nell’orbita terrestre nel 1957 ad opera dell’Unione Sovietica. Allora il satellite Sputnik aveva avviato una nuova fase della guerra fredda, quella della corsa all’esplorazione spaziale, e oggi i vaccini contro COVID-19 stiano giocando un ruolo simile nello scenario politico internazionale.

Sputnik V è stato approvato in una serie di paesi africani, tra cui Marocco, Tunisia, Ghana, e Algeria, che ha avviato un confronto con la Russia per produrre localmente il vaccino nella società farmaceutica pubblica Saidal. In America Latina sono nove i paesi ad averlo già approvato, tra cui Argentina, Venezuela e Messico, che ha ricevuto le prime 200 000 dosi la scorsa settimana anche se in ritardo. Duemila dosi sono arrivate il 18 febbraio a Gaza, in una mossa che si inscrive nel quadro della cosiddetta ‘diplomazia vaccinale’, già attutata dall’India che ha donato alcune centinaia di migliaia di dosi del vaccino Oxford/AstraZeneca prodotto localmente dal Serum Institute of India ai paesi vicini. Sputnik ha poi cominciato la sua penetrazione in Europa, a partire dall’Ungheria che a fine gennaio è stato il primo paese dell’Unione Europea ad approvare autonomamente il vaccino, senza attendere il parere dell’EMA. Hanno seguito Slovacchia e, più recentemente Repubblica Ceca.

I dubbi sulla capacità di produzione

Tuttavia, sei dubbi sulla sicurezza e l’efficacia dello Sputnik V sembrano risolti, resta da capire se l’industria farmaceutica russa sarà in grado di produrre i quasi 1,2 miliardi di dosi promesse ai 50 paesi del mondo con cui ha stretto accordi finora. Si è posta la stessa domanda anche la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen in una conferenza stampa il 17 febbraio: «La Russia dovrebbe spiegare perché si offre di vendere milioni di dosi del suo vaccino contro il coronavirus ad altri paesi mentre è in ritardo rispetto alla vaccinazione dei propri cittadini». In effetti il Cremlino deve affrontare un problema interno, niente affatto marginale.

Subito dopo la frettolosa approvazione di agosto, il vaccino è stato destinato solo al personale sanitario ad alto rischio di contagio e la vaccinazione di massa è partita a novembre, ma l’adesione dei cittadini sembra per ora essere estremamente bassa. Andrew E. Kramer, corrispondente del New York Times a Mosca, ha descritto centri vaccinali completamente riforniti di dosi ma deserti e un sondaggio condotto a ottobre ha rilevato che il 59% degli intervistati non sarebbe disposto a ricevere un vaccino contro COVID-19 anche se venisse offerto gratuitamente e non fosse reso obbligatorio. I cittadini russi hanno pochissima fiducia verso il governo e il fatto che il Cremlino si sia intestato il successo di Sputnik V li spinge a diffidare della validità degli studi clinici che ne hanno dimostrato sicurezza ed efficacia.  


 

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