Uomini, donne e bambini protestano da settimane nel centro umanitario nigerino. Aspettano anni per le loro richieste di asilo. Il progetto è figlio dell’accordo di Minniti
In un angolo sperduto del Sahara, su un tavolo di mattonelle bianche e sbeccate, giace un uomo con il cranio sfondato. È morto. Nessuno si avvicina a lui. Nessuno lo copre. Quel sangue, però, parla. E parla anche italiano. A venti chilometri da Agadez, in Niger, un campo umanitario finanziato dall’Italia e dall’Unione europea trattiene 1.500 persone. O meglio, le inghiotte. «1.501 persone di 19 nazionalità», mi spiega Khalil Hussein Hassan. Il suo tono è quello di chi non ha più niente da perder



