Padre Marko Rupnik, il gesuita e noto artista accusato di aver abusato di alcune suore negli anni Novanta – una di queste ha raccontata la sua storia in un’intervista pubblcata su Domani il 18 dicembre –  continua a causare lotte intestine fra i gesuiti e imbarazzo in Vaticano.

Lo «tsunami Rupnik», come l’ha definito su Twitter l'ex provinciale gesuita Gianfranco Matarazzo, diventa sempre più imponente e minaccia di travolgere non soltanto la Compagnia ma la chiesa tutta.

Un’altra religiosa della Comunità Loyola ha detto alla Catholic News Agency di aver subito manipolazioni e umiliazioni spirituali da Rupnik: «Era una persona egocentrica e violenta: voleva sempre essere al centro dell’attenzione e sottomettere gli altri al suo potere».

«Le autorità ecclesiastiche hanno sempre coperto tutto – ha confermato la suora – ma gli abusi non si limitano certo soltanto alla Comunità Loyola».

Dopo le rivelazioni della stampa, i gesuiti sono stati però costretti ad ammettere che Rupnik aveva subìto ben due procedimenti ecclesiastici: uno da parte del dicastero per la Dottrina della fede, concluso lo scorso ottobre con la prescrizione dei fatti, e un altro nel 2020 sempre davanti allo stesso dicastero (all’epoca Congregazione per la dottrina della fede) per “assoluzione del complice in confessione”.

Un comportamento che aveva portato a una sentenza di scomunica latae sententiae, vale a dire immediata. Scomunica che, come è stato confermato dai gesuiti, era stata però revocata pochi giorni dopo dalla stessa Congregazione.

Chi ha voluto cancellare le conseguenze di un reato considerato talmente grave da prevedere una condanna automatica? L’ordine è partito da papa Francesco? Difficile pensare che il pontefice non fosse a conoscenza dei fatti che coinvolgevano una persona in vista come Rupnik.

Certo è che, pur sotto indagine e nonostante le restrizioni che la Compagnia gli aveva imposto già nel 2019 (misure cautelari ancora in vigore, secondo quanto riportato dal preposito generale dei gesuiti Arturo Sosa Abascal), Rupnik non ha smesso di viaggiare, condurre esercizi spirituali ed esercitare incarichi importanti in diversi dicasteri vaticani.

Fino al 2020 era direttore del Centro Aletti e in agenda aveva anche la direzione degli esercizi spirituali al santuario della Santa Casa di Loreto per il febbraio 2023.

Insomma, molti nella chiesa erano a conoscenza dei suoi “problemi comportamentali” ma Rupnik, nonostante le denunce e le indagini interne, ha continuato a esercitare il suo ministero e a ottenere apprezzamenti.

A fine novembre 2022 ha ricevuto anche una laurea honoris causa dalla Pontificia università cattolica del Paranà, in Brasile, e a oggi risulta ancora consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.

Qualcosa si muove

Intanto qualcosa, almeno apparentemente, si muove. Sul sito della curia generalizia della Compagnia di Gesù è comparso il 18 dicembre un appello in cui si invita chiunque voglia denunciare nuovi fatti a rivolgersi direttamente ai gesuiti tramite una mail apposita.

Lo stesso ha fatto pochi giorni dopo la Conferenza episcopale slovena, che il 22 dicembre ha espresso «grande dolore e costernazione» e «vicinanza alle vittime».

Una dichiarazione sottoscritta anche dal presidente dei vescovi sloveni, monsignor Andrej Saje, e dall’arcivescovo di Lubiana Stanislav Zore, che hanno auspicato maggiore trasparenza e tolleranza zero nei confronti di ogni abuso, fisico, sessuale, psichico e spirituale.

Una parte dell’attuale chiesa slovena, cresciuta alla scuola di Rupnik e del Centro Aletti, è oggi infatti alle prese con un travaglio interno particolarmente acuto a causa dello scandalo.

I vescovi sloveni si sono detti dalla parte delle vittime, «rattristati perché per decenni non sono state ascoltate», e hanno promesso di fare «del loro meglio per seguire con maggiore attenzione ciò che accade nelle comunità ecclesiali, affinché in futuro non avvengano più abusi di autorità da parte di chi ha incarichi di responsabilità».

Da parte sua, il vescovo ausiliare di Roma Daniele Libanori, commissario incaricato della comunità Loyola dove sono avvenuti gli abusi, ha confermato in una lettera ai sacerdoti che «le notizie riportate dai giornali corrispondono al vero».

«Le persone ferite e offese, che hanno visto la loro vita rovinata dal male patito e dal silenzio complice – scrive Libanori – hanno diritto di essere risarcite anche pubblicamente nella loro dignità, ora che tutto è venuto alla luce». Se sul “caso Rupnik” sia davvero emerso tutto, è però ancora da vedere.

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