«Ti invio una richiesta dell’ambasciata bielorussa con carattere di urgenza, spero che tu abbia la possibilità al riguardo di avere buoni contatti che possano soddisfare la necessità dichiarata». È una mail del 2015, diretta ad Armando Siri, il senatore della Lega di Matteo Salvini e ideologo della flat tax, la tassa piatta che avrebbe dovuto rivoluzionare il sistema fiscale italiano. La richiesta dei bielorussi riguarda la ricerca di uno studio legale competente nel settore petrolchimico e che conosca la legislazione lituana e lettone. Queste conversazioni aiutano a decifrare l’astensione degli eletti della Lega in Europa: il 17 settembre 2020 l’Europarlamento ha votato una risoluzione di condanna della repressione in Bielorussia. Aleksandr Lukashenko il 9 agosto ha autoproclamato la propria conferma a presidente, ma l’Ue considera quelle elezioni illegittime. Nei giorni seguenti a Minsk ci sono stati oltre ottomila arresti per soffocare il dissenso, tra torture, le minacce di stupro, sparizioni e uccisioni.

La Lega per Lukashenko

L’Europarlamento ha chiesto di condannare il regime di Minsk e di imporre sanzioni ai dirigenti bielorussi responsabili di frode elettorale e di violenze. Susanna Ceccardi, che in quei giorni stava cercando di diventare governatrice della Toscana, Angelo Ciocca, che due anni fa scagliò la sua scarpa sui banchi dell’Europarlamento per calpestare «gli euroimbecilli», e i loro colleghi leghisti eletti all’Europarlamento, hanno deciso di astenersi. Una strategia che dura da tempo, emersa in più occasioni, quando l’Ue ha provato a condannare le derive autoritarie di Lukashenko, al potere dal 1994, noto come «l’ultimo dittatore d’Europa». Cinque anni fa, per esempio, l’Europarlamento ha approvato una risoluzione sulla Bielorussia in cui ha espresso preoccupazione per gli atteggiamenti antidemocratici, le violazioni dei diritti umani, invocando libertà dei media e soprattutto libere elezioni. E i leghisti hanno votato contro. In Italia le manovre di Armando Siri andavano nella stessa direzione: tra il 2015 e il 2016 ha tentato di accreditarsi negli ambienti dell’ambasciata bielorussa in Italia. Siri ha usato come tramite Michele Sacchini, commercialista, rappresentante della camera di commercio bielorussa in Italia. «Confermo che la Lega ha provato a sfruttare i miei canali per incontrare rappresentanti di quel paese, ma escludo categoricamente che siano avvenuti», dice Sacchini. Perché la Lega era così interessata a incontrare le autorità dello stato guidato da Lukashenko? «Credo che l’interesse principale fosse quello di prendere a modello la loro flat tax», conferma Sacchini. Dalle mail finora inedite, però, emerge anche un altro fine dietro al corteggiamento di Lukashenko.

Un canale verso Putin

In una mail del 29 dicembre 2015, Siri scrive: «Buongiorno Michele, ti comunico in via estremamente riservata e per cui ti chiedo la massima discrezione, che oggi abbiamo inviato una richiesta al presidente della Federazione russa Vladimir Putin per un intervento video registrato… ti chiedo di aiutarmi a ottenere un riscontro positivo… Noi nel frattempo proseguiamo con i canali che abbiamo». Le richieste di incontri non si fermano a questo tentativo: l’attuale senatore, all’epoca semplice consigliere di Salvini, ha scritto persino alla segretaria del capo leghista per ricordagli di non farsi sfuggire l’occasione di incontrare il primo ministro della Bielorussia, Andrej Kobjakov, durante la visita all’Expo di Milano. Siri alle richieste di commento ha risposto: «Se avete da ribadirmi qualcosa, non tentate di appigliarvi alla Lega o a Salvini. Parlate a me di me». Ha poi aggiunto che ci diffida dall’usare i documenti in nostro possesso seppure, dice, «non abbia nulla da nascondere».

Certo non è un segreto il posizionamento internazionale della Lega. Il raggruppamento europeo della Lega nord all’epoca delle mail non era Identità e democrazia (Id), nato nell’ultimo mandato, ma Europa delle nazioni e delle libertà (Enf). Aveva comunque come colleghi di gruppo le estreme destre europee come quella di Marine Le Pen. E c’è proprio il suo nome, tra i voti contrari alla risoluzione sulla Bielorussia votata il 10 settembre 2015. L’atteggiamento morbido verso Minsk accomuna del resto il suo Rassemblement national, la Lega nord, l’Afd (Alternative für Deutschland) che è l’estrema destra xenofoba tedesca, e quella austriaca, l’Fpö. Nel mezzo, tra quel 2015 e questo 2020, la linea tollerante verso gli amici della Russia è proseguita. Mentre l’Europarlamento condannava le derive autoritarie, la Lega chiudeva un occhio e si asteneva. È successo, per dire, con la risoluzione del novembre 2016 e con quella dell’aprile 2018. Spicca, nei verbali del 2016, tra gli astenuti, Matteo Salvini.

Qual è il minimo comune denominatore che spinge tutte queste formazioni della destra “euroscettica” a essere più indulgenti degli altri con la Bielorussia? La risposta è l’ammirazione per Putin: Marine Le Pen ha ricevuto finanziamenti milionari da una banca vicina al Cremlino; Heinz-Christian Strache da leader dell’Fpö è caduto nel tranello di mediatori russi accettando le offerte di corruzione da parte di un’oligarca russa; nel 2018 il deputato dell’Afd Ulrich Oehme si è fatto pagare dal parlamento russo un viaggio in Crimea, per dire poi che lì le elezioni sono state impeccabili; la Lega è stata coinvolta nello scandalo della trattativa dell’hotel Metropol di Mosca con l’uomo di Salvini seduto al tavolo con gli emissari del Cremlino a trattare un finanziamento milionario per le ultime elezioni europee. Proprio nel 2019, quando l’Europarlamento dice che la Russia «non può più essere considerata un partner strategico», la Lega vota contro. Appoggiare Lukashenko vuol dire sostenere Mosca, generosa di prestiti a Minsk, sua partner in economia e difesa. Tanto che, per difendere Lukashenko, Putin è pronto a usare la forza. Il 23 settembre un migliaio di militari russi sono stati spediti in terra alleata.

Non tutti, nella Lega di Salvini, mostrano apprezzamento per le posizioni filorusse. Giancarlo Giorgetti, vice di Salvini e garante dei rapporti con gli Stati Uniti e il Vaticano, ha definito la difesa di Lukashenko un «errore strategico» da parte della Lega. Salvini, già fragile per la sconfitta elettorale, è stato avvertito.

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