«Lo stato non è la soluzione. Lo stato è il problema». «La società non esiste. Esiste solo l’individuo». «L’uomo esiste solo per se stesso, la ricerca della sua felicità è il suo principale obiettivo etico, e non si deve sacrificare agli altri, né sacrificare gli altri a sé». Le prime due citazioni sono di Ronald Reagan (discorso di inaugurazione, 1981) e Margaret Thatcher (intervista a Women's Own magazine, 1987). La terza riporta le parole dalla romanziera distopica Ayn Rand (intervista a Playboy, 1964), paladina sia della destra americana, sia di molti imprenditori miliardari della Silicon Valley, a loro volta spesso ispirazione di politici “liberali” come Tony Blair o Bill Clinton

Le proteste contro il green pass e l’introduzione di ulteriori obblighi vaccinali (ma prima anche contro le mascherine o qualsiasi forma di restrizione anche durante le fasi più critiche della pandemia) sembrano avere le loro radici in queste versioni estreme di individualismo e liberismo economico e sociale.

Un approccio che prevede la difesa strenua di interessi che appaiono non solo egoistici, ma anche di corto respiro, dato che non solo aumentano la probabilità di esiti negativi per coloro che sono più vulnerabili nell’immediato, ma nel lungo periodo anche per sé stessi. 

Lo stato ripugnante

Nella letteratura economica degli ultimi dieci anni e’ emerso una nuova traiettoria di ricerca, inaugurato dal Premio nobel Alvin Roth, che studia la “ripugnanza” verso certi mercati o transazioni private, considerati immorali in quanto iniqui, oppure lesivi della comune morale. Si pensi, ad esempio, alla prostituzione, l’eutanasia, la gestazione per altri, la vendita di organi, o il lavoro minorile. E’ per questa ripugnanza che molte di queste transazioni sono proibite, o strettamente regolate dallo stato. 

La vicenda “no-vax” evidenzia una ripugnanza non verso certe transazioni private, ma piuttosto verso lo stato e ogni forma di intervento pubblico, per la natura stessa di un potere che limita ciò che l’individuo vuole sentirsi libero di fare (o non fare). Lo stato introduce una componente collettiva, sociale e di condivisione, che secondo una certa visione del mondo non dovrebbe esistere.

Il singolo e il collettivo

Non aderire a questa visione non implica il sostegno della abolizione della proprietà privata o della dittatura del proletariato. Basterebbe scomodare Adam Smith: di lui si ricorda la “mano invisibile” del mercato (espressione da lui raramente usata, e mai in relazione al mercato), e l’idea che dagli interessi individuali (la proverbiale ricerca del profitto del birraio e del macellaio) derivi il massimo benessere sociale.

Nello stesso saggio in cui introduce queste idee, “La Ricchezza delle Nazioni”, Smith aggiunge numerose prescrizioni di accompagnamento e correzione, come la necessità dell’intervento statale per ridurre la povertà, accrescere l’istruzione, e contrastare la formazione di poteri economici sia sul mercato dei prodotti, per garantirne accesso equo, sia sul mercato del lavoro, per evitare salari da fame.

Ma gran parte delle basi filosofiche e morali del pensiero di Smith si trovano in un saggio di quasi venti anni precedente, “La Teoria dei Sentimenti Morali”. In quest’opera Smith sostiene che gli esseri umani sono caratterizzati da un sentimento innato di giustizia e di “simpatia” verso il prossimo.

Si tratta di pulsioni autenticamente “sociali”, che presuppongono una dimensione collettiva e dei valori di cooperazione all’interno dei quali, e con le dovute limitazioni dovute a questi principi superiori, dovrebbe operare e prosperare l’iniziativa e l’interesse individuale. La natura di “beni pubblici” di questi principi fa si’ che, per nutrirli e tramandarli, si presuppone un ruolo attivo dello stato.

La negazione a priori di ogni forma di intervento pubblico e di predilezione di interessi collettivi mette quindi in pericolo anche la realizzazione degli interessi individuali.

Forse questa visione più comprensiva del ruolo dello stato farebbe bene anche a coloro che, pur non riconoscendosi nelle versioni più estreme del liberismo economico e sociale, spesso rendono labile il confine fra quelle posizioni radicali e le loro più “moderate”, attaccando il settore pubblico non solo sul tema dell’efficienza, ma in termini ideologici.

La dimensione collettiva sotto attacco

Abbiamo sentito dire che offrire supporto economico ai più deboli è diseducativo e disincentiva a soffrire. Accuse agli insegnanti (della scuola pubblica) che non sono vaccinati al 100 per cento, anche se lo sono in percentuali molto superiori alla media nazionale. Chiedere che tutti i lavoratori della pubblica amministrazione ritornino a lavorare in presenza e non in smart working, perché una volta a casa non sanno far altro che poltrire. Invocare ricerche bislacche che mettono in discussione l'origine umana del riscaldamento globale per opporsi a interventi di regolazione in alcune industrie.

Contribuire a diffondere un immagine della dimensione collettiva come una limitazione a priori può contribuire, piu o meno volontariamente, ad alimentare un sentimento ostile verso qualsiasi forma di controllo, o comunque fornire una legittimazione più ampia a quelle frange di popolazione che non vogliono riconoscere qualsiasi vincolo al di fuori di sé o del proprio gruppo, sia esso scientifico, legale, o morale.

Sarebbe forse più opportuno difendere quella dimensione collettiva che lo stato contribuisce a formare come essenziale per affrontare alcune delle grandi sfide davanti a noi, dal garantire la salute di tutti grazie a una copertura vaccinale maggiore possibile, all’accesso di tutti, e con eguali opportunità, alle cure mediche, e alla salvaguardia dell’ambiente e del futuro anche se richiede restrizioni nell’immediato. 

Le inefficienze e gli sprechi che spesso caratterizzano il settore pubblico, specie in Italia,  danneggiano soprattutto i più fragili e generano una sfiducia generalizzata nella capacità e volontà dello stato di generare benessere.

Il buon funzionamento del settore pubblico non è quindi soltanto un fine, ma anche un mezzo per accrescere il senso civico e rendere i cittadini sia più fiduciosi, sia più esigenti verso lo stato.

Ricordarsi che nessuno si salva da solo aiuterebbe a creare un circolo virtuoso e ristabilire un senso di comunità senza preconcetti sui mezzi e le istituzioni da impiegare per risolvere i problemi delle persone e migliorarne l’esistenza.

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