Oggi Italia-Scozia all’Olimpico. Gli azzurri non vincono in casa da quasi nove anni (ultimo successo contro l’Irlanda, nel marzo del 2015), sono reduci dall’aver assaporato la vittoria contro i francesi a Lille (13-13, con palo di Paolo Garbisi mentre il tempo si stava esaurendo) ma sulla loro strada trovano una prodigiosa ala, il pericolo pubblico numero 11.

È Duhan Van der Merwe: segni particolari, bellissimo. Fosse nato ai tempi di Leni Riefenstahl, la parte di Sigfrido non gliela avrebbe tolta nessuno. Naso leggermente aquilino, capelli biondi pettinati all’indietro, alto e possente (1,93x106), veloce, un asso a rompere i placcaggi o a evitarli. Un maxi-Mercurio, un’ala con le ali ai piedi: i 60 metri abbondanti corsi in linea retta a Murrayfield (la seconda delle sue tre mete) sono più appassionanti dei 110 (percorsa l’intera area di meta e, a seguire, tutto il campo) di Pentasi Daquwaka in Stade-Racing che hanno scatenato il delirio dei frequentatori ossessivi della rete. Bella, sì, la lucida follia del fijiano, ma la difesa del Racing dov’era?

Chi è lo scozzese

Van der Merwe è uno scorridore senza paura: nella prima meta contro l’Inghilterra, dopo aver avuto palla da Huw Jones, decide di far da solo, contro due inglesi che stanno rimontando e due che lo braccano, che gli sono addosso. La seconda, dopo aver intercettato il pallone, è una fuga per la vittoria. Nella terza, è l’uomo giusto al posto giusto, con la frequenza di corsa, giusta anche quella, per andare ad agganciare l’ovale offerto da Finn Russell, uno dei più bei kick pass, passaggi di piede, visti da quando questo gesto è diventato abituale nel rugby union, quello giocato a XV. La domanda è: sapeva l’ex-scalpellino scozzese che la palla sarebbe atterrata lì e con il rimbalzo perfetto per la raccolta? Finn è meno scorbutico di un tempo e magari risponderebbe volentieri al quesito.

I numeri e la media dicono che Duhan, 29 anni a giugno (solo i Gemelli offrono tipi così geniali), nativo di George, Western Cape, dal cognome molto boero, è giunto alla 26esima meta in 37 partite giocate con la maglia blu della Scozia, che lo ha reso eleggibile per permanenza, non per aver scovato radici più o meno profonde da parte di nonni o avi.

L’0,7 che si ottiene con una divisione, più o meno tre quarti di meta a match, lo proietta davanti a quel buonanima di Jonah Lomu, all’uomo-ghepardo Bryan Habana, a David Campese, al folletto gallese Shane Williams. Julian Savea, 46 mete in 56 partite, è davanti e Will Jordan, neozelandese anche lui, sta percorrendo il cammino della perfezione: 31 test, 31 mete. Ma Duhan non un è un All Black e non gioca negli All Blacks.

La tripletta – o hat trick – del sudafricano di Scozia, che due mete agli inglesi aveva segnato anche l’anno scorso a Twickenham, sta aprendo, più che un dibattito, una constatazione. In questo rugby delle difese esasperate, oggetto di studi, di continui approfondimenti, di ricorrenti analisi, può esserci ancora spazio per il battere e lo spalancarsi delle ali, un aspetto che può essere gradito a un pubblico che non deve essere necessariamente composto da esegeti, da raffinati analisti del drive, della ruck, della rush defense, etc etc.

In un tempo non lontano, prima che in Europa atterrassero i volanti fijiani, quel compito spettava ai francesi, quelli del rugby champagne, del french flair. Ora di quello stile, di quelle bollicine è rimasto poco. A giudicare da quel che si è visto dentro lo scatolone chiuso di Lille, contro l’Italia, nulla. Molti chili, come in certe charcuterie di Lione. Dallo champagne passaggio al pinard, il vinaccio che veniva servito in trincea, prima dell’attacco, spesso con effetti catastrofici.

Lo spirito ad alta gradazione servito da Van der Merwe è di altra e alta qualità, un puro malto torbato delle isole o un buon vino dei vigneti delle sue parti. A Roma, attenti a quei due: Duhan e Finn.

La Scozia arriverà a Roma con un bagaglio di recriminazioni: ha battuto il Galles, ha fatto un boccone dell’Inghilterra mantenendo la Calcutta Cup. In mezzo è stata sconfitta dalla Francia. Ma come? Per un intervento a sproposito dell’arbitro, l’australiano Nik Berry, che, prima di chiedere la collaborazione dell’arbitro televisivo, il Tmo, ha premesso: «Per me non è meta». Le immagini lo hanno smentito ma la segnatura non è stata accordata. A questo punto, la classifica virtuale del 6 Nazioni sarebbe Irlanda 15, Scozia 12 e i giochi sarebbero ancora aperti.

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